Solennità e Feste del Signore

SOLENNITÀ DEL SIGNORE NEL TEMPO ORDINARIO

SS.ma Trinità Corpus Domini S. Cuore di Gesù Cristo Re "A" Cristo Re "B" Cristo Re "C"

FESTE DEL SIGNORE

Presentazione al tempio
di N. S. G. C.
                                                         
 

 

 

 

 

SANTISSIMA TRINITÀ – PRIMO SCHEMA

 Solennità della SSma Trinità                            Omelia

Le “Tre” impronte

Carissimi fratelli e sorelle,

ogni anno, dopo la Solennità della Pentecoste celebriamo quella della SS.ma Trinità, in essa siamo chiamati innanzi tutto allo stupore e allo lode per quello che Dio è in se stesso, Indivisa Unità sussistente nella Trinità delle Persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Sono Tre eppure sono Uno: Tre Persone, una sola divinità, una sola natura o sostanza divina. Una Unità che non patisce solitudine, una Molteplicità che non patisce divisione. È un mistero grande: il più grande della nostra fede, mistero fondamentale da cui scaturiscono tutti i misteri principali della nostra fede, primo tra essi quello dell’incarnazione, passione, morte e risurrezione del Figlio di Dio.

Padre, Figlio e Spirito Santo non sono tre dèi, ma l’Unico Dio “fuori di Lui non ci sono altri dèi (Is 45,5.21). È una verità che non possiamo comprendere, ci supera, ci trascende e nello stesso tempo ci avvolge! Tutte le prerogative proprie di Dio sono possedute in pienezza da ciascuna Persona Divina senza diminuzione o variazioni! Ciascuna Persona è pienamente Dio, ma non sono Tre Dèi, bensì l’Unico Eterno Dio! L’unica distinzione che sussiste nella SSma Trinità consiste nelle relazioni interpersonali: il Padre non è il Figlio, ma il Padre del Figlio, il Figlio non è il Padre, ma il Figlio del Padre, lo Spirito Santo non è né il Padre né il Figlio, ma è il loro reciproco amore che li unisce in Unità Assoluta nella Comunione Eterna delle Persone.

La SSma  Trinità è un mistero di pienezza: “Pienezza di essere, pienezza d’intelligenza, pienezza d’amore” (P. Lanteri)! Pienezza che si espande e si dona nella creazione che riflette, come in uno specchio, tutta la sua bellezza e perfezione. Per cui, ecco che tutto il cosmo è meravigliosamente bello e ordinato. Quando guardiamo la bellezza di un semplice fiore, il gioco dei colori di un arcobaleno o il gioco di luci di un tramonto, quando guardiamo la luna, il sole, le stelle… o quando entriamo nella realtà del microcosmo: delle cellule e degli atomi e dell’ordine perfetto che le governa… non possiamo non rimanere stupiti ed estasiati per tanta perfezione e tanta bellezza. Ma nel creato c’è qualcosa di particolarmente bello e stupefacente, qualcosa che non è qualcosa, ma qualcuno: l’uomo, la donna: queste piccole e fragili creature che portano nel proprio intimo una particolare impronta del loro Creatore e Signore: “Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Gen 1,27).

È appunto perché portiamo nell’intimo quest’impronta divina che non è marginale, superfluo o indifferente per noi sue creature, conoscere o non conoscere il vero Dio, l’unico vero Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo. Perché solo quando conosciamo il vero Dio possiamo dare una risposta alla domanda che ognuno di noi si porta nel cuore: “Chi sono io? Cosa sono chiamato ad essere?”.

Mostrandosi e facendosi conoscere nella sua verità di Padre, Figlio e Spirito Santo, Dio permette all’uomo di conoscere ed entrare dentro le fibre più nascoste della propria entità umana che partecipa intimamente dell’essere del suo Creatore e Signore, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. 

 

L’impronta del Padre

Ogni persona umana è creata a immagine del Padre, il Padre è Padre Eterno del Figlio, genera dall’eternità e nell’eternità il Figlio e di Lui si compiace eternamente. Per questo ogni uomo, ogni donna non si sentirà mai pienamente realizzato se non vive la paternità o maternità. Ogni uomo è chiamato ad essere padre, ogni donna è chiamata ad essere madre. Padri e madri, cioè coloro che generano, che comunicano la vita, che partecipano alla paternità di Dio Padre. Una vita senza un figlio è una vita sterile, la vita dell’uomo, la vita della donna se sterile è frustrante e chiude il cuore alla gioia. Ogni uomo, ogni donna è chiamato a generare un figlio, è questo figlio che riempie il cuore di gioia di chi lo genera. Ma, attenzione non si tratta semplicemente di mettere al mondo dei bimbi o delle bimbe. Sì, avere dei bambini, dei figli, è anch’esso partecipazione alla paternità del Padre eterno (cf Ef 3,15), ma ciò che realizza l’aspirazione primaria di ogni essere umano non è generare dei figli, ma generare il “Figlio”, lo stesso Figlio del Padre. Il Padre ci ha creato per darci la gioia di generare in Lui il suo stesso Figlio. La gioia di generare Lui, “il più bello tra i figli degli uomini” (Sal 45,3), “l’uomo Gesù Cristo” (1Tm 2,5) in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9).

In che modo ad ogni uomo, ad ogni donna è possibile questa generazione divina, in che modo è possibile generare il Figlio? È molto semplice! Basta fare la volontà del Padre: “Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella  e madre” (Mt 12,50). Sì! “Fratello, sorella e madre“madre”, cioè colei che genera.

Facendo la volontà del Padre, entrando nel mistero della sua volontà con fede, abbracciando la sua volontà con amore, Lui, il Padre, ci rende partecipi della generazione eterna del Figlio, in noi e attraverso noi genera il suo Verbo nel tempo e in noi e attraverso di noi si compiace di Lui (cf Mt 17,5).

Ogni uomo, ogni donna ha ricevuto dal Padre la vocazione a generare il suo Figlio, ogni essere umano è chiamata ad una vita feconda, non ad una vita sterile e ogni vita è sterile se in essa non nasce Gesù, non fiorisce Gesù, non cresce Gesù. Questa è la sterilità che frustra la vita di tanti, di moltissimi. Una vita piena di tutto: di beni, di agi, di figli, ma priva di Lui, priva del “Figlio”, una vita priva di Gesù è una vita fondamentalmente sterile e sarebbe meglio non essere mai nati (cf Mc 14,21), ma non vivere senza generare Gesù! 

 

L’impronta del Figlio

Portiamo dunque in noi l’impronta della SSma Trinità: l’impronta del Padre che ci chiama a generare il suo Figlio, l’impronta del Figlio che gode di essere generato dal Padre e di stare con Lui. Tutta la Persona del Figlio è relazione al Padre, nulla fa, nulla dice se non quello che il Padre gli ha comandato (cf Gv 12,49-50) e desidera che tutti sappiano questo: che Lui ama il Padre (cf Gv 14,31) e che la sua vita, il suo cibo, il suo respiro “è fare la volontà del Padre (Gv 4,34) perché Lui e il Padre sono una cosa sola” (Gv 10,30) e chi “vede Lui ha visto il Padre”  (Gv 14,9).

Quest’impronta del Figlio in noi è la sorgente della nostra inquietudine e insoddisfazione che ci perseguita in ogni cosa che inseguiamo o che abbracciamo. Il nostro cuore non può avere pace né riposo se non nel seno del Padre. È l’impronta del Figlio in noi che non ci permette di avere pace fuori dell’abbraccio del Padre. Ogni fibra del nostro essere è stata creata dal Padre perché faccia la sua volontà che è amore! Quale frustrazione profonda vive la persona umana quando non cerca la volontà del Padre, quando non fa’ la volontà del Padre, quando fugge la volontà del Padre perché abbagliata e ingannata da altre vie facili e comode (cf Mt 7,13), che promettono felicità e soddisfazioni che però svaniscono abbracciandole. 

 

L’impronta dello Spirito Santo

Abbiamo parlato dell’impronta del Padre che ci sollecita a partecipare alla generazione del Figlio e della impronta del Figlio che ci chiama ad abbracciare la volontà del Padre, ma cosa dire dell’impronta dello Spirito Santo in noi? L’impronta dello Spirito Santo in noi consiste proprio in questa duplice impronta del Padre e del Figlio che ferisce il nostro cuore. Egli è l’Amore sostanziale del Padre e del Figlio, per questo ha una duplice dimensione intrinseca: è l’Amore del Padre verso il Figlio, è l’Amore del Figlio verso il Padre. È l’impronta dello Spirito Santo che mi attira verso il Figlio in quanto mi partecipa l’Amore del Padre verso il suo Figlio (cf Gv 6,44). È l’impronta dello Spirito Santo che mi orienta al Padre in quanto Egli è l’Amore del Figlio verso il Padre ed proprio nello Spirito Santo che i Due, il Padre e il Figlio, non sono più “Due”, ma “Una cosa sola” nella Trinità Eterna. Propriamente dunque l’impronta dello Spirito è l’unità di queste due impronte che abbiamo ricevuto e che ci spingono ad essere “Uno” con tutti, innanzi tutto ci spinge ad essere “Uno” nella Trinità nell’unione d’amore con il Figlio che ci introduce nel Padre e ci fa essere una cosa sola con Lui (cf Gv 14,23; 17,21), quindi ci spinge ad essere “Uno” con i fratelli e le sorelle con cui condividiamo l’esistenza. Per questo non c’è pace per il nostro cuore finché non siamo in comunione con tutti, il nostro cuore soffre, soffre tremendamente e non ha pace finché non si ritrova in pace con ogni fratello e ogni sorella e non si apre all’amore universale.

Ecco – carissimi fratelli e sorelle – concludiamo questa omelia con uno sguardo alla Vergine Maria, Lei, Diletta Figlia del Padre, Amorosissima Mamma del Verbo e Dolcissima Sposa dello Spirito, Dimora Immacolata di Dio, ci aiuti e ci insegni a crescere ogni giorno di più nella consapevolezza e nell’esperienza di Dio Amore Trinitario che ci sommerge e c’invade e che ha la sua dimora preferita nell’intimità del nostro cuore. 

Amen.                                                           j.m.j.

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SANTISSIMA TRINITÀ – SECONDO SCHEMA

Solennità della SSma Trinità                           Omelia

UN MISTERO D’AMORE CHE CI AVVOLGE INVISIBILMENTE 

Carissimi fratelli e sorelle,

eccoci qui insieme per celebrare questa nostra s. Messa nel giorno del Signore nel giorno in cui festeggiamo la SSma Trinità, mistero fondante e fondamentale della nostra fede in Dio, l’Unico Dio e Signore dell’Universo che è Padre, Figlio e Spirito Santo, mistero d’Amore perché DIO È AMORE. 

Tutto deriva la sua vita, il suo esistere da questo AMORE, tutto vive per questo AMORE, tutto è avvolto misteriosamente e invisibilmente da questo AMORE.

Il PADRE È AMORE, IL FIGLIO È AMORE, LO SPIRITO SANTO È AMORE

Carissimi fratelli e sorelle, lo Spirito Santo illumini profondamente il nostro intelletto, infiammi ardentemente il nostro cuore perché affascinati e conquistati dall’infinita bellezza e santità del Mistero di Dio Amore Trinitario, oggi possiamo gioire per la sua bellezza, compiacerci della sua verità e gustare la sua bontà nella consapevolezza della nostra fede in cui crediamo non in un mistero da contemplare e rispettare, ma ben lontano da noi, noi oggi parliamo di qualcosa, o meglio di Qualcuno che non è semplicemente vicino a noi, ma è in noi. Dio Amore Trinitario è in noi e noi non potremmo vivere se non in Lui. È Amore che si consegna a ciascuno di noi, Amore che si propone a ciascuno di noi, Amore che si offre a ciascuno di noi, Amore che desidera poterci amare e gustare il nostro amore. Cosa potrà mai volere l’Amore se non amare ed essere amato? Amore che si propone e non s’impone perché l’Amore non obbliga, l’Amore è discreto, l’Amore non vive se non nella libertà.

IL PADRE È AMORE CHE CHIAMA

Il Padre è Amore che ci ha chiamato alla vita. Tutto scaturisce come da un’esplosione d’Amore del suo Cuore, il Cuore del Padre creò per Amore ogni cosa, dirompendo AMORE ovunque

Il Padre mantiene tutto nell’essere e questa forza che mantiene l’essere di tutto è il suo AMORE. Tutto è sostenuto dall’AMORE potente e immenso di Dio Creatore e Padre. 

Per cui il Padre ha nascosto AMORE dappertutto, in ogni fibra del nostro essere c’è nascosto AMORE, in ogni angolo della nostra vita c’è nascosto AMORE. MISTERIOSO AMORE DI DIO che ama nascondersi per darci la gioia di farsi scoprire e quanta più gioia quanto più esso è nascosto. 

La FEDE è quella virtù che ci permette di scoprire l’AMORE nascosto in tutto, anche nel dolore, nelle vicissitudini, nelle prove, nelle amarezze, nelle incomprensioni, negli avvilimenti della vita, in tutto la FEDE ti permette di scoprire AMORE, l’AMORE IMMENSO E INVISIBILE DI DIO che si nasconde anche dove nessuno può immaginare che vi sia, nascosto nella croce, nascosto nella nostra stessa morte o quella dei nostri cari.

La FEDE, quella vera però, non quella fasulla da quattro soldi che si compiace di Dio solo quando tutto va bene, ma quella vera, quella che è teologale, quella che è divina, ti rivela l’AMORE DI DIO, ti fa riconoscere l’amore di Dio nella tua vita e ti fa capire e gustare la sua paternità, il suo AMORE. 

Il Padre è Amore che continuamente ci chiama, ci chiama per nome: Solo Lui conosce il mio vero nome (cf Is 45,4; Ap 2,17), solo Lui mi chiama per nome, il mio nome se l’è scritto sul palmo della sua mano (cf Is 49,16), se l’è scritto bene nel profondo del suo Cuore. Il Padre continuamente pronuncia il mio nome, sin dall’eternità, prima che mia mamma mi concepisse e mi tessesse nel suo seno, ancor prima, Lui, il Padre mi chiama per nome e mi ama di AMORE ETERNO, il Padre pronuncia il mio nome nel suo silenzio eterno e pronunciandolo mi fa esistere (cf Ger 31,3; Sal 139 (138), 15-16; Ef 1,3-5)

Il Padre è Amore che continuamente ci chiama e ci dice: “Ritornate figli traviati” (Ger 3,14.22); perché avete abbandonato me sorgente d’acqua viva e vi siete costruite cisterne screpolate che non mantengono l’acqua? E bevete acqua putrida invece della mia acqua viva? (cf Ger 2,13). “Ritornate figli traviati”: perché continuate a spendere i vostri averi per ciò che non vi sazia e non volete venire a mangiare il mio pane e bere il mio vino che soli possono regalarvi sazietà, pace e riposo? (cf Is 55,2) “Ritornate figli traviati”: perché continuate a pascolare i porci e a sfamarvi con le ghiande dei porci, mentre nella mia casa c’è posto per voi e cibo in abbondanza per tutti (cf Lc 15,11-31)?

IL FIGLIO È AMORE CHE SI SPOGLIA

Il Figlio è Amore che si è spogliato della sua veste di Dio per vestirsi della nostra povera veste umana e rivestire noi della sua.

Amore che si spoglia, Amore che si abbassa, Amore che serve, Amore che si inginocchia, Amore che lava i piedi, Amore che si lascia umiliare, Amore che si lascia sputacchiare, Amore che si lascia deridere, Amore che si lascia flagellare, Amore che si lascia torturare, Amore che si lascia crocifiggere, Amore che si consegna a noi totalmente nella morte e morendo ci regala l’AMORE per poter essere come Lui, l’AMORE per poter amare come Lui, 

Amore che si dona, che si consegna, che si regala a tutti senza misura, al di là di ogni misura…, la SPERANZA è la virtù che ti permette di appropriarti di questo AMORE.

La SPERANZA ti regala il titolo di proprietà su questo AMORE che ti fa ricco tu che sei povero, AMORE che ti fa grande tu che sei piccolo, AMORE ti fa santo tu che sei peccatore, AMORE che regala la santità a te che sei misero.

La SPERANZA è incrollabile fiducia di essere amati anche quando sappiamo bene di non essere amabili, la SPERANZA è serena certezza di essere accolti anche quando noi non ci accogliamo più…, la SPERANZA è sapersi perdonati sempre quando torniamo a Lui, foss’anche ripetendo continuamente e sempre gli stessi sbagli.

La SPERANZA è sfacciataggine d’Amore di dirgli che tu l’ami e l’hai appena tradito! La SPERANZA è permettere all’AMORE di inginocchiarsi davanti a te e lavarti e piedi…, la SPERANZA è presentarsi ogni giorno davanti a LUI a mani vuote per poterLo abbracciare meglio!

LO SPIRITO SANTO È AMORE CHE SI PERDE E SI FONDE NELL’UNITÀ 

Lo Spirito Santo è tutto l’Amore del Padre verso il Figlio e tutto l’Amore del Figlio verso il Padre. 

Il Padre e il Figlio pur essendo Due sono Uno perché c’è Lui, c’è lo Spirito Santo che è il loro eterno Amore: il perdersi eterno del Padre nel Figlio e del Figlio nel Padre li fonde nell’Unità, non sono più Due perché spirando lo Spirito Santo diventano eternamente Uno in Lui.

Lo Spirito Santo è dunque la sorgente di ogni Unità… 

La CARITÀ opera in noi in due direzioni complementari, la prima però è fondante e fondamentale, senza di essa non può realizzarsi la seconda. La CARITÀ per prima cosa ci rende capaci di accogliere nel nostro cuore l’amore di Dio per noi, la CARITÀ ci spinge a lasciarci amare così come siamo, lasciarci amare da Dio e da tutti. La CARITÀ opera così una ferita nel nostro cuore per la quale, una volta entrato l’Amore di Dio, tutti possono entrarvi e uscirvi quando vogliono.

La seconda direzione in cui opera in noi la CARITÀ è quella per cui con la CARITÀ noi riusciamo a dare amore, riusciamo ad amare nella verità. La CARITÀ è la capacità di amare sul serio spogliandosi come si è spogliato Gesù, consegnandosi come si è consegnato Gesù, morire come è morto Gesù e Gesù non è morto per i chiodi, ma per l’Amore che ci portava. Per questo la CARITÀ è la virtù, unica, che ci permette di vincere la morte morendo! Il Figlio si è incarnato e si è fatto uomo perché volendo insegnarci ad amare non aveva altro modo per morire! La CARITÀ è la legge dell’Amore: morire perché l’altro viva! La CARITÀ trasforma la morte in Amore! Se abbiamo paura della morte è solo perché non abbiamo la CARITÀ o non sappiamo cosa essa sia!.

La CARITÀ è partecipazione alla vita intima di Dio che è Amore, Amore che si dona e si consegna nell’assoluto e nella totalità, 

La è partecipazione del perdersi del Padre nel Figlio e del Figlio nel Padre, la carità dunque ti spinge a perderti, a non essere più perché sia solo e solamente l’altro, innanzi tutto l’Altro con la “A” maiuscola: “Non sono più io che vivo, ma è Gesù che vive in me!” (Gal 2,20),“Lui deve crescere e io diminuire!” (Gv 3,30). E quindi tutti gli altri: la CARITÀ ti spinge a farti piccolo perché gli altri possano avere più spazio per crescere!

La CARITÀ è dunque il tuo cuore aperto, spalancato e dilatato all’immensità di Dio e del creato, mai chiuso, sempre aperto, sempre ferito gocciolante sangue d’Amore per tutti per cui tutti possono entrarvi e uscirvi senza neanche chiederti permesso!.

La Vergine Santa, Figlia Prediletta del Padre, Mamma Amorosa del Figlio, Sposa Immacolata dello Spirito ci ottenga la grazia di vivere, maturare e morire in questa fede, in questa speranza e in questa carità a lode e gloria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Amen.                                                       j.m.j.

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SANTISSIMA TRINITÀ – TERZO SCHEMA

 

 

 

SSma Trinità                                                                        Omelia

 

Carissimi fratelli e sorelle,

come ogni anno celebriamo in questa domenica dopo Pentecoste, che ci riproietta nel Tempo liturgico Ordinario, la Solennità della SSma Trinità. È la celebrazione del mistero più grande, primario e fondamentale della nostra fede. 

Forse qualcuno potrebbe chiedersi: “Ma a che serve sapere che Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo? Non basta solo credere che esista? Non basta credere che esista qualcosa?”. No, non basta per un motivo molto semplice, perché noi siamo stati creati da Dio a sua immagine (cfr.  Gen 1,26) e quindi avere un’idea giusta di chi è Dio, avere un’immagine giusta di Dio significa avere il possesso di quell’unico specchio dove specchiandosi, la persona umana può vedere il suo vero volto, la sua verità intima.

Conoscere Dio quindi non è semplicemente una cosa importante per noi –  no! –  essa è la cosa più importante per noi. Infatti la primaria e più fondamentale schiavitù che asserve la persona umana è quella dell’ignoranza, il non sapere chi siamo, non sapere chi siamo chiamati ad essere, è la primaria schiavitù della persona.

La liberazione dell’uomo parte quindi dalla conoscenza della VERITÀ su se stessi, VERITÀ alla quale non potrà mai giungere senza specchiarsi nella VERITÀ DI DIO.

Ora poiché Dio è di per sé l’IRRANGIUNGIBILE, L’INAFFERABILE, L’INCONOSCIBILE, chi potrà mai liberarci da questa schiavitù esistenziale dell’ignoranza di noi stessi? Chi potrà dirci: “Venite qui che vi spiego chi è Dio, oppure, venite qui che vi spiego cosa vuol dire essere uomini, essere donne?” Quale ragionamento umano potrà spiegarci tutto questo? Quale parola umana potrà farci conoscere Dio?

Ringraziamo dunque l’infinita bontà e misericordia di Dio che non ha voluto lasciarci in questa schiavitù ed è venuta a liberarci facendosi conoscere, mostrandosi, presentandosi, entrando in dialogo con l’umanità alla maniera degli uomini, usando un linguaggio umano, parole umane per farsi conoscere ed entrare in relazione profonda di conoscenza e d’amore con noi.

Infatti noi crediamo che “nella pienezza dei tempi Dio mandò suo Figlio nato da donna” (Gal 4,4) e lo mandò appunto per liberarci da questa schiavitù e da ogni altra schiavitù. Gesù Cristo, Figlio della Vergine è il Figlio di Dio. Egli è l’unico vero Dio con il Padre e lo Spirito Santo. Egli è vero uomo come noi perché vero Figlio di Maria, con il Padre e lo Spirito Santo condivide la divinità, con Maria sua Mamma e con tutti noi condivide la natura umana. 

Gesù Cristo è quindi il RIVELATORE PER ECCELLENZA, e quindi il LIBERATORE DELL’UMANITÀ. Ogni persona umana trova in Lui, in Gesù Cristo, quello specchio che riflettendo perfettamente il vero volto di Dio, fa conoscere all’uomo se stesso. Gesù è così il rivelatore del vero volto di Dio e del vero volto dell’uomo.

"Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi". (Gv 8,31-32). Cosa ci fa conoscere Gesù? Gesù ci fa conoscere il vero volto di Dio, Lui stesso è il suo vero volto (cfr. Gv 14,9). Quel Dio che gli Ebrei avevano conosciuto perché aveva parlato ad Abramo e l’aveva fatto uscire dalla sua terra (cfr. Gen 12,1), che aveva parlato ad Isacco (cfr. Gen 26,24), a Giacobbe (cfr. Gen 35,1), che aveva chiamato Mosé dal roveto ardente per liberare quel popolo (cfr. Es 3,1ss) e costituirlo suo popolo attraverso il dono della legge (cfr. Es 24,1sss), e lo aveva condotto attraverso di lui per quarant’anni nel deserto, quel Dio che aveva reso forte e invincibile Giosué permettendogli di conquistare tutta la Palestina, che aveva governato quel popolo per duecento anni attraverso i suoi Giudici, che aveva scelto e ripudiato Saul come primo suo re e aveva costituito al suo posto Davide, che aveva dato scienza, sapienza e devozione a Salomone dal quale volle farsi costruire un Tempio, quel Dio che aveva punito l’infedeltà del suo popolo con la divisione dei due regni, con la devastazione e la vergogna della schiavitù, quel Dio che aveva avuto pietà di questo suo popolo e aveva fatto tornare un suo “resto” piccolo e umile con cui ricostruire la sua storia di salvezza, quel Dio che era stato a fianco di questo suo “resto” nell’oppressione della dominazione greca dandogli tanta forza da vincere lo spietato aggressore della sua fede (1-2Mac), quel Dio che aveva permesso che il suo popolo cadesse in mano dei Romani, ecco quel Dio che loro avevano conosciuto attraverso la storia dei loro padri e gli oracoli dei Profeti, quel Dio forte e potente che aveva fatto ogni cosa dal nulla con la potenza della sua parola, quel Dio era il “Padre suo e Padre nostro” (Gv 20,17).

Gesù Cristo in tutto quello che Lui farà e dirà cercherà sempre di farci capire chi è veramente Dio: il Padre. La benevolenza di Gesù e il suo tratto con i peccatori (cfr. Lc 7,36ss; 19,1ss), la sua compassione per gli ammalati (cfr. Mt 4,24) e gli afflitti (cfr. Lc 7,11ss), la sua amicizia offerta nell’intimità della relazione personale (cfr. Lc 10,38; Gv 11) e nella partecipazione alle gioie (cfr. Gv 2,1ss) e ai dolori della famiglia umana (cfr. Gv 11,35), il suo cercare e aspettare le persone per incontrarle e far loro scoprire e dissetare Lui le loro seti nascoste (cfr. Gv 4), le sue parabole della gioia e della festa per il ritrovamento della pecorella smarrita, della dramma smarrita e del figlio smarrito che quel buon papà riabbraccia in lacrime (cfr. Lc 15)… ecco tutto ci fa conoscere, ci fa toccare, ci mostra il Padre.

Gesù è il rivelatore del Padre e poiché è il Figlio amato nel quale il Padre si compiace (cfr. Lc 3,22), Egli è il rivelatore del vero volto di ogni uomo che in Lui è chiamato dal Padre ad essere suo figlio. 

Ecco la liberazione fondamentale dall’ignoranza: conoscere Gesù, significa conoscere “la via, la verità, la vita”(Gv 14,6)Gesù è il “Maestro” (Gv 13,13), Maestro d’umanità. Chi vuole imparare a vivere da vera persona umana deve andare alla sua scuola e imparare da Lui. 

Come potremmo sintetizzare tutto l’insegnamento di Gesù? Io penso che queste tre frasi possono riassumerlo tutto:

1. Il Padre mio mi ama (Gv 10,7) e mio cibo è fare la sua volontà (Gv 4,34)

2. Non sono venuto per essere servito, ma per servire e dare la mia vita per voi (Lc 20,28).

3. Imparate dunque da me che sono mite e umile di cuore (Lc 11,29).

Ma Gesù Cristo non è solo un Maestro esteriore, un indicatore di direzione, una Guida al bene, al vero, al bello, al buono 

Infatti noi tutti ben sappiamo come non è sufficiente alla persona umana conoscere la verità, ciò che è giusto perché poi lo viva, lo metta in pratica, lo testimoni. C’è un saggio proverbio popolare che dice: “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”.

Ecco, noi che abbiamo conosciuto Gesù e il suo Amore dovremmo cambiare questo proverbio con la testimonianza della nostra storia personale, non più “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”, bensì “Tra il dire e il fare c’è di mezzo lo Spirito Santo”. Ecco la Terza Persona della SSma Trinità, è il Dono del Padre e del Figlio, il loro stesso Amore sussistente con cui si amano dall’eternità e che a noi dona, nel tempo, la forza di amare.

Come lo Spirito Santo adombrò la Vergine Maria per realizzare il mistero dell’incarnazione del Verbo Eterno del Padre, del Figlio di Dio che da quel momento diventa e sarà per sempre anche “Figlio dell’uomo”, così il Padre e il Figlio mandano il loro stesso Santo Spirito sulla Chiesa perché ogni figlio d’uomo possa in Lei diventare per sempre figlio di Dio ed esserlo realmente (cfr. 1Gv 3,1).

Si tratta di un dono personale che realizza la relazione d’intimità della persona umana con Dio Trinità.

Vedete, la conoscenza di Gesù, di quanto Lui abbia fatto e patito per noi, la conoscenza stessa del suo amore per noi e la conseguente conoscenza del volto paterno di Dio sarebbe un qualcosa di esteriore, di staccato, di freddo se non ci fosse comunicato nello Spirito Santo. 

Conoscere Gesù e conoscere il “Padre suo e Padre nostro” sarebbe assolutamente insignificante per le nostre vite se non ci fosse comunicato nello Spirito Santo. Le nostre vite infatti non cambiano perché semplicemente qualcuno ci ha detto qualcosa di un certo Gesù Cristo, o abbiamo saputo, leggendo, qualcosa di Lui e del Padre suo e nostro, le nostre vite cambiano quando “l’amore di Dio viene riversato nei nostri cuori dallo Spirito Santo” (Rm 5,5).

Celebrare quindi la Festa della SS.ma Trinità non può e non deve essere per nessun cristiano la celebrazione di una festa astratta, di qualcosa di lontano e di ieratico, ma una festa che ci coinvolge esistenzialmente e esperienzalmente, in quanto ci è stato donato lo Spirito Santo e per mezzo suo noi siamo in rapporto vivo, stretto, personale ed esistenziale con la SSma Trinità e siamo cristiani nella misura in cui “camminiamo secondo lo Spirito” (Gal 5,25).

Dire che abbiamo ricevuto lo Spirito Santo significa dire che abbiamo non semplicemente una qualche conoscenza di Dio, ma abbiamo l’esperienza viva, esistenziale e personale di Dio Trinità e della sua forza d’Amore che ha trasformato e trasforma la nostra vita di ogni giorno.

A questo mondo incredulo di ieri e di oggi il cristiano è chiamato non tanto a parlare di Dio e del suo Figlio e dello Spirito – no! – è invece chiamato a testimoniare un’esperienza che ha trasformato la propria vita in una vita da figlio di Dio per la potenza di un Amore grande e potente che è stato riversato nel suo cuore: lo Spirito Santo.

La Maria SSma –  che è stata ed è la nostra verginale porta del mistero della SSma Trinità, attraverso la Quale abbiamo potuto scoprirlo e diventarne partecipi – ci insegni e ci aiuti ad introdurci sempre più e sempre meglio in questo mistero di amore che ci invisibilmente, ma realmente, ci avvolge e impregna.

Amen.            j.m.j.

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SANTISSIMA TRINITÀ – QUARTO SCHEMA

Solennità della SSma Trinità – Anno “B”                Omelia

L’unico specchio dell’uomo

 

Carissimi fratelli e sorelle,

come ogni anno celebriamo in questa domenica dopo Pentecoste, che ci riproietta nel Tempo liturgico Ordinario, la Solennità della SSma Trinità. È la celebrazione del mistero più grande, primario e fondamentale della nostra fede. 

Forse qualcuno potrebbe chiedersi: “Ma a che serve sapere che Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo? Non basta solo credere che esista? Non basta credere che esista qualcosa?”. No, non basta per un motivo molto semplice, perché noi siamo stati creati da Dio a sua immagine (cfr.  Gen 1,26) e quindi avere un’idea giusta di chi è Dio, avere un’immagine giusta di Dio significa avere il possesso di quell’unico specchio dove specchiandosi, la persona umana può vedere il suo vero volto, la sua verità intima. Conoscere Dio quindi non è semplicemente una cosa importante per noi – no! – essa è la cosa più importante per noi. Infatti la primaria e più fondamentale schiavitù che asserve la persona umana è quella dell’ignoranza, il non sapere chi siamo, non sapere chi siamo chiamati ad essere, è la primaria schiavitù della persona.

La liberazione dell’uomo parte quindi dalla conoscenza della VERITÀ su se stessi, VERITÀ alla quale non potrà mai giungere senza specchiarsi nella VERITÀ DI DIO. Ora poiché Dio è di per sé l’IRRANGIUNGIBILE, L’INAFFERABILE, L’INCONOSCIBILE, chi potrà mai liberarci da questa schiavitù esistenziale dell’ignoranza di noi stessi? Chi potrà dirci: “Venite qui che vi spiego chi è Dio, oppure, venite qui che vi spiego cosa vuol dire essere uomini, essere donne?” Quale ragionamento umano potrà spiegarci tutto questo? Quale parola umana potrà farci conoscere Dio?

Ringraziamo dunque l’infinita bontà e misericordia di Dio che non ha voluto lasciarci in questa schiavitù ed è venuta a liberarci facendosi conoscere, mostrandosi, presentandosi, entrando in dialogo con l’umanità alla maniera degli uomini, usando un linguaggio umano, parole umane per farsi conoscere ed entrare in relazione profonda di conoscenza e d’amore con noi.

Infatti noi crediamo che “nella pienezza dei tempi Dio mandò suo Figlio nato da donna” (Gal 4,4) e lo mandò appunto per liberarci da questa schiavitù e da ogni altra schiavitù. Gesù Cristo, Figlio della Vergine è il Figlio di Dio. Egli è l’unico vero Dio con il Padre e lo Spirito Santo. Egli è vero uomo come noi perché vero Figlio di Maria, con il Padre e lo Spirito Santo condivide la divinità, con Maria sua Mamma e con tutti noi condivide la natura umana. 

Gesù Cristo è quindi il RIVELATORE PER ECCELLENZA, e quindi il LIBERATORE DELL’UMANITÀ. Ogni persona umana trova in Lui, in Gesù Cristo, quello specchio che riflettendo perfettamente il vero volto di Dio, fa conoscere all’uomo se stesso. Gesù è così il rivelatore del vero volto di Dio e del vero volto dell’uomo.

"Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi". (Gv 8,31-32). Cosa ci fa conoscere Gesù? Gesù ci fa conoscere il vero volto di Dio, Lui stesso è il suo vero volto (cfr. Gv 14,9). Quel Dio che gli Ebrei avevano conosciuto perché aveva parlato ad Abramo e l’aveva fatto uscire dalla sua terra (cfr. Gen 12,1), che aveva parlato ad Isacco (cfr. Gen 26,24), a Giacobbe (cfr. Gen 35,1), che aveva chiamato Mosé dal roveto ardente per liberare quel popolo (cfr. Es 3,1ss) e costituirlo suo popolo attraverso il dono della legge (cfr. Es 24,1sss), e lo aveva condotto attraverso di lui per quarant’anni nel deserto, quel Dio che aveva reso forte e invincibile Giosué permettendogli di conquistare tutta la Palestina, che aveva governato quel popolo per duecento anni attraverso i suoi Giudici, che aveva scelto e ripudiato Saul come primo suo re e aveva costituito al suo posto Davide, che aveva dato scienza, sapienza e devozione a Salomone dal quale volle farsi costruire un Tempio, quel Dio che aveva punito l’infedeltà del suo popolo con la divisione dei due regni, con la devastazione e la vergogna della schiavitù, quel Dio che aveva avuto pietà di questo suo popolo e aveva fatto tornare un suo “resto” piccolo e umile con cui ricostruire la sua storia di salvezza, quel Dio che era stato a fianco di questo suo “resto” nell’oppressione della dominazione greca dandogli tanta forza da vincere lo spietato aggressore della sua fede (1-2Mac), quel Dio che aveva permesso che il suo popolo cadesse in mano dei Romani, ecco quel Dio che loro avevano conosciuto attraverso la storia dei loro padri e gli oracoli dei Profeti, quel Dio forte e potente che aveva fatto ogni cosa dal nulla con la potenza della sua parola, quel Dio era il “Padre suo e Padre nostro” (Gv 20,17).

Gesù Cristo in tutto quello che Lui farà e dirà cercherà sempre di farci capire chi è veramente Dio: il Padre. La benevolenza di Gesù e il suo tratto con i peccatori (cfr. Lc 7,36ss; 19,1ss), la sua compassione per gli ammalati (cfr. Mt 4,24) e gli afflitti (cfr. Lc 7,11ss), la sua amicizia offerta nell’intimità della relazione personale (cfr. Lc 10,38; Gv 11) e nella partecipazione alle gioie (cfr. Gv 2,1ss) e ai dolori della famiglia umana (cfr. Gv 11,35), il suo cercare e aspettare le persone per incontrarle e far loro scoprire e dissetare Lui le loro seti nascoste (cfr. Gv 4), le sue parabole della gioia e della festa per il ritrovamento della pecorella smarrita, della dramma smarrita e del figlio smarrito che quel buon papà riabbraccia in lacrime (cfr. Lc 15)… ecco tutto ci fa conoscere, ci fa toccare, ci mostra il Padre.

Gesù è il rivelatore del Padre e poiché è il Figlio amato nel quale il Padre si compiace (cfr. Lc 3,22), Egli è il rivelatore del vero volto di ogni uomo che in Lui è chiamato dal Padre ad essere suo figlio. Ecco la liberazione fondamentale dall’ignoranza: conoscere Gesù, significa conoscere “la via, la verità, la vita”(Gv 14,6)Gesù è il “Maestro” (Gv 13,13), Maestro d’umanità. Chi vuole imparare a vivere da vera persona umana deve andare alla sua scuola e imparare da Lui. 

Come potremmo sintetizzare tutto l’insegnamento di Gesù? Io penso che queste tre frasi possono riassumerlo tutto:

1. Il Padre mio mi ama (Gv 10,7) e mio cibo è fare la sua volontà (Gv 4,34)

2. Non sono venuto per essere servito, ma per servire e dare la mia vita per voi (Lc 20,28).

3. Imparate dunque da me che sono mite e umile di cuore (Lc 11,29).

Ma Gesù Cristo non è solo un Maestro esteriore, un indicatore di direzione, una Guida al bene, al vero, al bello, al buono. Infatti noi tutti ben sappiamo come non è sufficiente alla persona umana conoscere la verità, ciò che è giusto perché poi lo viva, lo metta in pratica, lo testimoni. C’è un saggio proverbio popolare che dice: “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”.

Ecco, noi che abbiamo conosciuto Gesù e il suo Amore dovremmo cambiare questo proverbio con la testimonianza della nostra storia personale, non più “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”, bensì “Tra il dire e il fare c’è di mezzo lo Spirito Santo”. Ecco la Terza Persona della SSma Trinità, è il Dono del Padre e del Figlio, il loro stesso Amore sussistente con cui si amano dall’eternità e che a noi dona, nel tempo, la forza di amare. 

Come lo Spirito Santo adombrò la Vergine Maria per realizzare il mistero dell’incarnazione del Verbo Eterno del Padre, del Figlio di Dio che da quel momento diventa e sarà per sempre anche “Figlio dell’uomo”, così il Padre e il Figlio mandano il loro stesso Santo Spirito sulla Chiesa perché ogni figlio d’uomo possa in Lei diventare per sempre figlio di Dio ed esserlo realmente (cfr. 1Gv 3,1). Si tratta di un dono personale che realizza la relazione d’intimità della persona umana con Dio Trinità.

Vedete, la conoscenza di Gesù, di quanto Lui abbia fatto e patito per noi, la conoscenza stessa del suo amore per noi e la conseguente conoscenza del volto paterno di Dio sarebbe un qualcosa di esteriore, di staccato, di freddo se non ci fosse comunicato nello Spirito Santo. Conoscere Gesù e conoscere il “Padre suo e Padre nostro” sarebbe assolutamente insignificante per le nostre vite se non ci fosse comunicato nello Spirito Santo. Le nostre vite infatti non cambiano perché semplicemente qualcuno ci ha detto qualcosa di un certo Gesù Cristo, o abbiamo saputo, leggendo, qualcosa di Lui e del Padre suo e nostro, le nostre vite cambiano quando “l’amore di Dio viene riversato nei nostri cuori dallo Spirito Santo” (Rm 5,5).

Celebrare quindi la Festa della SS.ma Trinità non può e non deve essere per nessun cristiano la celebrazione di una festa astratta, di qualcosa di lontano e di ieratico, ma una festa che ci coinvolge esistenzialmente e esperienzalmente, in quanto ci è stato donato lo Spirito Santo e per mezzo suo noi siamo in rapporto vivo, stretto, personale ed esistenziale con la SSma Trinità e siamo cristiani nella misura in cui “camminiamo secondo lo Spirito” (Gal 5,25). 

Dire che abbiamo ricevuto lo Spirito Santo significa dire che abbiamo non semplicemente una qualche conoscenza di Dio, ma abbiamo l’esperienza viva, esistenziale e personale di Dio Trinità e della sua forza d’Amore che ha trasformato e trasforma la nostra vita di ogni giorno. 

A questo mondo incredulo di ieri e di oggi il cristiano è chiamato non tanto a parlare di Dio e del suo Figlio e dello Spirito – no! – è invece chiamato a testimoniare un’esperienza che ha trasformato la propria vita in una vita da figlio di Dio per la potenza di un Amore grande e potente che è stato riversato nel suo cuore: lo Spirito Santo.

La Maria SSma –  che è stata ed è la verginale porta del mistero della SSma Trinità, attraverso la Quale abbiamo potuto scoprirlo e diventarne partecipi – ci insegni e ci aiuti ad introdurci sempre più e meglio in questo mistero di amore che ci invisibilmente, ma realmente, ci avvolge e impregna.

Amen.       j.m.j.

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SANTISSIMA TRINITÀ – QUINTO SCHEMA

Solennità della Santissima Trinità               Omelia

 

 

 

UNO IN TRE

Carissimi fratelli e sorelle

oggi domenica successiva alla Pentecoste celebriamo solennemente il mistero più grande della nostra fede, mistero nel quale siamo stati immersi dall’eternità quando il Padre ci ha pensati nella sua fantasia divina creandoci poi nel tempo per mezzo del suo Figlio, col quale ha fatto ogni cosa (cfr. Gv 1,3) nello Spirito Santo.

Celebriamo il mistero della SSma Trinità, mistero che ci invade e ci sommerge da sempre, ma del quale non sempre abbiamo la consapevolezza della mente e la percezione nello spirito.

Mistero che ci sfugge e ci trascende e che riusciamo ad afferrare solo nella luminosità oscura della fede con la quale l’abbracciamo e nella quale siamo chiamati ad immergerci ogni giorno di più fino al giorno in cui saremo tutti UNO in esso (cfr. Gv 17,21).

Cosa possiamo dire di questo mistero? Possiamo dire poco, ma quel poco è così tanto che ogni volta che lo contempliamo, dilata la nostra anima, illumina il nostro spirito, allarga il nostro cuore.

Infatti chiamati all’esistenza dalla Trinità siamo stati creati a sua immagine e la nostra vita trova completezza, senso e pienezza solo quando s’immerge in Lei lasciandosi invadere dallo Spirito Santo che il Padre e il Figlio ci inviano per aspirarci a sé nel vortice dell’Amore. Il Padre infatti ci attira, nello Spirito Santo, verso il Figlio (cfr. Gv 6,44) che ci unisce a sé nello stesso Spirito per proiettarci verso il Padre (cfr. Gal 4,6).

È tutto lì il senso della vita umana e di ogni esistenza: entrare nel vortice d’Amore della Trinità. Carissimi fratelli e sorelle, il tempo estivo che viviamo ci richiama tutto questo correre affannoso dell’umanità in cerca di uno svago, di un riposo, di una quiete che sono solo una piccola eco di quella nostalgia di pienezza, di pace e di gioia che la persona umana può veramente trovare solo in Dio e Dio è Trinità.

Vedete, c’è una domanda che mette in crisi chiunque: qual’è il senso della vita, il senso delle cose, il senso del mondo? Ora, noi sappiamo nella fede che è lì il senso profondo di ogni cosa che è uscita fuori, che è venuta all’esistenza dal Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo. Tutto è stato creato dal Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo. Tutto è uscito fuori dalla Trinità e tutto torna alla Trinità: ecco il senso delle cose, ecco il senso della vita umana, ecco il senso del mondo: ritornare alla Trinità e tutto torna al Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo.

Ma chi è questo Dio Padre? cosa possiamo dire di Lui? Cosa sappiamo di Lui? cosa dice la nostra fede di Lui?

Negli anni settanta ricordo un racconto di vita vissuta trasmesso alla radio in cui si raccontava la storia della conversione di un uomo anziano malato, molto malato, cieco e con tante altre malattie contratte in seguito all’esplosione della bomba atomica a Nagasaki o a Hiroscima, non ricordo bene. A quei tempi quell’uomo, vero relitto umano, era un pilota kamikaze pronto a suicidarsi per l’onore e la gloria dell’Imperatore del Giappone, un po’ come questi tanti – purtroppo! – di oggi che si fanno esplodere a destra e a sinistra. Ebbene questo relitto umano un giorno fu portato dall’ospedale che l’ospitava su un isoletta a fare un qualche giorno di vacanza. Fu lì che – provvidenzialmente – partecipò ad un incontro di preghiera di alcuni cristiani e fu lì, in quell’incontro che scoppiò per lui – sarà lui stesso ad esprimersi così –  la seconda bomba atomica, la prima gli aveva levato la vista degli occhi e l’aveva reso un relitto umano, la seconda bomba atomica gli donò la luce agli occhi dell’anima e gli rese la dignità di figlio di Dio. Ma cosa successe da travolgere e trasformare così quel povero disgraziato di uomo? 

In quella riunione di preghiera dei cristiani quell’uomo sentì per la prima volta nella sua vita questa frase che lo fulminò e lo trasformò per sempre, sentì quei cristiani che dicevano con amore e devozione: «Padre nostro che sei nei cieli…». Si aprirono i cieli della sua anima e vide quel Padre che aveva rincorso senza saperlo da sempre, perché era suo figlio.

Chi è dunque il Padre? È Colui che ci ama dall’eternità e Colui che aspetta, aspetta che ci ricordiamo di Lui, della sua Casa dove c’è un posto riservato per ciascuno di noi (cfr. Gv 14,2-3) dove non piangeremo più, dove ogni lacrima sarà asciugata (cfr.  Is 25,8) e dove non ci sarà una festa con qualche posto vuoto perché qualcuno non c’è più. 

Ricordo che il momento della mia vita in cui mi sono sentito più vicino al Padre e ho capito chi è il Padre, fu quando, ancora seminarista, feci una visita inaspettata a casa dei miei genitori, mio padre, vecchio e malandato era seduto in cucina e quando mi vide entrare il suo volto si irradiò di gioia e protese le sue braccia verso di me senza dirmi una parola! In quel volto e in quelle braccia io quel giorno mi sono incontrato con Dio Padre, il mio povero babbo fu un piccolo segno di Lui, con le sue braccia aperte e con le lacrime agli occhi per la gioia di vedermi. Sì, lì mi sono incontrato con il Padre. 

Cosa dirvi di più, il Padre è Colui che ci ama di amore eterno (cfr. Ger 31,3; Gv 16,27) e desidera che ritorniamo a Lui (cfr. Ml 3,7; Ag 1,17; Am 4,6.8.9.10.11; Ger 3,14.22: Gl 2,12-13; Is 31,6; Lc 15,11ss) riconoscendo che ci siamo allontanati da Lui, dalla sua Legge che Lui stesso ha iscritto profondamente nel nostro animo.

Il Padre è Colui che chiama: ha chiamato ogni uomo alla vita e lo chiama in continuazione così come chiamò Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosé, Samuele, Saul, Davide… ecc. così ci chiama per nome (cfrr.  Is 41,25; 43,1; 45,4) e in quel nome con cui ci chiama c’è tutto il senso profondo della nostra vita (cfr. Ap 2,17).

 

Chi è il Figlio? Il Figlio è Colui che, Unico, può svelarci il senso, il significato di quel nome con cui il Padre ci ha chiamato e ci chiama. Infatti è in Lui che “siamo stati scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi” (Ef 1,3-5). Per mezzo del Figlio il Padre ha creato ogni cosa e mantiene nell’esistenza ogni cosa (cfr. Gv 1,1-3; Eb 1.3). Nella “pienezza dei tempi” (Gal 4,4) Egli, mandato dal Padre, s’incarnò per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine Maria (cfr. Lc 1,35) e si fece uomo per noi, per ricondurci alla Casa del Padre, quella Casa che avevamo tutti abbandonato in seguito al peccato. Egli allora si fece “Via” (Gv 14,6) per noi perché avessimo in Lui accesso al Padre (cfr. Gv 10,7), pagò Lui il debito che era nostro (Col 2,14) e in se stesso ci diede l’esempio (cfr. Gv 13,15) perché imparassimo da Lui (cfr. Mt 11,29) ad essere quei figli buoni e ubbidienti tanto desiderati dal Padre (cfr. Mt 21,28-31) che amano servire e non essere serviti (cfr. Mt 20,28), che sanno mettersi all’ultimo posto (cfr. Lc 14,10), che non si ritengono superiori agli altri (cfr. Lc 17,10), che sanno essere benevoli verso tutti, verso buoni e verso i cattivi, così come “il Padre del Cielo fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e sopra gli inigusti” (Mt 5,45), che sanno perdonare tutti perché di tutto il Padre ha loro perdonato (cfr. Mt 6,14-15; 18,23ss), che – infine – sappiano donare la propria vita per amore suo come Lui ha donato a noi la sua vita per amore nostro (cfr. Gv 15,12-13). E così, seguendo Lui (cfr. Lc 9,23), attendere di essere presi da Lui per prendere possesso di quel posto che Lui ha preparato per ciascuno di noi nella Casa del Padre (cfr. Gv 14,2-3).

 

Chi è lo Spirito Santo? È Colui nel Quale il Padre ha fatto ogni cosa. Tutto è stato fatto dal Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo. Mentre il Figlio esprime il Padre perché è il suo Verbo eterno (cfr. Gv 1,1), la sua “impronta” (Eb 1,3), lo Spirito esprime l’intimità del Padre che si specchia nel Figlio e del Figlio che si rivolge al Padre, “Dio è Amore” (1Gv 4,8.16), quindi il Padre è Amore, il Figlio è Amore, lo Spirito Santo è Amore, ma questo nome appartiene in modo particolare a Lui, allo Spirito Santo che se ne appropria mirabilmente perché è in Lui che il Padre e il Figlio sono UNO, perché è Lui l’intimo vincolo d’unità e di comunione che Li unisce inscindibilmente nell’eternità. È  Lui quello stesso sguardo compiaciuto del Padre (cfr. Lc 3,22) ed estasiato del Figlio (cfr. Mt 11,25) con cui si guardano dall’eternità.

E lo Spirito Santo viene mandato sulla Chiesa, su ciascuno di noi infatti, nella Chiesa, “viene riversato nei nostri cuori l’amore di Dio per mezzo dello Spirito Santo che ci viene donato” (Rm 5,5). Qual’è l’opera dunque dello Spirito nei nostri cuori? Egli ci attira verso il Figlio (cfr. Gv 6,44). Il Padre infatti ci manda lo Spirito Santo che – come abbiamo detto –  è il suo stesso sguardo compiaciuto verso il Figlio. Lo Spirito dunque suscita in noi Amore, amore verso Gesù, ci attira verso Gesù. 

È lo Spirito che suscita in noi il fascino di Gesù Cristo che ci fa sentire il suo “profumo olezzante” (Ct 1,3) e ci attira verso di Lui nella corsa dell’amore (cfr. Ct 1,4). È Lui, lo Spirito Santo che conquista (cfr. Fil 3,12) e seduce (cfr. Ger 20,7) il nostro cuore a Gesù Cristo. Senza lo Spirito Santo la vita, la storia, il personaggio di Gesù Cristo è nulla per noi, tutt’al più un grande uomo e nulla di più, ma quando lo Spirito soffia nel nostro cuore e lo conquista a Lui, Gesù Cristo diventa tutto per noi, diventa tutto per me al punto che nulla ha senso per me se non riesco a leggervi il suo nome (cfr. Fil 3,8).

È lo Spirito Santo che ci unisce al Figlio, al Verbo incarnato come Lui è unito al Padre e ci riveste di Lui (cfr. Gal 3,27) e ci fa “nuove creature” (2Cor 5,17), ci inserisce in Lui come membri vivi del suo corpo che è la Chiesa (cfr. 1Pt 2,5; Ef 1,23; 3,6; 4,4; 4,16). È lo Spirito dunque che suscita in noi l’amore per la Chiesa facendoci vedere in Essa la Sposa del Verbo (Ap 2,9; Ef 5,25). 

È lo Spirito che unendoci al Figlio ci comunica la sua Passione per il Padre. È lo Spirito che unendoci a Gesù ci orienta intimamente al Padre e ci inserisce vitalmente in quello sguardo d’amore con cui il Verbo guardava estasiato dall’eternità il Padre pronto ad eseguire ogni suo comando (cfr. Gv 8,28-29). 

È lo Spirito Santo che ci invita e ci spinge alla partecipazione della Eucarestia dove si costruisce e si edifica la Chiesa e dove la molteplicità dei credenti realizzano già qui sulla terra quell’UNITÁ che sta tanto a cuore a Gesù (cfr. Gv 17,11) e che è la nostra vocazione finale: essere UNO nella Trinità!

È lo Spirito Santo che ci invita e ci spinge alla partecipazione della Eucarestia dove si costruisce e si edifica la Chiesa, dove impariamo mangiando di Lui a vivere per Lui e Lui viveva per il Padre (cfr. Gv 6,57).

Ecco, carissimi fratelli e sorelle, concludiamo questa omelia con uno sguardo a Maria Vergine, ci aiuti Lei a crescere ogni giorno di più nella consapevolezza e nell’amore verso questo Mistero d’Amore che ci sommerge e c’invade. Lei, ci aiuti ad aprirci allo Spirito Santo per rendere anche la nostra vita feconda di Gesù e, in Lui e con Lei, possiamo così ritrovarci tutti figli amati del Padre qui e nell’eternità. 

Amen.                     j.m.j.

 

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SOLENNITÀ DEL SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO – PRIMO SCHEMA

Solennità del SSmo Corpo e Sangue di N. S. Gesù Cristo                 Omelia

La “fissione nucleare”

Carissimi fratelli e sorelle, 

celebriamo oggi la Solennità del SSmo Corpo e Sangue di N. S. G. C., divino sacramento che trova una sua lontana figura nell’offerta  del pane e del vino che fa Melchisedek nel V.T., una sua più palese prefigurazione nel miracolo della moltiplicazione dei pani e una sua fedele descrizione nella Prima lettera di Paolo ai Corinzi, brani biblici che abbiamo appena finito di ascoltare.

La Chiesa già il Giovedì Santo celebra solennemente questo mistero del SS.mo Corpo e Sangue di N. S. Gesù Cristo, come mai questo duplicato?

Questa festa nacque in seguito alla splendida fioritura della devozione eucaristica verificatasi nella cristianità nell XI° secolo e fu istituita da papa Urbano IV in seguito al miracolo di Bolsena dove, nel 1264, un’Ostia santa sanguinò subito dopo essere stata consacrata da un prete scettico che dubitava della presenza reale.

Urbano IV incaricò Tommaso d’Aquino, il grande dottore della Chiesa, a preparare tutte le preghiere liturgiche per questa festa. La processione eucaristica legata ad essa iniziò a Colonia in Germania, quindi passò in Francia e nel 1350 iniziò a celebrarsi anche a Roma.

Nella solennissima liturgia del Giovedì Santo all’inizio del Triduo Pasquale, la Chiesa celebra tre particolari aspetti del mistero eucaristico: La sua istituzione, l’istituzione del sacerdozio e il comando dell’amore reciproco significato dalla lavanda dei piedi.

Oggi, invece, di questo immenso mistero d’amore celebriamo un altro aspetto: la presenza, la presenza ineffabile, mirabile e umile del Signore Gesù Risorto e Vivo presente in questo sacramento con il Suo Corpo immolato e il Suo Sangue versato.

Ogni presenza di una persona richiede ed esige “attenzione”. L’“attenzione” è l’attitudine propria di chi ama e sa accogliere l’altro come un “soggetto” da amare. L’“attenzione” è la delicatezza di chi ama e si accorge della presenza discreta dell’altro e gli viene incontro nelle sue necessità. Solo chi ama si accorge dell’“altro”, perché chi non ama è chiuso in se stesso e si accorge dell’“altro” solo se gli può essere utile per qualcosa, altrimenti per lui è come se non esistesse.

Dio ama nascondere la sua presenza, ama non imporre la sua presenza, perché è AMORE GRATUITO CHE NON S’IMPONE. Se Dio manifestasse con potenza la sua presenza imporrebbe necessariamente riverenza e timore. Se Dio mostrasse anche solo qualcosa della sua Onnipotenza, tutti saremmo annichiliti, spaventati e pronti a servirlo ai minimi suoi cenni, perché Egli è trascendenza assoluta. 

Pensate solo a quello che succede in qualunque ambiente sociale quando in esso capita qualche potente di questo mondo o qualche divo dello spettacolo o dello sport. Come tutta l’attenzione è su di lui e come si fa a gara per compiacerlo. E Dio sarebbe di meno di un potente di questa terra? Se solo volesse, nessuno potrebbe sottrarsi alla sua adorazione, al suo servizio, al suo amore. Ma non vuole essere amato perché forte e potente, e allora si nasconde per lasciarsi scoprire dalla “fede”.

La “fede” è una virtù mirabile perché ci permette di accostarci a Dio e di esserGli graditi (cf Eb 11,6). È la “fede” che permette di scoprire la presenza di Dio nella storia e di capire quello che Lui fa e ha fatto per salvarci. È sempre la “fede” che ci svela il senso profondo delle umiliazioni della vita che ci mostrano con fredda certezza che non siamo noi Dio, perché impotenti, deboli e bisognosi di Qualcuno che ci salvi (prima lettura). E la “fede” poi ci conduce alla “gratitudine” cioè al riconoscimento grato di quanto Lui ha fatto e fa per noi, ci conduce cioè all’amore di Dio, perché l’essenza dell’amore dell’uomo verso Dio è “gratitudine” per quanto ricevuto e si riceve da Lui senza nostro merito. L’essenza, invece, dell’amore di Dio nei nostri confronti è “misericordia”“perché ci ama per primo” (1Gv 4,19).

La “gratitudine” richiede dalla persona un ricordo costante, un “far memoria” di quanto ricevuto. L’ingratitudine è il peccato peculiare dei figli: figli ingrati! Quante pene, quante sofferenze, quanti sacrifici per crescere su quel figlio…, quella figlia… e poi? Poi, come purtroppo spesso succede, poi il disinteresse e l’abbandono. Quanta sofferenza c’è nel cuore di tanti genitori perché hanno figli ingrati, ebbene essi partecipano al dolore di Dio verso noi suoi figli così troppo spesso ingrati verso il suo IMMENSO AMORE. Immenso Amore nel quale siamo immersi e avvolti, ma che troppo spesso ci trova indifferenti, distratti e quindi 

ingrati. 

Nel V.T. il Signore aveva ammonito il suo popolo di “non dimenticare” quanto Lui aveva fatto per loro liberandoli dalla schiavitù dell’Egitto(cf Dt 4,9) Per questo stesso motivo aveva imposto le varie feste liturgiche annuali: il popolo non doveva dimenticare! Non doveva dimenticare la mano potente di Dio sugli Egiziani e per questo dovevano celebrare la “Pasqua” (cf Es 12,14) ; non dovevano dimenticare i 40 anni passati vagando nel deserto, per questo ogni anno dovevano celebrare la “Festa delle Capanne” vivendo per una settimana in capanne di frasche (cf Lv 23,42-43); non dovevano dimenticare di aver ricevuto da Dio i “Dieci comandamenti” per questo ogni anno celebravano la festa di “Pentecoste” come festa del rinnovamento dell’Alleanza (cf 2Cr 15,10ss) e soprattutto non dovevano dimenticarsi mai di essere stati creati da Dio, per questo celebravano la festa del “Sabato” ogni settimana e in questo giorno si riunivano nel Tempio o nella Sinagoga (cf Lv 23,3)..

Questo nel Vecchio Testamento, ma nel Nuovo, il buon Dio ha fatto qualcosa di più…, ha fatto molto di più! Infatti “ci ha donato suo Figlio, l’unico Figlio” (Gv 3,16) ce lo ha consegnato per amore, un amore troppo grande per noi uomini così piccoli! In Lui, in Gesù, Dio Padre ha nascosto la sua presenza e il suo amore per noi, solo la “fede” ci permette di scoprirLo: quel “Bimbo” che la Vergine avvolge in fasce e depone sulla mangiatoia, è Dio! Quel “Penitente” che chiede il battesimo a Giovanni, è Dio! Quel “Poveruomo” che siede stanco e assettato al pozzo di Giacobbe (cf Gv 4,6), è Dio! Quel “Prigioniero” che i soldati scherniscono e torturano, è Dio! Quel “Condannato” che pende morto dal legno di una croce, è Dio! È Dio nascosto così bene! Chi può scoprirLo? Solo la “fede”, solo la “fede” mi permette di scoprire quest’amore così grande e così nascosto! Chi poteva pensare che quel “Crocifisso” che pendeva inanime, ormai vinto e travolto dalla prepotenza e dall’odio, fosse Dio? Poteva nascondersi di più? Sì, poteva nascondersi di più, poteva e L’ha fatto, perché Lui può far tutto! 

E così si è nascosto – Lui, Dio! – in un “pezzo di pane e in un po’ di vino”, si è nascosto lì, ancora più umiliato e vinto dall’amore che ci porta! Si è nascosto lì per darci la gioia di scoprirLo con la nostra “fede” e diventare nostro nutrimento d’amore. Sì, perché potessimo nutrirci d’amore, Lui, l’“Amore” (1Gv 4,8.16) si è fatto nostro nutrimento: “Chi mangia di me, vivrà per me!”.

Ed è proprio frutto del nutrirsi di Lui, Eucaristico Amore, imparare a riconoscere la sua presenza nascosta nella nostra vita di ogni giorno e a gridare con gioia che è Lui che la riempie di significato e di valore (cf Gv 21,7).

Sì è Lui e Lui è lì presente, nascosto, umiliato, annichilito dall’Amore eccessivo che ci porta. È lì, viene “ubbidiente” ogni volta che un povero prete Lo chiama, viene “zitto zitto” e rimane lì nascosto. Quale amore dovremmo avere nel riceverLo! Quale cura riverente! Quale stupore innamorato nel masticare Dio! Quale attenzione e delicatezza verso di Lui, “Divino Prigioniero” che si lascia chiudere in una freddo tabernacolo per riscaldare le nostre esistenze?

E poi, non si può mangiare quel Pane divino e non entrare nel dinamismo dell’amore che chiama ed esige la nostra “gratitudine” e la conformazione della nostra vita a quanto riceviamo nel Sacramento. Infatti il Signore Gesù nel segno del Pane e del Vino rendendo presente la sua immolazione d’amore per noi, ci invita ad una risposta d’amore, e nella stessa Eucaristia a cui partecipiamo ci insegna a realizzarlaOgni Eucaristia è infatti anche una “Scuola dell’amore” dove il Divino Maestro ci insegna la divina arte dell’amore e ci mostra la via di come realizzare anche noi amore nella nostra vita per poter ricambiare a Lui amore con amore. Infatti non si può nutrirsi di Lui e non partecipare intimamente a quella passione d’amore che Lo ha portato da Dio a farsi uomo, da uomo a consegnarsi alla morte e da Risorto a nascondersi nell’umiltà di un’ostia consacrata. Non possiamo mangiare Gesù Eucaristia e non lasciarci prendere dalla sua passione per il Padre e per i fratelli, non possiamo perché è proprio Gesù Eucaristia che ci unisce in un solo corpo al Padre e ai nostri fratelli (seconda lettura). Sì, l’Eucaristia è proprio la spirituale “fissione nucleare” di cui ci ha parlato il nostro S. P. Benedetto XVI al n. 11 della sua esortazione apostolica “Sacramentum caritatis”.

Ma affinché questa divina “fissione nucleare” possa innescare in noi l’esplosione dell’amore di Dio, occorre una sincera, profonda e umile conversione della nostra mente e del nostro cuore al Vangelo di Gesù e alla sua proposta di amore crocifisso (cf Lc 9,23), senza questa intima conversione la fissione non potrà innescarsi e noi, pur masticando Dio ogni domenica, continueremo a vivere la nostra piatta, tiepida e annacquata quotidianità.

Carissimi fratelli e sorelle, chiediamo alla Vergine Maria, nostra Madre e Maestra, che ci insegni Lei una partecipazione più vera e sentita all’Eucaristia, ci insegni Lei ad accostarci al suo Divin Figlio umiliato nell’ostia consacrata, ci presti la sua fede, ci presti le sue virtù, ci presti il suo amore perché Gesù Eucaristia trovi sempre in noi una degna accoglienza e sappiamo essere sempre attenti alla sua presenza nascosta nel freddo tabernacolo delle nostre Chiese e nel tabernacolo vivente del nostro cuore e possa così esplodere in esso l’amore di Dio e per Dio.   Amen.                                                 j.m.j.

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SOLENNITÀ DEL SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO – SECONDO SCHEMA

Solennità del SSmo Corpo e Sangue di N. S. Gesù Cristo                        Omelia

“PRENDETE, QUESTO È IL MIO CORPO”

Carissimi fratelli e sorelle, celebriamo la Solennità del SSmo Corpo e Sangue di N. S. G. C., la Chiesa già il Giovedì Santo celebra solennemente questo mistero del SS.mo Corpo e Sangue di N. S. Gesù Cristo, come mai questo duplicato?

Questa festa nacque in seguito alla splendida fioritura della devozione eucaristica verificatasi nella cristianità nell XI° secolo e fu istituita da papa Urbano IV in seguito al miracolo di Bolsena dove, nel 1264, un’Ostia santa sanguinò subito dopo essere stata consacrata da un prete scettico che dubitava della presenza reale. Urbano IV incaricò Tommaso d’Aquino, il grande dottore della Chiesa, a preparare tutte le preghiere liturgiche per questa festa. La processione eucaristica legata ad essa iniziò a Colonia in Germania, quindi passò in Francia e nel 1350 iniziò a celebrarsi anche a Roma.

Nella solennissima liturgia del Giovedì Santo all’inizio del Triduo Pasquale, la Chiesa celebra tre particolari aspetti del mistero eucaristico: La sua istituzione, l’istituzione del sacerdozio e il comando dell’amore reciproco significato dalla lavanda dei piedi.

Oggi, invece, di questo immenso mistero d’amore celebriamo un altro aspetto: la presenza, la presenza ineffabile, mirabile e umile del Signore Gesù Risorto e Vivo presente in questo sacramento con il Suo Corpo immolato e il Suo Sangue versato.

Vogliamo quindi, nella nostra riflessione, fermarci a contemplare questa presenza più che altre considerazioni possibili su questo mirabile Sacramento d’Amore. Dal momento in cui Gesù dice nella persona del sacerdote che presiede la celebrazione eucaristica: “Questo è il mio Corpo… Questo è il mio Sangue…”, da quel momento quel po’ di pane non è più pane, anche se si vede, si tocca e si gusta come se fosse pane, quel po’ di vino non è più vino anche se si vede, si tocca e si gusta come se fosse ancora vino… Non è più pane…, non è più vino… la sostanza del pane e del vino non c’è più… c’è solo l’apparenza del pane, l’apparenza del vino, ora quell’apparenza nasconde un’altra presenza, presenza misteriosa…, presenza ineffabile del Corpo Immolato di Gesù, cioè del Corpo Morto di Gesù…, morto per noi…, per me! Presenza misteriosa…, presenza ineffabile del Sangue Preziosissimo di Gesù, Sangue versato per noi…, versato per me!

Cosa significa questa presenza? Perché il Risorto ha voluto continuare una sua presenza in mezzo a noi con il suo Corpo Dissanguato e Morto? Tentiamo alcune risposte balbettandole in quel profondo senso di sacro rispetto che avvolge il nostro cuore di fronte a un sì grande, immenso mistero: la morte di Dio per me!

La prima risposta a questa domanda che nasce spontanea nel cuore è che Lui è morto per tutti, tutti, nessuno escluso, ed è morto non solo genericamente per tutti, ma per ciascuno di noi in particolare, ciascuno di noi può dire con Paolo: “Mi ha amato e ha dato se stesso per me!” (Gal 2,20)Cioè Lui mi portava nella mente e nel cuore mentre gli aguzzini facevano schizzare via dal suo Corpo il suo Sangue a forza di colpi di flagello…, Lui mi aveva presente mentre Lo incoronavano di spine…, mentre portava la croce lungo il Calvario, mentre le sue mani e i suoi piedi venivano trafitti dai chiodi…, mi aveva presente mentre gridava al Padre: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34), “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34), “Tutto è compiuto” (Gv 19,30), “Nelle tue mani, Padre, consegno il mio spirito” (Lc 23,46).

Ciascuno di noi può dire tutto questo in tutta verità senza sbagliarsi, è così e finché non capiamo che è così, siamo forse delle buonissime e bravissime persone che non ammazzano, non rubano, persone buone, educate, che fanno anche un po’ di bene quando possono, ma siamo ancora così lontani dall’essere quello che Lui vorrebbe che noi fossimo, e cioè persone, uomini e donne che bruciano d’Amore (cf Lc 12,49), che vivono d’Amore, che muoiono d’Amore, di quell’Amore incontenibile che si ritrova tutto contenuto in questo Sacramento da cui devo attingere per poter amare come Lui mi ha amato.

Lui ha voluto che l’infinito, immenso Amore con cui mi ha amato fosse presente a me, non semplicemente come ricordo nella memoria o con qualche cosa che me lo ricordasse, come ad esempio un Crocifisso di legno o altro, no, Lui ha voluto che la sua Passione fosse presente dal vivo per me, ha voluto che io potessi avere sempre davanti a me la sua dichiarazione divina d’Amore, d’Amore folle, pazzo per me, dichiarazione viva come Lui è vivo in questo Sacramento.

In esso il Risorto dice al mio cuore di povero uomo peccatore: “Vedi come Io ti amo?”, non dice: “Vedi come Io ti ho amato”, dice: “Vedi come Io ti amo?” La Passione di Gesù per me è presente in questo sacramento che trascende il tempo e lo spazio e mi colloca ai piedi della Croce per bagnarmi del suo Sangue, per ricevere tra le mie braccia il suo Corpo Massacrato d’Amore, Immolato per amore mio e Lo ricevo nel suo consegnare il suo spirito al Padre mentre dice: “Nelle tue mani, Padre, consegno il mio spirito”, nella santa Eucaristia riceviamo il Corpo Immolato di Gesù, cioè riceviamo il Signore Gesù con tutta quella carica d’Amore Divino-Umano con cui consegna al Padre il suo spirito, cioè la sua anima umana. Fare la Comunione significa ricevere Gesù mentre consegna la sua anima al Padre, cioè mentre muore e – non ci stanchiamo mai di dirlo – muore d’Amore perché nessuno poteva togliere la vita all’Autore della vita: “Nessuno mi può togliere la vita, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla  di nuovo” (Gv 10,18), per questo i soldati Lo troveranno già morto quando andarono a spezzarGli le gambe (Gv 19,33)! Lui non poteva permettere che si potesse mai pensare che fosse morto per qualche osso rotto, Lui moriva d’Amore, per un incredibile, immenso, folle amore per me! E questo incredibile, immenso e folle suo Amore ci consegna in ogni nostra Eucaristia! 

Gesù è presente in questo dolcissimo Sacramento per darmi Amore, tutto il suo Amore, per questo mi regala tutto il suo Corpo Immolato per me, tutto il suo Sangue versato per me…, sì, ma è in questa sua presenza d’Amore, Lui non solo mi regala Amore, ma mi chiede amore: “Ho sete!” (Gv 19,28), grida a me il Risorto da tutti i tabernacoli del mondo, lo grida nel silenzio, lo grida da lì dove se ne sta rinchiuso, “Divino Prigioniero d’Amore” che attende attenzione, attende accoglienza, che attende amore da me…, da te.

Ecco allora la nostra risposta: il nostro metterci in fila per ricevere Amore e per dare amore. Di fronte ad una così alta, stupenda dichiarazione d’Amore Divino, di fronte ad un simile immenso e incredibile Amore che riceviamo in questo Sacramento, quale dovrà essere la nostra risposta alla Sua sete d’amore? Si può andare a bere alla fontana dell’Amore e dissetarsi dell’Amore…, si può immergersi nell’oceano dell’Amore e non diventare Amore, almeno un pochino? Lui si dona tutto a me, tutto, completamente tutto, tutto il suo Corpo Morto per me, tutto il suo Sangue versato per me, Lui si consegna a me come Amore donato, Amore immolato, Amore che chiede Amore, Amore che desidera Amore, Amore che ha sete: “Ho sete d’Amore!”. Per questo chi mangia questo Corpo e beve questo Sangue non può più vivere senza amare!

Gesù conosce tutto di noi (cfr. Gv 2,24-25), Egli sa quali sono i sospiri, i desideri profondi della nostra anima, quelli che nessuno conosce se non noi stessi. Lui li conosce bene e si commuove per noi perché ci ama e desidera vederci felici, soddisfatti, gratificati. È questo anche il senso dei “dodici canestri” pieni dei pesci e dei pani avanzati di cui ci parla il Vangelo di oggi. Gesù vuole che la nostra vita sia piena, straripante di gioia, talmente piena da riversarsi fuori e qui, e in ogni Eucaristia, c’insegna il segreto di questa pienezza di vita e di gioia, il segreto della sapienza cristiana che il mondo non conosce e non può conoscere perché non ha conosciuto Lui (cfr. 1Cor 1,17ss; 1Gv 3,1), il segreto è questo: “Chi ama la vita la perde, chi la perde la trova” (cfr.Gv 12,25). Donandosi a noi con il Suo Corpo immolato e il Suo Sangue versato, Egli ci rende partecipi di quell’Amore che lo inchiodò al legno perché anche noi facciamo della nostra vita un dono (cfr. 1Gv 3,16). Ogni Eucaristia è una scuola dove impariamo ad amare, cioè a non cercare noi stessi, a dimenticare noi stessi, a morire a noi stessi per vivere la vera vita, infatti “chi mangia di me, vivrà per me” (Gv 6,57).

Creato a immagine di Dio Amore (cf Gen 1,27; 1Gv 4,8.16), divento Amore amando, il Risorto, riversando su di me tutto l’Amore con cui mi ama (cf Rm 5,5), mi insegna ad amare e mi dona la capacità di amare, chiedendomi di dissetarlo d’amore, Egli, il Divino Assetato d’Amore, mi insegna ad amare dissetandoLo, per questo l’Eucaristia è la Scuola dell’Amore Divino dove imparo ad amare Dio prima di tutto lasciandomi amare da Lui. 

Ma qual è il gesto che io compio per dissetare d’amore Dio? Cosa mi chiede il Signore Gesù quando nell’Eucaristia mi grida: “Ho sete!” Non facciamo come quei soldati che sentitoLo gridare così, gli porsero una spugna imbevuta d’aceto, anche se il loro non fu un gesto di cattiveria, ma di bontà, perché pur non essendo acqua, ma aceto, era sempre qualcosa che poteva calmare la sua arsura, ma Lui aveva sete d’amore non di acqua. Non diamo “aceto” a Gesù, non rinnoviamo quel gesto di quei inconsapevoli soldati, andiamo a ricevere l’Eucaristia con consapevolezza d’amore dandoGli l’amore che chiede e non l’aceto che non chiede.

Ma in cosa può consistere quest’amore che mi chiede Gesù Amore se non nella mia disponibilità a lasciarmi amare dall’Amore? Io disseto Dio della sua sete d’amore non già innanzi tutto amandoLo, ma lasciandomi amare da Lui, credendo al suo amore per me, accogliendo il suo amore per me. E il suo amore per me si è fatto carne, si è fatto tangibile, talmente tangibile che mi viene deposto nelle mani e Lo posso masticare! Nell’Eucaristia la Chiesa mi consegna l’amore tangibile di Dio per me che non poteva essere più grande (cf Gv 3,16), ricevo il Corpo Immolato di Gesù, ricevo tutto il suo Sangue versato per me!

Pensiamo a Giuseppe d’Arimatea e a Nicodemo (cf Gv 19,38-39) quando chiesero a Pilato il Corpo Morto del loro Signore Gesù, quando Lo staccarono dalla Croce e Lo presero tra le loro braccia, quali sentimenti…, quale devozione…, quale amore…! Non era cosa da nulla andare da Pilato e chiedere il Corpo di Gesù…, non era cosa da nulla farsi vedere da tutti mentre Lo schiodavano dalla Croce…, non era cosa da nulla la loro pubblica commozione nell’avvolgerLo nel lenzuolo… e nel portarLo al sepolcro… Era tutto amore…, tutto amore…, stavano dando amore…, ricevendo con amore il Corpo Morto del loro Gesù stavano dissetando il Divino Assetato.

Ecco, carissimi perché non iniziamo proprio da qui, imitiamo Giuseppe d’Arimatea, imitiamo Nicodemo e accostiamoci con devozione, con commozione, con amore al sacramento dell’Amore, questo è un modo così facile di darGli amore…, perché non lo facciamo sempre? Facciamo bene la Comunione, facciamola con devozione, con commozione, con amore e non vergogniamoci che tutti possano vederci devoti, commossi e presi dal fuoco dell’Amore. Accostandoci all’Eucaristia tutto in noi sappia di amore, non possiamo infatti accostarci a ricevere l’Amore se il nostro cuore non è colmo d’amore, se i nostri occhi non traboccano amore, se le nostre mani non sono fasciate d’amore.

E poi quando Lo vediamo rinchiudere in quella fredda cassettina – Lui il Signore Gesù! – come non sentirsi ancor più profondamente commossi e grati verso tanta benevolenza? Rimane lì, non se ne va, rimane lì fermo, mentre io gli passo davanti spesso incurante o indifferente verso questa sua presenza umile e nascosta. Lui rimane lì “Divino Prigioniero dell’Amore”, rimane lì perché mi ama e aspetta, attende amore!

Ecco – carissimi fratelli e sorelle – questa Solennità a noi così tanto cara del SSmo Corpo e Sangue di Gesù ci invita ad accostarci con amore a questo Sacramento dell’Amore Divino e noi ci sentiamo così inadeguati, così poveri d’amore, così piccoli nell’amore, così incapaci di dare amore, come fare? 

In ogni Eucarestia, oltre alla presenza divina di Gesù Risorto che rende presente il suo Corpo Morto e il suo Sangue versato per Amore mio, c’è anche un’altra presenza che è lì proprio per questo, è lì per facilitarmi l’incontro, è lì per aiutarmi a ricevere l’Amore di Dio, la presenza cioè di Colei che per prima l’ha ricevuto ed era lì sotto la Croce del Figlio. La presenza della Vergine Maria, in ogni Eucaristia Gesù ci dice: “Ecco tua Madre” (Gv 19,27), per fare bene la Comunione dobbiamo prenderLa nella nostra “casa” (Gv 19,27), dobbiamo prenderLa nel nostro cuore, perché quel “Pane” è il “Pane degli Angeli” e solo i puri di cuore ne possono mangiare, non possiamo accostarci all’Eucarestia senza Maria, senza il Cuore Immacolato di Maria che l’accoglie in noi per darGli l’accoglienza che si merita e che noi, senza di Lei, non possiamo darGli.

Maria è lì, in ogni Eucaristia a cui partecipiamo, per rivestirci intimamente della sua purezza e darci così la gioia di poterlo accogliere degnamente, di poterLo amare veramente perché Gesù può essere amato solo da persone pure, per questo ogni Eucaristia ci verginizza, lo Spirito Santo ci comunica la purezza di Maria per accogliere Gesù. 

Maria Vergine, Madre della Chiesa e Madre di ogni Eucarestia ci ottenga una grande fame e sete di purezza, fame e sete di Dio e del suo Amore, fame e sete che il Risorto desidera e vuole saziare nel suo Corpo Immolato e nel suo Sangue Versato e offerto a noi in ogni Eucaristia. Amen.                                             j.m.j.

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SOLENNITÀ DEL SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO – TERZO SCHEMA

Solennità del SSmo Corpo e Sangue di N. S. Gesù Cristo         Omelia

“Chi mangia di me, vivrà per me”

Carissimi fratelli e sorelle, 

celebriamo oggi la Solennità del SSmo Corpo e Sangue di N. S. G. C.

La Chiesa già il Giovedì Santo celebra solennemente questo mistero del SS.mo Corpo e Sangue di N. S. Gesù Cristo, come mai questo duplicato?

Questa festa nacque in seguito alla splendida fioritura della devozione eucaristica verificatasi nella cristianità nell XI° secolo e fu istituita da papa Urbano IV in seguito al miracolo di Bolsena dove, nel 1264, un’Ostia santa sanguinò subito dopo essere stata consacrata da un prete scettico che dubitava della presenza reale.

Urbano IV incaricò Tommaso d’Aquino, il grande dottore della Chiesa, a preparare tutte le preghiere liturgiche per questa festa. La processione eucaristica legata ad essa iniziò a Colonia in Germania, quindi passò in Francia e nel 1350 iniziò a celebrarsi anche a Roma.

Nella solennissima liturgia del Giovedì Santo all’inizio del Triduo Pasquale, la Chiesa celebra tre particolari aspetti del mistero eucaristico: La sua istituzione, l’istituzione del sacerdozio e il comando dell’amore reciproco significato dalla lavanda dei piedi.

Oggi, invece, di questo immenso mistero d’amore celebriamo un altro aspetto: la presenza, la presenza ineffabile, mirabile e umile del Signore Gesù Risorto e Vivo presente in questo sacramento con il Suo Corpo immolato e il Suo Sangue versato.

Ogni presenza di una persona richiede ed esige “attenzione”. L’“attenzione” è l’attitudine propria di chi ama e sa accogliere l’altro come un “soggetto” da amare. L’“attenzione” è la delicatezza di chi ama e si accorge della presenza discreta dell’altro e gli viene incontro nelle sue necessità. Solo chi ama si accorge dell’“altro”, perché chi non ama è chiuso in se stesso e si accorge dell’“altro” solo se gli può essere utile per qualcosa, altrimenti per lui è come se non esistesse.

Dio ama nascondere la sua presenza, ama non imporre la sua presenza, perché è AMORE GRATUITO CHE NON S’IMPONE. Se Dio manifestasse con potenza la sua presenza imporrebbe necessariamente riverenza e timore. Se Dio mostrasse anche solo qualcosa della sua Onnipotenza, tutti saremmo annichiliti, spaventati e pronti a servirlo ai minimi suoi cenni, perché Egli è trascendenza assoluta. 

Pensate solo a quello che succede in qualunque ambiente sociale quando in esso capita qualche potente di questo mondo o qualche divo dello spettacolo o dello sport. Come tutta l’attenzione è su di lui e come si fa a gara per compiacerlo. E Dio sarebbe di meno di un potente di questa terra? Se solo volesse, nessuno potrebbe sottrarsi alla sua adorazione, al suo servizio, al suo amore. Ma non vuole essere amato perché forte e potente, e allora si nasconde per lasciarsi scoprire dalla “fede”.

La “fede” è una virtù mirabile perché ci permette di accostarci a Dio e di esserGli graditi (cf Eb 11,6). È la “fede” che permette di scoprire la presenza di Dio nella storia e di capire quello che Lui fa e ha fatto per salvarci. È sempre la “fede” che ci svela il senso profondo delle umiliazioni della vita che ci mostrano con fredda certezza che non siamo noi Dio, perché impotenti, deboli e bisognosi di Qualcuno che ci salvi (prima lettura). E la “fede” poi ci conduce alla “gratitudine” cioè al riconoscimento grato di quanto Lui ha fatto e fa per noi, ci conduce cioè all’amore di Dio, perché l’essenza dell’amore dell’uomo verso Dio è “gratitudine” per quanto ricevuto e si riceve da Lui senza nostro merito. L’essenza, invece, dell’amore di Dio nei nostri confronti è “misericordia”“perché ci ama per primo” (1Gv 4,19).

La “gratitudine” richiede dalla persona un ricordo costante, un “far memoria” di quanto ricevuto. L’ingratitudine è il peccato peculiare dei figli: figli ingrati! Quante pene, quante sofferenze, quanti sacrifici per crescere su quel figlio…, quella figlia… e poi? Poi, come purtroppo spesso succede, poi il disinteresse e l’abbandono. Quanta sofferenza c’è nel cuore di tanti genitori perché hanno figli ingrati, ebbene essi partecipano al dolore di Dio verso noi suoi figli così troppo spesso ingrati verso il suo IMMENSO AMORE. Immenso Amore nel quale siamo immersi e avvolti, ma che troppo spesso ci trova indifferenti, distratti e quindi ingrati. 

Vedete come ha risuonato nella prima lettura l’ammonizione di Dio al suo popolo di “non dimenticare” quanto Lui aveva fatto per loro liberandoli dalla schiavitù dell’Egitto? Per questo stesso motivo aveva imposto le varie feste liturgiche annuali: il popolo non doveva dimenticare! Non doveva dimenticare la mano potente di Dio sugli Egiziani e per questo dovevano celebrare la “Pasqua”; non dovevano dimenticare i 40 anni passati vagando nel deserto, per questo ogni anno dovevano celebrare la “Festa delle Capanne” vivendo per una settimana in capanne di frasche; non dovevano dimenticare di aver ricevuto da Dio i “Dieci comandamenti” per questo ogni anno celebravano la festa di “Pentecoste” e soprattutto non dovevano dimenticarsi mai di essere stati creati da Dio, per questo celebravano la festa del “Sabato” ogni settimana e in questo giorno si riunivano nel Tempio o nella Sinagoga. 

Questo nel Vecchio Testamento, ma nel Nuovo, il buon Dio ha fatto qualcosa di più…, ha fatto molto di più! Infatti “ci ha donato suo Figlio, l’unico Figlio” (Gv 3,16) ce lo ha consegnato per amore, un amore troppo grande per noi uomini così piccoli! In Lui, in Gesù, Dio Padre ha nascosto la sua presenza e il suo amore per noi, solo la “fede” ci permette di scoprirLo: quel “Bimbo” che la Vergine avvolge in fasce e depone sulla mangiatoia, è Dio! Quel “Penitente” che chiede il battesimo a Giovanni, è Dio! Quel “Poveruomo” che siede stanco e assettato al pozzo di Giacobbe (cf Gv 4,6), è Dio! Quel “Prigioniero” che i soldati scherniscono e torturano, è Dio! Quel “Condannato” che pende morto dal legno di una croce, è Dio! È Dio nascosto così bene! Chi può scoprirLo? Solo la “fede”, solo la “fede” mi permette di scoprire quest’amore così grande e così nascosto! Chi poteva pensare che quel “Crocifisso” che pendeva inanime, ormai vinto e travolto dalla prepotenza e dall’odio, fosse Dio? Poteva nascondersi di più? Sì, poteva nascondersi di più, poteva e L’ha fatto, perchè Lui può far tutto! 

E così si è nascosto – Lui, Dio! – in un “pezzo di pane e in un po’ di vino”, si è nascosto lì ancora più umiliato e vinto dall’amore che ci porta! Si è nascosto lì per darci la gioia di scoprirLo con la nostra “fede” e diventare nostro nutrimento d’amore. Sì, perché potessimo nutrirci d’amore, Lui, l’“Amore” (1Gv 4,8.16) si è fatto nostro nutrimento: “Chi mangia di me, vivrà per me!”.

Ed è proprio frutto del nutrirsi di Lui, Eucaristico Amore, imparare a riconoscere la sua presenza nascosta nella nostra vita di ogni giorno e a gridare con gioia che è Lui che la riempie di significato e di valore (cf Gv 21,7).

Sì è Lui e Lui è lì presente, nascosto, umiliato, annichilito dall’Amore eccessivo che ci porta. È lì, viene “ubbidiente” ogni volta che un povero prete Lo chiama, viene “zitto zitto” e rimane lì nascosto. Quale amore dovremmo avere nel riceverLo! Quale cura riverente! Quale stupore innamorato nel masticare Dio! Quale attenzione e delicatezza verso di Lui, “Divino Prigioniero” che si lascia chiudere in una freddo tabernacolo per riscaldare le nostre esistenze?

E poi non si può mangiare quel Pane divino e non entrare nel dinamismo dell’amore che chiama ed esige la nostra “gratitudine” e la conformazione della nostra vita a quanto riceviamo nel sacramento. Infatti il Signore Gesù nel segno del Pane e del Vino rendendo presente la sua immolazione d’amore per noi, ci invita ad una risposta d’amore, e nella stessa Eucaristia a cui partecipiamo ci insegna a realizzarlaOgni Eucaristia è infatti anche una “Scuola dell’amore” dove il Divino Maestro ci insegna la divina arte dell’amore e ci mostra la via di come realizzare anche noi amore nella nostra vita per poter ricambiare a Lui amore con amore. Infatti non si può nutrirsi di Lui e non partecipare intimamente a quella passione d’amore che Lo ha portato da Dio a farsi uomo, da uomo a consegnarsi alla morte e da Risorto a nascondersi nell’umiltà di un’ostia consacrata. Non possiamo mangiare Gesù Eucaristia e non lasciarci prendere dalla sua passione per il Padre e per i fratelli, non possiamo perché è proprio Gesù Eucaristia che ci unisce in un solo corpo al Padre e ai nostri fratelli (seconda lettura).

Se è così, ed è così, non possiamo non chiederci di fronte ad un’esistenza concreta vissuta ben lontano dall’amore del Padre e dei fratelli, se la nostra partecipazione all’Eucaristia domenicale sia forse resa inefficace dall’assenza in noi di una reale conversione al Vangelo di Gesù e alla sua proposta di amore crocifisso (cf Lc 9,23).

Carissimi fratelli e sorelle, chiediamo alla Vergine Maria, nostra Madre e Maestra, che ci insegni Lei una partecipazione più vera e sentita all’Eucaristia, ci insegni Lei ad accostarci al suo Divin Figlio umiliato nell’ostia consacrata, ci presti la sua fede, ci presti le sue virtù, ci presti il suo amore perché Gesù Eucaristia trovi sempre in noi una degna accoglienza e sappiamo essere sempre attenti alla sua presenza nascosta nel freddo tabernacolo delle nostre Chiese e nel tabernacolo vivente del nostro cuore. 

Amen.                                                              j.m.j.                                                                                                                                                                                       Torna all'indice

SOLENNITÀ DEL SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO – QUARTO SCHEMA

Solennità del SSmo Corpo e Sangue di N. S. Gesù Cristo – Anno                   Omelia

“PRENDETE, QUESTO È IL MIO CORPO”

Carissimi fratelli e sorelle, celebriamo la Solennità del SSmo Corpo e Sangue di N. S. G. C., la Chiesa già il Giovedì Santo celebra solennemente questo mistero del SS.mo Corpo e Sangue di N. S. Gesù Cristo, come mai questo duplicato?

Questa festa nacque in seguito alla splendida fioritura della devozione eucaristica verificatasi nella cristianità nell XI° secolo e fu istituita da papa Urbano IV in seguito al miracolo di Bolsena dove, nel 1264, un’Ostia santa sanguinò subito dopo essere stata consacrata da un prete scettico che dubitava della presenza reale. Urbano IV incaricò Tommaso d’Aquino, il grande dottore della Chiesa, a preparare tutte le preghiere liturgiche per questa festa. La processione eucaristica legata ad essa iniziò a Colonia in Germania, quindi passò in Francia e nel 1350 iniziò a celebrarsi anche a Roma.

Nella solennissima liturgia del Giovedì Santo all’inizio del Triduo Pasquale, la Chiesa celebra tre particolari aspetti del mistero eucaristico: La sua istituzione, l’istituzione del sacerdozio e il comando dell’amore reciproco significato dalla lavanda dei piedi.

Oggi, invece, di questo immenso mistero d’amore celebriamo un altro aspetto: la presenza, la presenza ineffabile, mirabile e umile del Signore Gesù Risorto e Vivo presente in questo sacramento con il Suo Corpo immolato e il Suo Sangue versato.

Vogliamo quindi, nella nostra riflessione, fermarci a contemplare questa presenza più che altre considerazioni possibili su questo mirabile Sacramento d’Amore. Dal momento in cui Gesù dice nella persona del sacerdote che presiede la celebrazione eucaristica: “Questo è il mio Corpo… Questo è il mio Sangue…”, da quel momento quel po’ di pane non è più pane, anche se si vede, si tocca e si gusta come se fosse pane, quel po’ di vino non è più vino anche se si vede, si tocca e si gusta come se fosse ancora vino… Non è più pane…, non è più vino… la sostanza del pane e del vino non c’è più… c’è solo l’apparenza del pane, l’apparenza del vino, ora quell’apparenza nasconde un’altra presenza, presenza misteriosa…, presenza ineffabile del Corpo Immolato di Gesù, cioè del Corpo Morto di Gesù…, morto per noi…, per me! Presenza misteriosa…, presenza ineffabile del Sangue Preziosissimo di Gesù, Sangue versato per noi…, versato per me!

Cosa significa questa presenza? Perché il Risorto ha voluto continuare una sua presenza in mezzo a noi con il suo Corpo Dissanguato e Morto? Tentiamo alcune risposte balbettandole in quel profondo senso di sacro rispetto che avvolge il nostro cuore di fronte a un sì grande, immenso mistero: la morte di Dio per me!

La prima risposta a questa domanda che nasce spontanea nel cuore è che Lui è morto per tutti, tutti, nessuno escluso, ed è morto non solo genericamente per tutti, ma per ciascuno di noi in particolare, ciascuno di noi può dire con Paolo: “Mi ha amato e ha dato se stesso per me!” (Gal 2,20)Cioè Lui mi portava nella mente e nel cuore mentre gli aguzzini facevano schizzare via dal suo Corpo il suo Sangue a forza di colpi di flagello…, Lui mi aveva presente mentre Lo incoronavano di spine…, mentre portava la croce lungo il Calvario, mentre le sue mani e i suoi piedi venivano trafitti dai chiodi…, mi aveva presente mentre gridava al Padre: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34), “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34), “Tutto è compiuto” (Gv 19,30), “Nelle tue mani, Padre, consegno il mio spirito” (Lc 23,46).

Ciascuno di noi può dire tutto questo in tutta verità senza sbagliarsi, è così e finché non capiamo che è così, siamo forse delle buonissime e bravissime persone che non ammazzano, non rubano, persone buone, educate, che fanno anche un po’ di bene quando possono, ma siamo ancora così lontani dall’essere quello che Lui vorrebbe che noi fossimo, e cioè persone, uomini e donne che bruciano d’Amore (cf Lc 12,49), che vivono d’Amore, che muoiono d’Amore, di quell’Amore incontenibile che si ritrova tutto contenuto in questo Sacramento da cui devo attingere per poter amare come Lui mi ha amato.

Lui ha voluto che l’infinito, immenso Amore con cui mi ha amato fosse presente a me, non semplicemente come ricordo nella memoria o con qualche cosa che me lo ricordasse, come ad esempio un Crocifisso di legno o altro, no, Lui ha voluto che la sua Passione fosse presente dal vivo per me, ha voluto che io potessi avere sempre davanti a me la sua dichiarazione divina d’Amore, d’Amore folle, pazzo per me, dichiarazione viva come Lui è vivo in questo Sacramento.

In esso il Risorto dice al mio cuore di povero uomo peccatore: “Vedi come Io ti amo?”, non dice: “Vedi come Io ti ho amato”, dice: “Vedi come Io ti amo?” La Passione di Gesù per me è presente in questo sacramento che trascende il tempo e lo spazio e mi colloca ai piedi della Croce per bagnarmi del suo Sangue, per ricevere tra le mie braccia il suo Corpo Massacrato d’Amore, Immolato per amore mio e Lo ricevo nel suo consegnare il suo spirito al Padre mentre dice: “Nelle tue mani, Padre, consegno il mio spirito”, nella santa Eucaristia riceviamo il Corpo Immolato di Gesù, cioè riceviamo il Signore Gesù con tutta quella carica d’Amore Divino-Umano con cui consegna al Padre il suo spirito, cioè la sua anima umana. Fare la Comunione significa ricevere Gesù mentre consegna la sua anima al Padre, cioè mentre muore e – non ci stanchiamo mai di dirlo – muore d’Amore perché nessuno poteva togliere la vita all’Autore della vita: “Nessuno mi può togliere la vita, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla  di nuovo” (Gv 10,18), per questo i soldati Lo troveranno già morto quando andarono a spezzarGli le gambe (Gv 19,33)! Lui non poteva permettere che si potesse mai pensare che fosse morto per qualche osso rotto, Lui moriva d’Amore, per un incredibile, immenso, folle amore per me! E questo incredibile, immenso e folle suo Amore ci consegna in ogni nostra Eucaristia! 

Gesù è presente in questo dolcissimo Sacramento per darmi Amore, tutto il suo Amore, per questo mi regala tutto il suo Corpo Immolato per me, tutto il suo Sangue versato per me…, sì, ma è in questa sua presenza d’Amore, Lui non solo mi regala Amore, ma mi chiede amore: “Ho sete!” (Gv 19,28), grida a me il Risorto da tutti i tabernacoli del mondo, lo grida nel silenzio, lo grida da lì dove se ne sta rinchiuso, “Divino Prigioniero d’Amore” che attende attenzione, attende accoglienza, che attende amore da me…, da te.

Ecco allora la nostra risposta: il nostro metterci in fila per ricevere Amore e per dare amore. Di fronte ad una così alta, stupenda dichiarazione d’Amore Divino, di fronte ad un simile immenso e incredibile Amore che riceviamo in questo Sacramento, quale dovrà essere la nostra risposta alla Sua sete d’amore? Si può andare a bere alla fontana dell’Amore e dissetarsi dell’Amore…, si può immergersi nell’oceano dell’Amore e non diventare Amore, almeno un pochino? Lui si dona tutto a me, tutto, completamente tutto, tutto il suo Corpo Morto per me, tutto il suo Sangue versato per me, Lui si consegna a me come Amore donato, Amore immolato, Amore che chiede Amore, Amore che desidera Amore, Amore che ha sete: “Ho sete d’Amore!”. Per questo chi mangia questo Corpo e beve questo Sangue non può più vivere senza amare!

Gesù conosce tutto di noi (cfr. Gv 2,24-25), Egli sa quali sono i sospiri, i desideri profondi della nostra anima, quelli che nessuno conosce se non noi stessi. Lui li conosce bene e si commuove per noi perché ci ama e desidera vederci felici, soddisfatti, gratificati. È questo anche il senso dei “dodici canestri” pieni dei pesci e dei pani avanzati di cui ci parla il Vangelo di oggi. Gesù vuole che la nostra vita sia piena, straripante di gioia, talmente piena da riversarsi fuori e qui, e in ogni Eucaristia, c’insegna il segreto di questa pienezza di vita e di gioia, il segreto della sapienza cristiana che il mondo non conosce e non può conoscere perché non ha conosciuto Lui (cfr. 1Cor 1,17ss; 1Gv 3,1), il segreto è questo: “Chi ama la vita la perde, chi la perde la trova” (cfr.Gv 12,25). Donandosi a noi con il Suo Corpo immolato e il Suo Sangue versato, Egli ci rende partecipi di quell’Amore che lo inchiodò al legno perché anche noi facciamo della nostra vita un dono (cfr. 1Gv 3,16). Ogni Eucaristia è una scuola dove impariamo ad amare, cioè a non cercare noi stessi, a dimenticare noi stessi, a morire a noi stessi per vivere la vera vita, infatti “chi mangia di me, vivrà per me” (Gv 6,57).

Creato a immagine di Dio Amore (cf Gen 1,27; 1Gv 4,8.16), divento Amore amando, il Risorto, riversando su di me tutto l’Amore con cui mi ama (cf Rm 5,5), mi insegna ad amare e mi dona la capacità di amare, chiedendomi di dissetarlo d’amore, Egli, il Divino Assetato d’Amore, mi insegna ad amare dissetandoLo, per questo l’Eucaristia è la Scuola dell’Amore Divino dove imparo ad amare Dio prima di tutto lasciandomi amare da Lui. 

Ma qual è il gesto che io compio per dissetare d’amore Dio? Cosa mi chiede il Signore Gesù quando nell’Eucaristia mi grida: “Ho sete!” Non facciamo come quei soldati che sentitoLo gridare così, gli porsero una spugna imbevuta d’aceto, anche se il loro non fu un gesto di cattiveria, ma di bontà, perché pur non essendo acqua, ma aceto, era sempre qualcosa che poteva calmare la sua arsura, ma Lui aveva sete d’amore non di acqua. Non diamo “aceto” a Gesù, non rinnoviamo quel gesto di quei inconsapevoli soldati, andiamo a ricevere l’Eucaristia con consapevolezza d’amore dandoGli l’amore che chiede e non l’aceto che non chiede.

Ma in cosa può consistere quest’amore che mi chiede Gesù Amore se non nella mia disponibilità a lasciarmi amare dall’Amore? Io disseto Dio della sua sete d’amore non già innanzi tutto amandoLo, ma lasciandomi amare da Lui, credendo al suo amore per me, accogliendo il suo amore per me. E il suo amore per me si è fatto carne, si è fatto tangibile, talmente tangibile che mi viene deposto nelle mani e Lo posso masticare! Nell’Eucaristia la Chiesa mi consegna l’amore tangibile di Dio per me che non poteva essere più grande (cf Gv 3,16), ricevo il Corpo Immolato di Gesù, ricevo tutto il suo Sangue versato per me!

Pensiamo a Giuseppe d’Arimatea e a Nicodemo (cf Gv 19,38-39) quando chiesero a Pilato il Corpo Morto del loro Signore Gesù, quando Lo staccarono dalla Croce e Lo presero tra le loro braccia, quali sentimenti…, quale devozione…, quale amore…! Non era cosa da nulla andare da Pilato e chiedere il Corpo di Gesù…, non era cosa da nulla farsi vedere da tutti mentre Lo schiodavano dalla Croce…, non era cosa da nulla la loro pubblica commozione nell’avvolgerLo nel lenzuolo… e nel portarLo al sepolcro… Era tutto amore…, tutto amore…, stavano dando amore…, ricevendo con amore il Corpo Morto del loro Gesù stavano dissetando il Divino Assetato.

Ecco, carissimi perché non iniziamo proprio da qui, imitiamo Giuseppe d’Arimatea, imitiamo Nicodemo e accostiamoci con devozione, con commozione, con amore al sacramento dell’Amore, questo è un modo così facile di darGli amore…, perché non lo facciamo sempre? Facciamo bene la Comunione, facciamola con devozione, con commozione, con amore e non vergogniamoci che tutti possano vederci devoti, commossi e presi dal fuoco dell’Amore. Accostandoci all’Eucaristia tutto in noi sappia di amore, non possiamo infatti accostarci a ricevere l’Amore se il nostro cuore non è colmo d’amore, se i nostri occhi non traboccano amore, se le nostre mani non sono fasciate d’amore.

E poi quando Lo vediamo rinchiudere in quella fredda cassettina – Lui il Signore Gesù! – come non sentirsi ancor più profondamente commossi e grati verso tanta benevolenza? Rimane lì, non se ne va, rimane lì fermo, mentre io gli passo davanti spesso incurante o indifferente verso questa sua presenza umile e nascosta. Lui rimane lì “Divino Prigioniero dell’Amore”, rimane lì perché mi ama e aspetta, attende amore!

Ecco – carissimi fratelli e sorelle – questa Solennità a noi così tanto cara del SSmo Corpo e Sangue di Gesù ci invita ad accostarci con amore a questo Sacramento dell’Amore Divino e noi ci sentiamo così inadeguati, così poveri d’amore, così piccoli nell’amore, così incapaci di dare amore, come fare? 

In ogni Eucarestia, oltre alla presenza divina di Gesù Risorto che rende presente il suo Corpo Morto e il suo Sangue versato per Amore mio, c’è anche un’altra presenza che è lì proprio per questo, è lì per facilitarmi l’incontro, è lì per aiutarmi a ricevere l’Amore di Dio, la presenza cioè di Colei che per prima l’ha ricevuto ed era lì sotto la Croce del Figlio. La presenza della Vergine Maria, in ogni Eucaristia Gesù ci dice: “Ecco tua Madre” (Gv 19,27), per fare bene la Comunione dobbiamo prenderLa nella nostra “casa” (Gv 19,27), dobbiamo prenderLa nel nostro cuore, perché quel “Pane” è il “Pane degli Angeli” e solo i puri di cuore ne possono mangiare, non possiamo accostarci all’Eucarestia senza Maria, senza il Cuore Immacolato di Maria che l’accoglie in noi per darGli l’accoglienza che si merita e che noi, senza di Lei, non possiamo darGli.

Maria è lì, in ogni Eucaristia a cui partecipiamo, per rivestirci intimamente della sua purezza e darci così la gioia di poterlo accogliere degnamente, di poterLo amare veramente perché Gesù può essere amato solo da persone pure, per questo ogni Eucaristia ci verginizza, lo Spirito Santo ci comunica la purezza di Maria per accogliere Gesù. 

Maria Vergine, Madre della Chiesa e Madre di ogni Eucarestia ci ottenga una grande fame e sete di purezza, fame e sete di Dio e del suo Amore, fame e sete che il Risorto desidera e vuole saziare nel suo Corpo Immolato e nel suo Sangue Versato e offerto a noi in ogni Eucaristia. Amen.                                             j.m.j.

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SOLENNITÀ DEL SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO – QUINTO SCHEMA

“Prendete, questo è il mio corpo”

Carissimi fratelli e sorelle, celebriamo la Solennità del SSmo Corpo e Sangue di N. S. G. C.

La Chiesa già il Giovedì Santo celebra solennemente questo mistero del SS.mo Corpo e Sangue di N. S. Gesù Cristo, come mai questo duplicato?

Questa festa nacque in seguito alla splendida fioritura della devozione eucaristica verificatasi nella cristianità nell’XI° secolo e fu istituita da papa Urbano IV in seguito al miracolo di Bolsena dove, nel 1264, un’Ostia santa sanguinò subito dopo essere stata consacrata da un prete scettico che dubitava della presenza reale.

Urbano IV incaricò Tommaso d’Aquino, il grande dottore della Chiesa, a preparare tutte le preghiere liturgiche per questa festa. La processione eucaristica legata ad essa iniziò a Colonia in Germania, quindi passò in Francia e nel 1350 iniziò a celebrarsi anche a Roma.

Nella solennissima liturgia del Giovedì Santo all’inizio del Triduo Pasquale, la Chiesa celebra tre particolari aspetti del mistero eucaristico: La sua istituzione, l’istituzione del sacerdozio e il comando dell’amore reciproco significato dalla lavanda dei piedi.

Oggi, invece, di questo immenso mistero d’amore celebriamo un altro aspetto: la presenza, la presenza ineffabile, mirabile e umile del Signore Gesù Risorto e Vivo presente in questo sacramento con il Suo Corpo immolato e il Suo Sangue versato.

Oggi è una festa tanto cara al popolo di Dio, soprattutto quello più semplice e più umile, io stesso ricordo con tanta commozione quelle processioni belle del SSmo Sacramento con tanti di quei fiori preparati da tante persone umili e buone per fare onore a Gesù. Mi viene qui in mente poi la piccola Giacinta di Fatima che in questo giorno fu vestita da angioletto e le fu dato un cesto di petali e le dissero di gettarli davanti a Gesù. Per tutta la processione lei rimase col cestino pieno e quando le chiesero perché non li avesse gettati lei rispose: “Perché non ho visto Gesù Bambino!”. E suo fratellino Francesco nell’ultimo periodo della sua vita, ben sapendo di dover presto morire, quando arrivava a Fatima per andare a scuola, accompagnato da sua cugina Lucia, le diceva: «Vai tu a scuola, a me non serve più imparare a leggere perché fra poco andrò in Cielo, io rimango in Chiesa vicino a Gesù nascosto, quando torni vieni a chiamarmi».

Carissimi fratelli e sorelle, ecco da questo piccolo fanciullo di Fatima impariamo subito a relazionarci correttamente con la SSma Eucarestia. La SSma Eucarestia è “Gesù nascosto”e Gesù è il nostro Dio, è il Verbo incarnato che con il Padre e il loro Spirito sono un solo e unico Dio.

L’Eucarestia quindi è la presenza viva di Gesù. La Persona divina di Gesù è presente nell’umiltà di un’Ostia consacrata. È una presenza nascosta che solo la fede ci svela.

L’Eucarestia, dunque, non è una cosanon è una cosa…! L’Eucarestia è Gesù vivo e nascosto, e come ama Gesù essere scoperto per rivelarsi, per manifestarsi con il suo Amore!

Se l’Eucarestia è una persona, ed è una persona, anzi è una Persona Divina, dobbiamo imparare a relazionarci con l’Eucarestia con quel tratto, quelle attenzioni, quell’amore che richiede la presenza di una Persona divina, cioè di Dio stesso in mezzo a noi.

Allora la presenza di questa Persona ci richiama prima di tutto l’attenzione del cuore, l’ascolto, l’amore. Soprattutto l’amore e l’amore del nostro cuore verso Gesù Eucarestia si manifesta anche attraverso la delicatezza dei gesti con cui ci relazioniamo con questo Sacramento: la genuflessione ben fatta, con le ginocchia fino a terra, o l’inchino profondo che facciamo davanti all’Eucaristia che significano la prostrazione di tutta la nostra persona davanti a Lui…, la devozione interna ed esterna con cui riceviamo questo Sacramento. L’atteggiamento del nostro corpo non può non lasciare trasparire quest’amore: l’avvicinarsi a mani giunte, il nostro guardarLo con amorecome si può fare la Comunione senza guardare con amore quell’Ostia santa? Quel riceverla con devozione nelle nostre mani protese, mani vuote, mani povere che diventano piene e ricche di Dio! Quel grande senso di gratitudine e di commozione nel cibarsi di questo nutrimento celeste!

Le letture di questo anno liturgico ci richiamano a cogliere l’Eucarestia nella sua dimensione di “Alleanza”, Alleanza nuova ed eterna col Padre nel Sangue non di agnelli o altri animali, ma nel Sangue purissimo del nostro Agnello Divino, Gesù.

Abbiamo ascoltato la celebrazione dell’Antica Alleanza: mentre il popolo veniva asperso dal sangue di quegli animali affermava ad alta voce che s’impegnava a mettere in pratica nella vita i Dieci Comandamenti diventando così il popolo di Dio. Si tratta di un rituale a noi ributtante, ma molto significativo per la mentalità dell’uomo biblico. Il sangue degli animali asperso sull’altare e sul popolo stava a significare che uno stesso sangue, cioè una stessa vita scorreva tra Dio e il suo popolo sulla base di quell’impegno che ogni membro del popolo prendeva di osservare i comandamenti divini. Dio faceva dunque suo quel popolo, lo legava a sé nell’amore sulla base di quell’impegno solenne che esso prendeva, di vivere nella sua Legge.

Ora tutto questo era solo un lontano segno di quella realtà di grazia che si è realizzata nella Nuova Alleanza fatta non con il sangue di capretti, ma con il Sangue dell’Agnello senza macchia. 

Tutto il preziossimo Sangue che bagnerà il corpo nudo di Gesù nel dissanguamento della flagellazione e della crocifissione, è significativo di quella mistica aspersione che il suo Santo Spirito opererà – in seguito alla sua morte e resurrezione – sulla Chiesa tutta, suo mistico corpo (cfr. Ef 1,22-23) per mezzo del santo Battesimo e degli altri Sacramenti. Il Battesimo infatti è aspersione del suo preziossimo Sangue (cfr. 1Pt 1,2) ed è operato dallo Spirito Santo, lo Spirito di Gesù che aspergendoci del Suo Sangue ci ha immesso come tralci nella vera vite (cfr. Gv 15,5), come pietre vive dell’edificio spirituale (1Pt 2,5) come membra del Corpo di Cristo (cfr. 1Cor 12,27) per essere in Lui una cosa sola con il Padre (cfr. Gv 17,11) 

L’Eucarestia rinnovando, per la potenza dello Spirito del Risorto, l’immolazione d’amore del Verbo incarnato, permette a tutti i battezzati di rinnovarsi nel loro essere stati innestati vitalmente a Lui nel suo Corpo che è la Chiesa. L’Eucarestia dunque è per essenza la vitalizzazione della vita cristiana della grazia. L’Eucarestia è strettamente legata al nostro essere battezzati e cresimati, cioè conformati e uniti a Cristo  (cfr. Rm 8,29; Fil 3,21; 2Cor 3,18) nel suo corpo che è la Chiesa (cfr. Ef 1,22-23)

Non si può comprendere l’Eucarestia come qualcosa di svincolato, a sé stante dal santo Battesimo e dagli altri Sacramenti. Partecipare all’Eucarestia, celebrare l’Eucarestia, adorare l’Eucarestia significa rinnovarsi negli impegni battesimali di figli di Dio e quindi di santità, di virtù, di amore.

Nell’Eucarestia è presente Gesù con il suo Corpo immolato, il suo Sangue versato, ora – carissimi fratelli e sorelle – bisogna ben capire la finalità di questa presenza di Gesù nell’Eucarestia. Egli è presente nell’Eucarestia per radicarsi sempre più profondamente nelle nostre persone dove Lui vive ed è presente per mezzo della sua grazia battesimale con la quale siamo fatti in Lui figli dello stesso Padre celeste.

Gesù si rende presente nell’Eucarestia per aiutarci a radicarci sempre di più in Lui, viene nell’Eucarestia dunque per potenziare, accrescere, perfezionare, maturare quella presenza di grazia con cui Egli vive in noi. Viene così come cibo per nutrire l’anima della sua presenza. La presenza eucaristica è dunque in funzione, relativa, dipendente, finalizzata alla presenza di grazia. Capite bene, dunque, come allora sia la cosa più stolta e aberrante quella di nutrirsi dell’Eucarestia senza grazia, cibarsi di Gesù col peccato grave nel cuore. Che senso ha quella Comunione? “Ma io mi sentivo di farla!” 

Attenti! – non dobbiamo mettere al centro del nostro incontro con Gesù Eucaristia il nostro desiderio, bensì il suo! Desiderare di fare la Comunione è cosa bella, ma non mettiamo al centro questo nostro desiderio, mettiamo il suo: è Gesù – innanzi tutto e prima di ogni cosa – che desidera far comunione con noi e lo desidera ardentemente (cfr. Lc 22,15). Sia Gesù e solo Gesù il protagonista principale e assoluto di ogni nostro incontro eucaristico! Non, quindi, un andare a fare la Comunione in funzione del nostro semplice sentirsi di volerla fare, o desiderare emotivamente di farla, no! Il nostro comunicarci sia una risposta all’invito e al desiderio di Gesù che, spezzando il Pane e mescendo il Vino, ci invita alla sua mensa: “Prendete e mangiate… prendete e bevete…!” (Mt 26,26-27). Troppe Comunioni sono vissute solo come un bel momento di serenità e di pace e nulla di più! L’Eucarestia non è una camomilla! È un “fuoco divoratore” (Dt 4,24) che vuole fondere e trasformare le nostre esistenze! Gesù vuole fare Comunione con noi perché desidera radicarsi in noi sempre più profondamente, fare la Comunione dunque significa permettere al Signore Gesù di diventare sempre più Signore della mia vita, di essere, Lui, sempre più presente nel mondo attraverso di me. Lui infatti si nasconde nell’Ostia dove solo la fede lo svela per rivelarsi al mondo che non ha fede, attraverso la vita di chi si nutre di Lui.

Vedete, carissimi fratelli e sorelle, il demonio usa due tattiche diverse e contrarie con noi, quando siamo in grazia, ci spinge con gli scrupoli, con il senso d’indegnità a non fare la Comunione, e quante anime ingannate che potrebbero comunicarsi non lo fanno perché danno retta a questi scrupoli! E, nel contempo, con chi vive a braccetto col peccato, fa venire un desiderio irrefrenabile di fare la Comunione e così ci si comunica e si fa sacrilegio, peccato gravissimo e che fa lieto il nemico vedendoci scivolare sempre più giù.

E allora verifichiamo il nostro desiderio di fare la Comunione, verifichiamo se esso è in sintonia con la nostra vita di ogni giorno, c’è Gesù nella mia quotidianità? C’è Gesù nelle mie scelte? C’è Gesù nelle mie azioni? Perché vedete, essere e vivere in grazia cosa significa? Non significa una presenza concreta, reale di Gesù nella mia vita? Quindi se io sono in grazia posso verificarlo benissimo, perché se c’è Gesù non c’è il peccato, non può esserci contemporaneamente Gesù e il peccato: «Voi sapete che egli è apparso per togliere i peccati e che in lui non v'è peccato. Chiunque rimane in lui non pecca; chiunque pecca non lo ha visto né l'ha conosciuto» (1Gv 3,5-6).

Vedete, avere un’esperienza forte di Dio e del suo Amore non significa tanto avere dei trasporti mentre si celebra la S. Messa o mentre si fa la s. Comunione o mentre si prega, non significa neanche avere chissà quali visioni e sentire quali soavissimi profumi! No, avere un’esperienza forte di Dio significa avere visto com’è vero che a Lui “nulla è impossibile” (Lc, 1,37) perché prima di conoscere Gesù bestemmiavo, ora non più…, prima il mio occhio era malizioso, ora è limpido…, prima non perdonavo, ora non ci riesco più a non perdonare…, prima pensavo solo a me, ora ho imparato a condividere…, prima ero vinto dalla mia fragilità, ora non più…, prima il peccato faceva da padrone nella mia vita, ora il padrone sono io, perché ora c’è Gesù in me e Gesù è forte (cfr. Lc 3,16; 11,22)!

È vero che a causa della mia libertà e del mio poco amore il peccato può tornare – momentaneamente – vincitore nella mia vita, per questo il buon Gesù ci ha lasciato il sacramento della Confessione, per permetterGli di ritornare a vincere Lui in noi. Ma quando la persona si lascia conquistare il cuore da Lui e crede veramente al suo Amore e si abbandona ogni giorno in Lui, esperimenta nella propria esistenza d’ogni giorno come è sempre più difficile peccare, perché Lui sta crescendo e l’uomo vecchio sta morendo (cfr. Ef 4,22; Col 3,9). E cresce anche nel cuore il desiderio di fare la Comunione, di mangiare quel Pane di bere a quel Calice, soprattutto quando più pesante si fa il peso della vita con le sue croci e le sue fatiche, con le sue aridità e tentazioni, allora quanto più ci si attacca strettamente all’Eucaristia. Infatti è mangiando questo Pane e accostandoci a questo Calice che abbiamo in noi la Vita (cfr. Gv 6,54), è mangiando di Lui che noi impariamo a vivere di Lui (cfr. Gv 6,57). E vivendo di Lui impariamo alla sua scuola ad amare come solo Lui ci ha insegnato, con quell’amore che sa servire (cfr. Gv 13,14-15) e “dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).

Concludiamo con uno sguardo a Maria, ci presti Lei i suoi occhi, ci presti Lei le sue mani, ci presti Lei il suo Cuore perché accostandoci a questo santo mistero, sappiamo incontraci con Gesù Eucaristia con quell’intensità di amore con cui Lei visse il sentirLo crescere in sé, il suo guardarLo e il suo abbracciarLo a Betlemme, a Nazareth, lungo le vie della Palestina, sotto la croce, nel sepolcro e risorto e vivo nel Cenacolo. 

Amen.

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SOLENNITÀ DEL SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO – SESTO SCHEMA

 

Solennità del SSmo Corpo e Sangue di N. S. Gesù Cristo           Omelia

“PRENDETE, QUESTO È IL MIO CORPO”

 

Carissimi fratelli e sorelle, celebriamo la Solennità del SSmo Corpo e Sangue di N. S. G. C.

La Chiesa già il Giovedì Santo celebra solennemente questo mistero del SS.mo Corpo e Sangue di N. S. Gesù Cristo, come mai questo duplicato?

Questa festa nacque in seguito alla splendida fioritura della devozione eucaristica verificatasi nella cristianità nell XI° secolo e fu istituita da papa Urbano IV in seguito al miracolo di Bolsena dove, nel 1264, un’Ostia santa sanguinò subito dopo essere stata consacrata da un prete scettico che dubitava della presenza reale..

Urbano IV incaricò Tommaso d’Aquino, il grande dottore della Chiesa, a preparare tutte le preghiere liturgiche per questa festa. La processione eucaristica legata ad essa iniziò a Colonia in Germania, quindi passò in Francia e nel 1350 iniziò a celebrarsi anche a Roma.

Nella solennissima liturgia del Giovedì Santo all’inizio del Triduo Pasquale, la Chiesa celebra tre particolari aspetti del mistero eucaristico: La sua istituzione, l’istituzione del sacerdozio e il comando dell’amore reciproco significato dalla lavanda dei piedi.

Oggi, invece, di questo immenso mistero d’amore celebriamo un altro aspetto: la presenza, la presenza ineffabile, mirabile e umile del Signore Gesù Risorto e Vivo presente in questo sacramento con il Suo Corpo immolato e il Suo Sangue versato.

Oggi è una festa tanto cara al popolo di Dio, soprattutto quello più semplice e più umile, io stesso ricordo con tanta commozione quelle processioni belle del SSmo Sacramento con tanti di quei fiori preparati da tante persone umili e buone per fare onore a Gesù. Mi viene qui in mente poi la piccola Giacinta di Fatima che in questo giorno fu vestita da angioletto e le fu dato un cesto di petali e le dissero di gettarli davanti a Gesù. Per tutta la processione lei rimase col cestino pieno e quando le chiesero perché non li aveva gettati lei rispose perché non aveva visto Gesù Bambino! E suo fratellino Francesco nell’ultimo periodo della sua vita, ben sapendo di dover presto morire, quando arrivava a Fatima per andare a scuola, accompagnato da sua cugina Lucia, le diceva: «Vai tu a scuola, a me non serve più imparare a leggere perché fra poco andrò in Cielo, io rimango in Chiesa vicino a Gesù  nascosto, quando torni vieni a chiamarmi».

Carissimi fratelli e sorelle, ecco da questo piccolo fanciullo di Fatima impariamo subito a relazionarci correttamente con la SSma Eucarestia. La SSma Eucarestia è “Gesù nascosto”e Gesù è il nostro Dio, è il Verbo incarnato che con il Padre e il loro Spirito sono un solo e unico Dio.

L’Eucarestia quindi è la presenza viva di Gesù. La Persona divina di Gesù è presente nell’umiltà di un’Ostia consacrata. È una presenza nascosta che solo la fede ci svela.

L’Eucarestia, dunque, non è una cosanon è una cosa…! L’Eucarestia è Gesù vivo e nascosto, e come ama Gesù essere scoperto per rivelarsi, per manifestarsi con il suo Amore!

Se l’Eucarestia è una persona, ed è una persona, anzi è una Persona Divina, dobbiamo imparare a relazionarci con l’Eucarestia con quel tratto, quelle attenzioni, quell’amore che richiede la presenza di una Persona divina, cioè di Dio stesso in mezzo a noi.

Allora la presenza di questa Persona ci richiama prima di tutto all’attenzione del cuore, l’ascolto, l’amore. Soprattutto l’amore e l’amore del nostro cuore verso Gesù Eucarestia si manifesta anche attraverso la delicatezza dei gesti con cui ci relazioniamo con questo Sacramento: la genuflessione ben fatta, con le ginocchia fino a terra, o l’inchino profondo che facciamo davanti all’Eucaristia che significano la prostrazione di tutta la nostra persona davanti a Lui…, la devozione interne ed esterna con cui riceviamo l’Eucaristia nella Comunione al Sacramento. L’atteggiamento del nostro corpo non può non lasciare trasparire quest’amore: l’avvicinarsi a mani giunte, il nostro guardarLo con amorecome si può fare la Comunione senza guardare con amore quell’Ostia santa? Quel riceverla con devozione nelle nostre mani protese, mani vuote, mani povere che diventano piene e ricche di Dio! Quel grande senso di gratitudine e di commozione nel cibarsi di questo nutrimento celeste!

Le letture di questo anno liturgico ci richiamano a cogliere l’Eucarestia nella sua dimensione di alleanza, alleanza nuova ed eterna col Padre nel Sangue non di agnelli o altri animali, ma nel Sangue Suo purissimo, del nostro Agnello Divino, Gesù.

Abbiamo ascoltato la celebrazione dell’Antica Alleanza, mentre il popolo veniva asperso dal sangue di quegli animali affermava ad alta voce che s’impegnava a mettere in pratica nella vita i Dieci Comandamenti diventando così il popolo di Dio. Si tratta di un rituale a noi ributtante, ma molto significativo per la mentalità dell’uomo biblico. Il sangue degli animali asperso sull’altare e sul popolo stava a significare che uno stesso sangue, cioè una stessa vita scorreva tra Dio e il suo popolo sulla base di quell’impegno che ogni membro del popolo prendeva di osservare i comandamenti divini. Dio faceva dunque suo quel popolo, lo legava a sé nell’amore sulla base di quell’impegno solenne che esso prendeva di vivere nella sua Legge.

Ora tutto questo era solo un lontano segno di quella realtà di grazia che si è realizzata nella Nuova Alleanza fatta non con il sangue di capretti, ma con il Sangue dell’Agnello senza macchia. 

Tutto il preziossimo Sangue che bagnerà il corpo nudo di Gesù nel dissanguamento della flagellazione e della crocifissione è significativo di quella mistica aspersione che il suo Santo Spirito opererà in seguito alla sua morte e resurrezione sulla Chiesa tutta, suo mistico corpo (cfr. Ef 1,22-23) per mezzo del santo Battesimo e degli altri sacramenti. Il Battesimo infatti è aspersione del suo preziossimo Sangue (cfr. 1Pt 1,2) ed è operato dallo Spirito Santo, lo Spirito di Gesù che aspergendoci del Suo Sangue ci ha immesso come tralci nella vera vite (cfr. Gv 15,5), come pietre vive dell’edificio spirituale (1Pt 2,5) come membra del Corpo di Cristo (cfr. 1Cor 12,27) per essere in Lui una cosa sola con il Padre (cfr. Gv 17,11) 

L’Eucarestia rinnovando, per la potenza dello Spirito del Risorto, l’immolazione d’amore del Verbo incarnato, permette a tutti i battezzati di rinnovarsi nel loro essere stati innestati vitalmente a Lui nel suo Corpo che è la Chiesa. L’Eucarestia dunque è per essenza la vitalizzazione della vita cristiana della grazia. L’Eucarestia è strettamente legata al nostro essere battezzati e cresimati, cioè conformati e uniti a Cristo  (cfr. Rm 8,29; Fil 3,21; 2Cor 3,18) nel suo corpo che è la Chiesa (cfr. Ef 1,22-23)

Non si può comprendere l’Eucarestia come qualcosa di svincolato, a sé stante dal santo Battesimo e dagli altri sacramenti. Partecipare all’Eucarestia, celebrare l’Eucarestia, adorare l’Eucarestia significa rinnovarsi negli impegni battesimali di figli di Dio e quindi di santità, di virtù, di amore.

Nell’Eucarestia è presente Gesù con il suo Corpo immolato, il suo Sangue versato, ora – carissimi fratelli e sorelle – bisogna ben capire la finalità di questa presenza di Gesù nell’Eucarestia. Egli è presente nell’Eucarestia per radicarsi sempre più profondamente nelle nostre persone dove Lui vive ed è presente per mezzo della sua grazia battesimale con la quale siamo fatti in Lui figli dello stesso Padre celeste.

Gesù si rende presente nell’Eucarestia per aiutarci a radicarci sempre di più in Lui, viene nell’Eucarestia dunque per potenziare, accrescere, perfezionare, maturare quella presenza di grazia con cui Egli vive in noi. Viene così come cibo per nutrire l’anima della sua presenza. La presenza eucaristica è dunque in funzione, relativa, dipendente, finalizzata alla presenza di grazia. Capite bene dunque come allora sia la cosa più stolta e aberrante quella di nutrirsi dell’Eucarestia senza grazia, cibarsi di Gesù col peccato grave nel cuore. Che senso ha quella Comunione? “Ma io mi sentivo di farla!” 

Attenti! – non dobbiamo mettere al centro del nostro incontro con Gesù Eucaristia il nostro desiderio, bensì il suo! Desiderare di fare la Comunione è cosa bella, ma non mettiamo al centro questo nostro desiderio, mettiamo il suo, è Gesù, innanzi tutto e prima di ogni cosa, che desidera far Pasqua con noi e lo desidera ardentemente (cfr. Lc 22,15). Sia Gesù e solo Gesù il protagonista principale e assoluto di ogni nostro incontro eucaristico! Non quindi un andare a fare la Comunione in funzione del nostro semplice sentirsi di volerla fare, o desiderare emotivamente di farla, no. Il nostro andare a comunicarci sia una risposta all’invito e al desiderio di Gesù che spezzando il Pane e mescendo il Vino ci invita alla sua mensa: “Prendete e mangiate… prendete e bevete…!” (Mt 26,26-27). Troppe Comunioni sono vissute solo come un bel momento di serenità e di pace e nulla di più! L’Eucarestia non è una camomilla! E’ un “fuoco divoratore” (Dt 4,24) che vuole fondere e trasformare le nostre esistenze! Gesù vuole fare Comunione con noi perché desidera radicarsi in noi sempre più profondamente, fare la Comunione dunque significa permettere al Signore Gesù di diventare sempre più Signore della mia vita, di essere, Lui, sempre più presente nel mondo attraverso di me. Lui infatti si nasconde nell’Ostia dove solo la fede lo svela per rivelarsi al mondo che non ha fede, attraverso la vita dei suoi fedeli.

Vedete, carissimi fratelli e sorelle, il demonio usa due tattiche diverse e contrarie con noi, quando siamo in grazia, ci spinge con gli scrupoli, con il senso d’indegnità a non fare la Comunione, e quante anime ingannate che potrebbero comunicarsi non lo fanno perché danno retta a questi scrupoli. E nel contempo, con chi vive a braccetto col peccato, fa venire un desiderio irrefrenabile di fare la Comunione e così ci si comunica e si fa sacrilegio, peccato gravissimo e che fa lieto il nemico vedendoci scivolare sempre più giù.

E allora verifichiamo il nostro desiderio di fare la Comunione, verifichiamo se esso è in sintonia con la nostra vita di ogni giorno, c’è Gesù nella mia quotidianità? C’è Gesù nelle mie scelte? C’è Gesù nelle mie azioni? Perché vedete, essere e vivere in grazia cosa significa? Non significa una presenza concreta, reale di Gesù nella mia vita? Quindi se io sono in grazia posso verificarlo benissimo, perché se c’è Gesù non c’è il peccato, non può esserci contemporaneamente Gesù e il peccato: «Voi sapete che egli è apparso per togliere i peccati e che in lui non v'è peccato. Chiunque rimane in lui non pecca; chiunque pecca non lo ha visto né l'ha conosciuto» (1Gv 3,5-6).

Vedete, avere un’esperienza forte di Dio e del suo Amore non significa tanto avere dei trasporti mentre si celebra la S. Messa o mentre si fa la comunione o mentre si prega, non significa neanche avere chissà quali visioni e sentire quali soavissimi profumi! No, avere un’esperienza forte di Dio significa avere visto com’è vero che a Lui “nulla è impossibile” (Lc, 1,37) perché prima di conoscere Gesù bestemmiavo, ora non più…, prima il mio occhio era malizioso, ora è limpido…, prima non perdonavo, ora non ci riesco più a non perdonare…, prima pensavo solo a me, ora ho imparato a condividere…, prima ero vinto dalla mia fragilità, ora non più…, prima il peccato faceva da padrone nella mia vita, ora il padrone sono io, perché ora c’è Gesù in me e Gesù è forte (cfr. Lc 3,16; 11,22). 

È vero che a causa della mia libertà e del mio poco amore il peccato può tornare vincitore nella mia vita, per questo il buon Gesù ci ha lasciato il sacramento della Confessione per permetterGli di ritornare a vincere Lui in noi. Ma quando la persona si lascia conquistare il cuore da Lui e crede veramente al suo Amore e si abbandona ogni giorno in Lui, esperimenta nella propria esistenza d’ogni giorno come è sempre più difficile peccare, perché Lui sta crescendo e l’uomo vecchio sta morendo (cfr. Ef 4,22; Col 3,9). E cresce anche nel cuore il desiderio di fare la Comunione, di mangiare quel Pane di bere a quel Calice, soprattutto quando più pesante si fa il peso della vita con le sue croci e le sue fatiche, con le sue aridità e tentazioni, allora quanto più ci si attacca strettamente all’Eucaristia. Infatti è mangiando questo Pane e accostandoci a questo Calice che abbiamo in noi la Vita (cfr. Gv 6,54), è mangiando di Lui che noi impariamo a vivere di Lui (cfr. Gv 6,57). E vivendo di Lui impariamo alla sua scuola ad amare come solo Lui ci ha insegnato, con quell’amore che sa servire (cfr. Gv 13,14-15) e “dare la vita  per i propri amici” (Gv 15,13).

Concludiamo con uno sguardo a Maria, ci presti Lei i suoi occhi, ci presti Lei le sue mani, ci presti Lei il suo Cuore perché accostandoci a questo santo mistero, sappiamo incontraci con Gesù Eucaristia con quell’intensità di amore con cui Lei visse il sentirLo crescere in sé, il suo guardarLo e il suo abbracciarLo a Betlemme, a Nazareth, lungo le vie della Palestina, sotto la croce, nel sepolcro e risorto e vivo nel Cenacolo.

Amen             j.m.j.

 

 

SOLENNITÀ DEL SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO – SETTIMO SCHEMA

Carissimi fratelli e sorelle,

concludiamo oggi l’anno liturgico con la festa di Gesù Re dell’Universo. Gesù Re buono e compassionevole è il buon pastore preannunziato da Ezechiele (prima lettura) che ci guida con amore verso il Cielo (salmo responsoriale) e che, alla fine dei tempi, prima di consegnare il Regno al Padre (seconda lettura), radunerà il suo gregge per il giudizio.

La solenne scena evangelica ci presenta il gran giorno del giudizio, questa pagina è certamente tra le più conosciute, semplici, facili da comprendere anche dai bambini: quell’«avete fatto a me» di Gesù è una frase fortissima.

Il Signore Gesù ci ricorda che saremo giudicati sull’amore, sull’amore concreto, fattivo, pratico che avremo avuto con i nostri fratelli anche quelli che non sopportiamo: L’avete fatto a me!”

Si racconta di s. Rodriguez, fratello gesuita, portinaio, che ogni volta che suonavano alla porta del convento diceva nel suo cuore: “Eccomi Gesù, vengo subito ad aprirti” e un giorno ebbe la sorpresa di aprire sul serio la porta a Gesù stesso.

Bisogna però fare una grande attenzione a non isolare questa pagina del Vangelo dall’insieme di esso, perché potremmo essere portati ad affermare che alla fin fine pregare, partecipare alla S. Messa e cose simili non sono importanti, l’importante è fare del bene, è agire bene, trattare bene il prossimo, fare un po’ di volontariato, aiutare chi si può e questo è sufficiente. Un’idea simile sarebbe travolgere tutto il Vangelo e livellarlo ad una dimensione meramente orizzontale, rischio quanto mai in agguato per noi uomini e donne di oggi così tanto materialisti. Ecco allora un certo senso di non stima, di svalutazione della vita di orazione, della vocazione delle suore di clausura, ad esempio: perché al posto di starsene rinchiuse lì non vanno a fare un po’ di bene nel mondo?

Attenti a non essere riduzionisti. Il messaggio dell’amore al prossimo è un messaggio di valore fondamentale del Vangelo di Gesù, ma il Vangelo di Gesù è fondato su un valore ancora più grande, che è l’amore del Padre e al Padre. È questo amore più grande che fonda, sostiene e promuove l’amore ai fratelli, senza quest’amore fondamentale e fondante non è possibile un vero, autentico amore ai fratelli.

Inoltre non possiamo staccare questo Vangelo dal suo contesto prossimo, siamo nel capitolo 25° di Matteo che inizia con quella frase cara all’Evangelista: “Il regno dei cieli è simile a…” e prosegue con il racconto di due parabole: quella delle dieci vergini, quella dei talenti che introducono alla visione conclusiva del giudizio finale in cui Gesù Signore separa i capri dalle pecore.  Gesù quindi sta concludendo il suo lungo parlare del Regno dei Cieli, che è il Regno del Padre suo, Regno che il Padre ha messo nelle sue mani e che Gesù riconsegnerà a Lui quando tutto sarà finito (seconda lettura).

Certamente l’amore fattivo verso il prossimo è la prova del nove del nostro essere o meno cristiani e se questa prova risulta negativa, se quest’amore di fatto non ci fosse, dobbiamo necessariamente chiederci: “A che prò le  nostre preghiere, le nostre liturgie?” Allora forse sarà il caso che oggi ci interroghiamo sul senso profondo e autentico del nostro partecipare alla liturgia.

Ma questo interrogativo fu già nei profeti dell’Antico Testamento, i quali rimproveravano il popolo perché Dio non sapeva che farsene delle loro liturgie e dei loro digiuni: “Il digiuno che voglio è che spezzate il pane  con l’affamato, che apriate la vostra casa ai senza tetto… (Is 58,7) e ancora: “Misericordia io voglio e non sacrificio” (Os 6,6). “Sacrificio” era come dire “Liturgia”“riti sacri”,  infatti la liturgia ebraica era tutta formata da “sacrifici rituali”, sarebbe dunque come dire: “Amore io voglio e non le vostre liturgie.

Quindi Dio vuole abolire le nostre liturgie? No, certamente, sarebbe questa una interpretazione sciocca della Parola, Dio non vuole abolire le nostre liturgie, desidera solo che esse siano autentiche, vere e non false. Liturgie a cui corrisponda dietro una vita concreta, liturgie che animino dal di dentro un vita di amore fattivo.

«Narra un racconto ebraico che un giorno si presentarono ad un vecchio rabbino alcuni giovani discepoli trafelati: “Maestro – dissero – lungo la strada alcuni ci hanno detto che il regno del Messia è venuto”. Il vecchio rabbino non disse una parola, aprì la finestra, guardò sulla strada, e poi chiuse la finestra, scuotendo la testa, con rassegnazione. Come a dire: se il regno del Messia fosse venuto, qualcosa avrebbe dovuto cambiare; tutto invece è come prima: ancora il peccato, l’ingiustizia, la sofferenza, le molte incredulità.

Se ci pensiamo bene, molto simile a questa rassegnazione del rabbino può essere il nostro atteggiamento, mentre celebriamo la festa di Gesù Cristo Re dell’Universo. È proprio vero – ci chiediamo – che il regno di Gesù si è esteso a tutto l’universo? È proprio vero che tutte le cose sono state rinnovate nel Cristo Re, come diciamo nella preghiera iniziale della liturgia odierna? 

È proprio vero che la nostra vita è cambiata e ha ritrovato la bellezza e lo splendore delle origini? O non dobbiamo forse ammettere che tutto è rimasto come prima, e continua a rimanere come prima, nonostante le nostre buone intenzioni?

Questo Regno è già qui, bussa alla porta della nostra casa, attende soltanto che noi gli facciamo spazio. E volete sapere – dice ancora oggi Gesù a ciascuno di noi – come bussa alla vostra porta? “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”. 

Appunto attraverso tali gesti quotidiani si affaccia nella nostra vita il Regno nuovo di Gesù. Certo, ci sono ancora il peccato, l'ingiustizia, la sofferenza, le molte incredulità, come pensava rassegnato quel vecchio rabbino, ma può essere diverso e nuovo il nostro modo di vedere questi mali, può essere diverso e nuovo il nostro cuore che li incontra: "Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere". Il nostro cuore può essere come il cuore di Gesù: che è stato il cuore di un Re perché ha custodito fino alla fine – nonostante tutto – la compassione e la tenerezza del Padre» – Don Elio Dotto.

Una domanda dobbiamo porci tutti al termine di quanto ascoltato: siamo uomini e donne del Regno? O meglio desideriamo appartenere veramente a questo Regno? Uomini nuovi e donne nuove che hanno nel cuore, nella mente, nell’anima il Signore Gesù? Uomini nuovi e donne nuove che desiderano annunciare a tutti questo Regno? Regno di semplicità e di verità, di umiltà e di servizio, di purezza e gioia. Essere testimoni autentici, veri, credibili di questo Regno, ecco l’invito, ecco il desiderio, ecco la missione, ecco la vocazione che Gesù Re dona oggi a tutti noi: portare a tutti l’annuncio di gioia che il Regno di Dio è in mezzo a noi! (cf Lc 17,21).

Maria SSma, che fu la prima a ricevere l’annuncio della realizzazione delle promesse del Padre e di questo Regno è il membro più eccelso perché da Lei è nato il “Re dei Re”, ci aiuti ad essere nel piccolo mondo della nostra quotidianità, un piccolo segno di speranza e di amore, un piccolo, ma autentico segno di questo Regno.

Amen.

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 j.m.j.

Solennità di N. S. G. C. Re dell’universo – Anno “A”          Omelia

Gesù Re 

Carissimi fratelli e sorelle,

concludiamo oggi l’anno liturgico con la festa di Gesù Re dell’Universo. Gesù Re buono e compassionevole è il buon pastore preannunziato da Ezechiele (prima lettura) che ci guida con amore verso il Cielo (salmo responsoriale) e che, alla fine dei tempi, prima di consegnare il Regno al Padre (seconda lettura), radunerà il suo gregge per il giudizio.

La solenne scena evangelica ci presenta il gran giorno del giudizio, questa pagina è certamente tra le più conosciute, semplici, facili da comprendere anche dai bambini: quell’«avete fatto a me» di Gesù è una frase fortissima.

Il Signore Gesù ci ricorda che saremo giudicati sull’amore, sull’amore concreto, fattivo, pratico che avremo avuto con i nostri fratelli anche quelli che non sopportiamo: L’avete fatto a me!”

Si racconta di s. Rodriguez, fratello gesuita, portinaio, che ogni volta che suonavano alla porta del convento diceva nel suo cuore: “Eccomi Gesù, vengo subito ad aprirti” e un giorno ebbe la sorpresa di aprire sul serio la porta a Gesù stesso.

Bisogna però fare una grande attenzione a non isolare questa pagina del Vangelo dall’insieme di esso, perché potremmo essere portati ad affermare che alla fin fine pregare, partecipare alla S. Messa e cose simili non sono importanti, l’importante è fare del bene, è agire bene, trattare bene il prossimo, fare un po’ di volontariato, aiutare chi si può e questo è sufficiente. Un’idea simile sarebbe travolgere tutto il Vangelo e livellarlo ad una dimensione meramente orizzontale, rischio quanto mai in agguato per noi uomini e donne di oggi così tanto materialisti. Ecco allora un certo senso di non stima, di svalutazione della vita di orazione, della vocazione delle suore di clausura, ad esempio: perché al posto di starsene rinchiuse lì non vanno a fare un po’ di bene nel mondo?

Attenti a non essere riduzionisti. Il messaggio dell’amore al prossimo è un messaggio di valore fondamentale del Vangelo di Gesù, ma il Vangelo di Gesù è fondato su un valore ancora più grande, che è l’amore del Padre e al Padre. È questo amore più grande che fonda, sostiene e promuove l’amore ai fratelli, senza quest’amore fondamentale e fondante non è possibile un vero, autentico amore ai fratelli.

Inoltre non possiamo staccare questo Vangelo dal suo contesto prossimo, siamo nel capitolo 25° di Matteo che inizia con quella frase cara all’Evangelista: “Il regno dei cieli è simile a…” e prosegue con il racconto di due parabole: quella delle dieci vergini, quella dei talenti che introducono alla visione conclusiva del giudizio finale in cui Gesù Signore separa i capri dalle pecore.  Gesù quindi sta concludendo il suo lungo parlare del Regno dei Cieli, che è il Regno del Padre suo, Regno che il Padre ha messo nelle sue mani e che Gesù riconsegnerà a Lui quando tutto sarà finito (seconda lettura).

Certamente l’amore fattivo verso il prossimo è la prova del nove del nostro essere o meno cristiani e se questa prova risulta negativa, se quest’amore di fatto non ci fosse, dobbiamo necessariamente chiederci: “A che prò le  nostre preghiere, le nostre liturgie?” Allora forse sarà il caso che oggi ci interroghiamo sul senso profondo e autentico del nostro partecipare alla liturgia.

Ma questo interrogativo fu già nei profeti dell’Antico Testamento, i quali rimproveravano il popolo perché Dio non sapeva che farsene delle loro liturgie e dei loro digiuni: “Il digiuno che voglio è che spezzate il pane  con l’affamato, che apriate la vostra casa ai senza tetto… (Is 58,7) e ancora: “Misericordia io voglio e non sacrificio” (Os 6,6). “Sacrificio” era come dire “Liturgia”“riti sacri”,  infatti la liturgia ebraica era tutta formata da “sacrifici rituali”, sarebbe dunque come dire: “Amore io voglio e non le vostre liturgie.

Quindi Dio vuole abolire le nostre liturgie? No, certamente, sarebbe questa una interpretazione sciocca della Parola, Dio non vuole abolire le nostre liturgie, desidera solo che esse siano autentiche, vere e non false. Liturgie a cui corrisponda dietro una vita concreta, liturgie che animino dal di dentro un vita di amore fattivo.

«Narra un racconto ebraico che un giorno si presentarono ad un vecchio rabbino alcuni giovani discepoli trafelati: “Maestro – dissero – lungo la strada alcuni ci hanno detto che il regno del Messia è venuto”. Il vecchio rabbino non disse una parola, aprì la finestra, guardò sulla strada, e poi chiuse la finestra, scuotendo la testa, con rassegnazione. Come a dire: se il regno del Messia fosse venuto, qualcosa avrebbe dovuto cambiare; tutto invece è come prima: ancora il peccato, l’ingiustizia, la sofferenza, le molte incredulità.

Se ci pensiamo bene, molto simile a questa rassegnazione del rabbino può essere il nostro atteggiamento, mentre celebriamo la festa di Gesù Cristo Re dell’Universo. È proprio vero – ci chiediamo – che il regno di Gesù si è esteso a tutto l’universo? È proprio vero che tutte le cose sono state rinnovate nel Cristo Re, come diciamo nella preghiera iniziale della liturgia odierna? 

È proprio vero che la nostra vita è cambiata e ha ritrovato la bellezza e lo splendore delle origini? O non dobbiamo forse ammettere che tutto è rimasto come prima, e continua a rimanere come prima, nonostante le nostre buone intenzioni?

Questo Regno è già qui, bussa alla porta della nostra casa, attende soltanto che noi gli facciamo spazio. E volete sapere – dice ancora oggi Gesù a ciascuno di noi – come bussa alla vostra porta? “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”. 

Appunto attraverso tali gesti quotidiani si affaccia nella nostra vita il Regno nuovo di Gesù. Certo, ci sono ancora il peccato, l'ingiustizia, la sofferenza, le molte incredulità, come pensava rassegnato quel vecchio rabbino, ma può essere diverso e nuovo il nostro modo di vedere questi mali, può essere diverso e nuovo il nostro cuore che li incontra: "Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere". Il nostro cuore può essere come il cuore di Gesù: che è stato il cuore di un Re perché ha custodito fino alla fine – nonostante tutto – la compassione e la tenerezza del Padre» – Don Elio Dotto.

Una domanda dobbiamo porci tutti al termine di quanto ascoltato: siamo uomini e donne del Regno? O meglio desideriamo appartenere veramente a questo Regno? Uomini nuovi e donne nuove che hanno nel cuore, nella mente, nell’anima il Signore Gesù? Uomini nuovi e donne nuove che desiderano annunciare a tutti questo Regno? Regno di semplicità e di verità, di umiltà e di servizio, di purezza e gioia. Essere testimoni autentici, veri, credibili di questo Regno, ecco l’invito, ecco il desiderio, ecco la missione, ecco la vocazione che Gesù Re dona oggi a tutti noi: portare a tutti l’annuncio di gioia che il Regno di Dio è in mezzo a noi! (cf Lc 17,21).

Maria SSma, che fu la prima a ricevere l’annuncio della realizzazione delle promesse del Padre e di questo Regno è il membro più eccelso perché da Lei è nato il “Re dei Re”, ci aiuti ad essere nel piccolo mondo della nostra quotidianità, un piccolo segno di speranza e di amore, un piccolo, ma autentico segno di questo Regno.

Amen.    j.m.j.

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Solennità di N. S. Gesù Cristo Re dell’Universo – Anno B                            Omelia

“TU LO DICI, IO SONO RE!”

Carissimi fratelli e sorelle,

chiudiamo oggi l’anno liturgico con la Solennità di N. S. Gesù Cristo Re dell’Universo. 

La liturgia di questo anno B ci propone la contemplazione di Gesù Re sotto la luce di due particolari riflettori.

La prima fonte di luce che illumina oggi questa festa di Cristo Re è la figura del “Figlio dell’Uomo”, immagine biblica inaugurata da Daniele. Questa figura di Daniele appartiene all’ambito, del Cielo, di Dio e da questi riceve il potere regale per instaurare il suo Regno che è Regno universale ed eterno che si contrappone come vincente sui vari regni umani che hanno oppresso Israele.

A quest’immagine si identificò Gesù in numerosi occasioni della sua vita anzi dai Vangeli sembra proprio che questo fosse il titolo preferito da Gesù che, spessissimo, parlando in terza persona parlava di sé come del “Figlio dell’Uomo”.

I quattro evangelisti riportano un totale di ben 78 volte in cui il Signore Gesù parla di sé come “Figlio dell’uomo”, di queste 78 volte ne ricordiamo due in particolare, due tra le più significative, la prima quando chiese a suoi apostoli: “Chi dice la gente che sia il Figlio dell’Uomo” (Mt 16,13), e l’altra quando durante il suo processo davanti a Caifa dirà: “D’ora in poi vedrete il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo” (Mt 26,64).

Questa stessa immagine viene ripresa da Giovanni nella sua Apocalisse in cui la identifica nel Cristo Risorto e vivo, come abbiamo ascoltato nella prima lettura odierna:

“ Ecco, viene sulle nubi e ognuno lo vedrà; anche quelli che lo trafissero e tutte le nazioni della terra si batteranno per lui il petto. Sì, Amen! Io sono l'Alfa e l'Omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente!” (Ap 1,5-8)

La seconda fonte di luce che illumina la nostra festa odierna è l’episodio, riportato nel Vangelo di Giovanni che abbiamo appena proclamato, del dialogo tra Gesù e Ponzio Pilato. Dialogo nel quale Gesù si propone, senza mezzi termini come “Re”, ma Re di una dimensione non terrena, Re di un Regno che non è di questo mondo. Regno, cioè, che non ha le caratteristiche terrene di forza e potenza materiale, ma Regno spirituale, Regno dei cuori, Regno dei semplici, dei piccoli, degli umili, Regno dei figli di Dio.

Nel Vangelo di Giovanni solo nella Passione si parla di questo Regno e Gesù muore appunto perché “Re dei Giudei” come farà scrivere Pilato in tre lingue, romano, greco e ebraico, come motivazione della condanna a morte. E la croce viene vista in questo Vangelo come il trono glorioso di questo Re.

Negli altri Vangeli, invece, sono tanti, sin dall’inizio, i discorsi che Gesù fa intorno al Regno che Lui è venuto ad inaugurare. Marco e Luca parlano di questo Regno come del “Regno di Dio” (Mc 1,15; 4,11 ecc.; Lc 4,43; 6,20 ecc.). Matteo più attento alla delicatezza dell’uso ebraico di non pronunciare mai il nome santissimo di “Dio” – perché pronunciarlo sarebbe già come bestemmiarlo – ne parla come il “Regno dei cieli” (Mt 3,1; 4,17; ecc.) o come il “Regno del Padre” (Mt 13,43; 26,29).

Quando Gesù, il Maestro, parlava del “Regno del Padre” si capisce che evocava una realtà ben nota ai suoi uditori. Nell’insegnamento di Gesù, il Regno di Dio si presenta anzitutto come un intervento di Dio nel corso della storia. 

Nella Storia della Salvezza noi vediamo come Dio voglia stabilire il suo Regno in mezzo agli uomini. “Regno” richiama “autorità” – “potere” – “dominio”, ora questo Regno di Dio non è però un Regno alla maniera umana, ma tutta sua: è “autorità” che non opprime ma che illumina, è “potere” che non schiavizza, ma libera; è un “dominio” che non schiaccia, ma innalza.

PROFETI più antichi avevano visto questo Regno come il giudizio di Dio su Israele e i peccatori, i PROFETI più recenti vedevano questo Regno in un mondo ricreato che vive all’ombra della presenza di Dio. Gli autori APOCALITTICI descrivono lo stabilirsi del Regno secondo lo scenario di una catastrofe cosmica. Nei libri SAPIENZIALI il Regno di Dio è presentato come il frutto della sapienza divina che aveva messo la sua tenda in mezzo al popolo d’Israele. I SALMI del Regno hanno particolarmente sottolineato l’avvento futuro del Regno di Dio. È  Dio stesso che stabilirà il suo Regno sulla terra. È Dio che regnerà, vestito di maestà; è Lui che giudicherà le nazioni e sarà gioia grande per chi Lo ama e terrore e angoscia per coloro che non vivono nel suo amore.

Ora, tutto questo, tutte queste idee sul Regno echeggiavano nel cuore degli ascoltatori di Gesù quando parlava del Regno del Padre suo

Poiché Gesù è Dio, trovano dunque in Lui il compimento tutte le promesse divine: Dio che viene in persona per stabilire il suo Regno tra gli uomini. Il Nuovo Testamento annuncia il Regno come imminente in forza della morte e risurrezione del Cristo, o come già avvenuto nella sua persona, e pone l’accento sul suo carattere essenzialmente interiore, fondato sulla carità. Noi cristiani viviamo nell’attesa della manifestazione piena di questo Regno alla fine dei tempi.

Ora, Gesù ci ha parlato di questo Regno come:

* a un uomo che "uscì a seminare“ e sparse il suo seme dovunque ma crebbe solo sulla terra buona (Mc 4,1ss);

* a un uomo che “ha seminato del buon seme nel suo campo”, ma vede crescere in esso anche l’erba cattiva (Mt  13,24ss);

* “a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami” (Mt 13,31ss);

* “al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti" (Mt 13,33);

* “a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo” (Mt 13,44);

* “a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra” (Mt 13,45);

* “a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci” (Mt 13,47ss);

* “un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce” (Mc 4,26ss)

* “a un re che volle fare i conti con i suoi servi” (Mt 18,23ss); 

* “a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio”, ma gli invitati si scusano e non partecipano provocando l’ira del re che chiamerà così alla festa i poveri e gli ultimi (Mt 22,2ss);

* “a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna” (Mt 20,1); 

* “a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo”, ma, “cinque di esse erano stolte e cinque sagge” (Mt 25,1ss).

Gesù parla ancora del Regno come proprietà dei poveri e dei perseguitati: vostro è il Regno (Lc 6,20). 

Ci dice ancora che difficilmente un ricco potrà entrarvi (Lc 18,25) e sarebbe meglio per noi tagliarci una mano un’arto e entrarvi monchi piuttosto che rimanervi fuori (Lc 9,43). 

Ci ha detto ancora che per entrarvi è necessario una rinascita nell’acqua e nello spirito (Gv 3,5), e che questo Regno è dei piccoli e che se non diventeremo bambini non vi entreremo (Lc 18,17).

È un Regno che soffre violenza e solo coloro che si sforzano e si fanno violenza vi entreranno (Mt 11,12) e se cercheremo questo Regno con tutte le nostre forze, ogni cosa ci verrà data in più (Mt 6,33)

Gesù ci ha invitato a pregare il Padre perché questo Regno venga presto nella sua pienezza (Mt 6,10) e ci ha detto di non scoraggiarci perché questo Regno è già presente nel mondo (Lc 17,21) ed è un Regno aperto a tutti (Lc 13,28) e le sue porte si aprono immediatamente a chi con fiducia invoca il Suo Nome come Lo invocò il ladrone pentito che sulla croce disse: «Gesù ricordati di me quando sarai nel tuo Regno» (Lc 23,42).

Una domanda dobbiamo porci tutti al termine di quanto ascoltato: siamo uomini e donne del Regno? O meglio desideriamo appartenere veramente a questo Regno? Uomini nuovi e donne nuove che hanno nel cuore, nella mente, nell’anima il Signore Gesù, uomini nuovi e donne nuove che desiderano annunciare a tutti questo Regno, Regno di semplicità e di verità, di umiltà e di servizio, di purezza e gioia. Essere testimoni autentici, veri, credibili di questo Regno, ecco l’invito, ecco il desiderio, ecco la missione, ecco la vocazione che Gesù Re dona oggi a tutti noi: portare a tutti l’annuncio di gioia che il Regno di Dio è in mezzo a noi!

Maria SSma, che fu la prima a ricevere l’annuncio della realizzazione delle promesse del Padre e di questo Regno è il membro più eccelso perché da Lei è nato il “Re dei Re”, ci aiuti ad essere nel piccolo mondo della nostra quotidianità, un piccolo segno di speranza e di amore, un piccolo, ma autentico segno di questo Regno.

Amen.                                                                j.m.j.

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Solennità di N. S. Gesù Cristo Re dell’Universo – Anno C                                   Omelia

 

Carissimi fratelli e sorelle,

in questa solennità conclusiva dell’anno liturgico celebriamo il Signore Gesù come “nostro RE”

“Re” è una parola che non siamo più abituati a sentire e che, difficilmente, oggi riesce a trasmettere alla nostra mente tutta la forza, la bellezza, la grandezza e il mistero di grazia che essa vorrebbe indicarci.

Cosa si nasconde dunque nel fatto che noi celebriamo oggi Gesù come “nostro Re”? Vediamo cosa le letture odierne ci dicono riguardo a questo termine.

La seconda lettura ci permette di comprendere innanzi tutto un aspetto fondamentale della regalità di Gesù strettamente legato alla sua divinità. Lui infatti è il Figlio che è una cosa sola col Padre nello Spirito Santo (cf Gv 10,30): tutti e tutto sono sotto il suo dominio, il suo potere, la sua autorità, perché Lui è Dio, il grande, onnipotente e tre volte santo Dio (cf Ap 4,8): “Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in Lui”.

La lettera di Paolo continua dicendo che “Egli è anche il Capo del Corpo, cioè della Chiesa”. Gesù quindi è “nostro RE” in quanto è il “ nostro DIO” e anche in quanto è il “nostro CAPO” , “il Capo della Chiesa che è il suo Corpo”. Egli è il “CAPO” in quanto vero uomo: “il Carpentiere, il Figlio di Maria” (Mc 6,3). 

La prima lettura ci aiuta ad andare più in profondità nella comprensione di cosa vogliamo significare dicendo che Gesù è il “NOSTRO CAPO”. Questa tratta dell’unzione di Davide come re d’Israele. Le tribù ebree radunatesi ad Ebron per proclamare solennemente il loro nuovo re, dissero a Davide: “Ecco noi ci consideriamo come tue ossa e tua carne”Che bell’immagine! Noi apparteniamo a te come appartengono a te le tue ossa e la tua carne; tu appartieni a noi come nostro capo: “Il Signore ti ha detto: Tu pascerai Israele mio popolo, tu sarai capo in Israele”.

Ecco, carissimi fratelli e sorelle, quando diciamo che “Gesù è nostro Re”, vogliamo dire – tra l’altro – che noi apparteniamo a Lui, che siamo suoi, e quanto Gli siamo costati! Quale grande prezzo ha dovuto pagare per comprarci (cf 1Cor 6,20; 7,23; 1Pt 1,18-19)! E che quindi non ci apparteniamo più, sì, non ci apparteniamo più, perché ormai apparteniamo a Lui (cf 1Cor 6,19; Gal 3,29; Rm 7,4; 8,9).

Ma, se è vero che noi apparteniamo a Lui, nondimeno vero è che Lui appartiene a noi: è nostro! Tutto nostro, per sempre nostro: è il regalo del Padre che tanto ci ha amati da donarci il suo Unico Figlio (cf Gv 3,16). Dono immeritato, del quale siamo tutti indegni, dono assolutamente gratuito che nessuno avrebbe potuto né può mai ripagare. Il P. Pio Bruno Lanteri [Fondatore dei Padri Oblati di Maria Vergine] riflettendo su questo dono del Padre scriveva: “Ora nulla vi è che dia un più giusto diritto sopra una cosa, quanto l'averla acquistata per mezzo di donazione: dunque avendomi il Padre donatomi il suo Figlio, Questi appartiene a me, ed avendoLo io accettato, Lo posso offrire al Padre per me” – [ “Tesoro del Crocifisso”  (Asc, 2269a:T3,2) – Trasposizione in italiano moderno]

Noi apparteniamo a Lui, sì, apparteniamo a Lui e non potremmo non appartenerGli perché Lui è Dio e tutto appartiene a Lui per la sua onnipotenza e forza: “Egli disse e tutto fu fatto” (Sal 148,5), chi potrebbe sottrarsi al suo dominio divino? Ma non è a questo genere di appartenenza che ci riferiamo quando diciamo che “noi apparteniamo a Lui”, infatti noi non apparteniamo a Lui solo per via della sua potenza, noi apparteniamo a Lui per amore, sì, per amore. Lui ci ha fatto suoi non con la manifestazione della sua potenza, ma con la manifestazione della sua debolezza, sì, perché non c’è persona più debole di chi ama e Lui ci ha amato a tal punto da rendersi – Lui, onnipotente ed eterno! – talmente impotente, debole, abbattuto – da morire crocifisso, senza scendere dalla croce, inchiodato e vinto dall’amore che ci porta.

Noi apparteniamo a Lui perché siamo stati conquistati, afferrati (cf Fil 3,12), sedotti (cf Ger 20,7) dal suo amore. Noi siamo suoi perché abbiamo conosciuto il suo amore e ci siamo lasciati affascinare da esso. Apparteniamo a Gesù perché Lo amiamo e l’amore non è amore se non è consegna di sé all’altro. Ma questa nostra consegna a Lui è risposta alla consegna che Lui ha fatto a ciascuno di noi di Se Stesso (cf Ef 5,2.25; Gal 1,4; 2,20; 1Tm 2,6: Tt 2,14) una volta per tutte morendo per tutti in croce (cf Eb 7,27).

Gesù si è consegnato per amore, amore assoluto, amore immenso, amore incredibile sottoponendosi così al rischio di non essere accolto, capito, stimato, apprezzato.

Luca, nel Vangelo odierno, mostrandoci Gesù vilipeso, umiliato e crocifisso, ci mostra anche il palcoscenico di questa consegna d’amore. Si tratta di una scena cosmica, che trascende il tempo e lo spazio e che coinvolge tutti i tempi e tutta l’umanità. Lì Gesù si è consegnato, per amore, ad ogni uomo ed ad ogni donna che era, che è e che sarà e tutti sono presenti a questo dramma della follia d’amore di Dio. Luca ce li mostra tutti lì rappresentati dal popolo che stava a guardare, dai capi di esso, dai soldati e dai due malfattori, a noi capire da quali di essi veniamo rappresentati:

– Ci sono quelli che stanno a vedere: “Il popolo stava a vedere”. Questi sono i più. Non si compromettono né con gesti irriverenti, né con gesti di sostegno al condannato: stanno a guardare, aspettano un segno. Pensate un po’, se Gesù fosse sceso dalla croce quelli lì avrebbero trovato il coraggio di ammazzare tutti quanti avevano preso in giro il Signore e messo in croce. Avrebbero trovato il coraggio perché ormai avrebbero saputo che Gesù era il più forte. Ma erano pronti a tornarsene alle loro case, al loro piccolo mondo che la faccenda “Gesù” non aveva ancora minimamente toccato o compromesso.

– Ci sono i capi (cioè gli scribi, i farisei, i sacerdoti che avevano macchinato contro Gesù) che Lo invitano a scendere dalla croce per dimostrare che veramente è il “Messia” e che quindi Dio è con Lui: “Lo salvi Dio se è il suo eletto!”. Per loro Gesù è un impostore, è uno che ha bestemmiato proclamandosi Dio come il Padre. Gesù viene da loro rifiutato perché Dio – secondo loro – non può lasciarsi crocifiggere, Dio non è debole!

– Ci sono i soldati romani che Lo scherniscono e Lo sfidano a scendere dalla croce per dimostrare che veramente è “Re”. Loro non ne sanno nulla di Messia e non si interessano del fatto che Egli sia o meno un essere divino, Lo scherniscono e Lo sfidano a scendere dalla croce per dimostrare che è “Re”. Per loro Gesù è un povero folle e come tale Lo hanno vestito e trattato: un misero re da burla (cf Mc 15,16-19). Un povero folle che propone una vita da vinti, falliti senza gloria né piaceri.

– Ci sono poi i due malfattori che vengono inchiodati “uno alla sua destra e uno alla sua sinistra” (Lc 23,33). Marco e Matteo ci raccontano che “anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano” (Mc 15,32; Mt 27,44). Luca, invece, – abbiamo ascoltato – ci racconta che uno dei due dalla sua croce difende Gesù. Probabilmente anche lui, prima, se l’era presa con Gesù come il suo pari, e come tanti che colpiti dalla sofferenza accusano Dio di essere ingiusto e cattivo. Ma poi lì sulla croce ci fu qualcosa che lo fece cambiare, uno sconvolgimento interno che lo porterà a difendere Gesù e, lui, ladro e assassino, entrare per primo in Cielo.

Cosa avrà provocato un tale rivoluzionamento interiore nell’animo di questo mascalzone? 

«Questo malfattore non si associa agli insulti proferiti dall'altro, ma lo rimprovera. Confessa la propria colpevolezza, riconosce la perfetta innocenza di Gesù e si rivolge a Lui con una domanda che esprime pentimento e fede messianica. Lo invoca con una supplica piena di umiltà e di fiducia: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno". Lo chiama familiarmente per nome "Gesù" (è l'unico caso in tutto il Vangelo che Gesù viene chiamato per nome senza alcun altro titolo) e gli chiede di ricordarsi di lui, cioè di intervenire in suo favore, quando verrà nello splendore del suo potere regale. Una fede straordinaria! Il ladrone, infatti, crede che Gesù introdurrà il Regno di Dio, che comporta la risurrezione dei morti. Lo crede nonostante la situazione tragica e irreparabile del Messia, crocifisso e morente come lui e accanto a lui. Che cosa ha potuto provocare e motivare tale fede? Il testo che precede il nostro presenta Gesù che prega per i suoi uccisori: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno!". Il ladrone si converte perché ha ascoltato questa preghiera di Gesù. Ha percepito la profondità inaudita del rapporto filiale che Gesù vive con Dio e ha capito fino a che punto arriva il suo amore. 

La risposta di Gesù supera ogni attesa: "In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso". "Oggi": la salvezza promessa da Dio e attesa per lunghi secoli è qui, interamente donata grazie alla presenza misericordiosa di Gesù. "Sarai con me". Ecco il bene supremo che Gesù assicura al ladrone: essere con Lui, in un rapporto di intimità e comunione profonda. L'esperienza della morte non lo separerà da Gesù, ma sarà unito a Lui e associato al suo destino di vivente al di là della morte. "Nel paradiso"».

[ Mons. Ilvo Corniglia – Omelia 21 novembre 2004 ]

E così l’ultimo degli ultimi, colui che era una misera feccia dell’umanità, diventa modello e precursore di tutti i membri di questo Regno di cui Gesù è Re e Signore e ci mostra quella confidenza, quella familiarità affettuosa, quell’intimità d’amicizia a cui ciascuno di noi è chiamato nel momento stesso che riconosce Gesù come suo Re e Signore.

La Vergine Maria, le cui braccia pietose accolsero e abbracciarono il suo Figlio morto, ci aiuti e ci insegni ad accogliere nel nostro cuore tutto l’amore di Gesù che si consegna a noi oggi per mezzo sacramenti della Chiesa, e commossi e conquistati da questo dono, impariamo anche noi a consegnarci a Lui nell’amore per la potenza della sua risurrezione che ha vinto per sempre la sua e la nostra morte. 

Amen.     

j.m.j

                                                                             Torna all'indice

 

 

Presentazione al Tempio di N. S. Gesù Cristo          Omelia

“PORTARONO IL BAMBINO A GERUSALEMME”

 

Carissimi fratelli e sorelle,

celebriamo oggi a 40 giorni dal Natale la Festa della Presentazione al Tempio di Gesù.

 

Cerchiamo di entrare nel mistero di questa festa facendo quattro passi.

 

Primo passo: cosa significava questa festa per gli Ebrei

Secondo passo: cosa significava questa festa per Gesù

Terzo passo: cosa significa questa festa per Maria.

Quarto passo: cosa significa questa festa per noi.

 

Primo passo: cosa significava questa festa per gli Ebrei

Ogni primogenito maschio doveva essere riscattato perché proprietà speciale di Dio, se del bestiame doveva essere immolato o riscattato con un’immolazione di un altro animale, se uomo doveva essere riscattato con l’immolazione di un agnello o, se la famiglia era povera – e tali erano Maria e Giuseppe – con una coppia di giovani colombi o di tortore . Era un rito memoriale della liberazione dalla schiavitù egiziana operata da Dio con grande potenza e con l’ultima piaga della morte dei primogeniti maschi.

 

Secondo passo: cosa significava questa festa per Gesù. 

Entriamo nel cuore del Verbo incarnato e sostiamo in contemplazione mentre Sua Mamma e Giuseppe lo presentano al Padre nel Tempio e offrono per Lui con una coppia di giovani colombi.

La sua mente e il suo cuore non potevano non volare lontano, lontano nel tempo quando Lui stesso aveva chiamato Abramo per farlo uscire dalla sua terra e prepararsi un popolo, quando Lui stesso aveva chiamato Mosè dal roveto ardente, quando Lui stesso aveva invitato gli ebrei ad uccidere un agnello e bagnarne del suo sangue gli architravi delle porte perché non morissero e fossero salvati… È  Lui il vero Agnello che salverà il mondo con il suo sangue e ora si presenta al Padre e dice il suo “Eccomi” .

La sua mente e il suo cuore non potevano non volare lontano, lontano nel tempo quando Lui stesso guidava il suo popolo nel deserto e ordinò a Mosè di costruire una piccola Arca e una tenda che l’ospitasse quando si fermavano e da lì Lui parlava faccia a faccia a Mosè nella nube… 

La sua mente e il suo cuore non potevano non volare lontano, lontano nel tempo quando Lui stesso ispirò a Davide di costruire una casa per il suo Dio, Davide in tutta la vita accumulò tesori e risorse per costruire questa casa, lo farà suo figlio Salomone… e poi la sua distruzione al tempo dell’invasione dei Babilonesi e poi la sua ricostruzione da quel resto di popolo povero e umiliato che ritornò dall’esilio… e poi la vanità di Erode che lo fa nuovo in onore suo e non di Dio… 

E Lui ora è lì, viene portato nel Tempio… il Tempio, il luogo santo per eccellenza del popolo ebraico, non passeranno molti anni che quel Bimbo fatto adulto, passeggiando in quel Tempio dirà: “Distruggete questo tempio e io in tre giorni lo farò risorgere” (Gv 2,19).

Entrando nel Tempio Gesù ne sancisce la sua inutilità, non ci si incontrerà più con Dio in un luogo di mattoni ma lo si incontrerà nel nuovo Tempio del Padre che è il suo Verbo incarnato, Lui stesso, Gesù Cristo nostro Signore. Nessuna preghiera, nessuna invocazione, nessuna supplica, nessun grido potrà giungere al Padre se non attraverso di Lui e in Lui. 

Quel Tempio ormai è inutile, quell’altare che troneggia nel suo luogo più sacro, inutile; quei sacerdoti che gareggiano a turno per ufficiarne i riti, inutili; quegli agnelli e quegli uccelli per i sacrifici che i venditori offrono ai fedeli nel portico, inutili.

È Lui infatti la nuova Vittima del sacrificio che salva l’umanità tutta: è la sua Persona, Seconda Persona della SSma Trinità che si consegna alla morte, Lui che è la Vita, nessuno poteva toglierla, Lui ce l’ha donata (cfr Gv 10,18).

È Lui infatti il nuovo Altare dove questa vittima viene immolata: è la sua umanità fatta a brandelli dalla cattiveria degli uomini, è il suo corpo macellato e svenato come di Agnello sgozzato appeso ad un legno.

È Lui infatti il nuovo Sacerdote che offre a Dio il sacrificio, vero Uomo come noi, vero Dio con il Padre e lo Spirito Santo, Egli offre se stesso a se stesso immolando se stesso per noi.

È Lui, il vero Dio con il Padre e con lo Spirito, che accoglie l’offerta e ci riconcilia con se stesso in se stesso.

È Lui, la primizia di quel Nuovo Popolo che oggi in Lui si presenta al Padre, popolo nuovo, fatto nuovo nell’Amore per fare la Sua volontà.

Fà tutto Lui, è il suo pallino, non riesce a farne a meno perché sa che “senza di Lui non possiamo fare nulla” (Gv 15,5), Egli conosce la nostra incapacità, la nostra impotenza, e così fà tutto Lui, e Lui fà tutto bene e bello.

“E’ lui stesso unico salvatore del suo Corpo, il Signore nostro Gesù Cristo Figlio di Dio, che prega per noi, prega in noi ed e pregato da noi. Prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, è pregato da noi come nostro Dio. Riconosciamo dunque in lui le nostre voci e le sue voci in noi” [S. Agostino citato in PNLO 51].

 

Terzo passo: cosa significa questa festa per Maria.

È la spada dell’espropriazione totale che entra nel cuore di questa Mamma che incomincia a capire quello che solo ai piedi della croce capirà nella totalità. È  il dolore dell’amore del genitore che per essere vero deve lasciarsi espropriare il Figlio dal vero Genitore di tutti che è il Padre celeste. Amore che dona senza possedere, senza soffocare, amore che serve senza pretendere.

Quel Bambino, dodici anni dopo, rimasto da solo in questo Tempio trafiggerà il cuore di sua Mamma dicendole: “Perché mi cercavate, non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,49).

Maria, la Donna Forte che starà ferma sotto la croce del Figlio, dopo averlo accompagnato lungo il Calvario mentre lo insultavano e gli sputavano addosso. Maria, la Donna Forte, talmente forte che era pronta, se fosse stato necessario, ad aiutare i carnefici a tenere ferme le mani e i piedi di suo Figlio se non ce l’avesse fatta a tenerli fermi Lui mentre lo inchiodavano al legno.

Maria, la Donna Forte, dovremmo guardarla più spesso, noi poveri uomini e donne di oggi, in special modo chi tra noi è genitore impegnato nell’opera educativa dei figli, guardiamo Maria per imparare ad educare i nostri figli alla vita e a saper portare con semplicità e amore i suoi pesi, le sue responsabilità. Impariamo da Maria se vogliamo che questi figli diventino, crescendo, capaci di responsabilità, di impegno, di sacrificio, di scelte forti, di formare una famiglia stabile. Cioè figli capaci, anche loro come Lui, di lasciarsi inchiodare dal dovere, dalla responsabilità, dalla propria dignità di persone; che sappiano, in definitiva, lasciarsi inchiodare dall’amore, sì perché l’amore per essere autentico amore deve essere crocifisso. Possano i nostri genitori cristiani saper formare figli e figli forti e non dei bambinelli capricciosi incapaci di affrontare e superare le più piccole difficoltà della vita. 

 

Quarto passo: cosa significa questa festa per noi.

Tutto quello che Gesù ha fatto, tutto quello che Gesù ha vissuto, l’ha fatto e vissuto per noi e vuole che noi lo viviamo in Lui. Ripeto, perché è un principio teologico importante: Tutto quello che Gesù ha fatto, tutto quello che Gesù ha vissuto, l’ha fatto e vissuto per noi e vuole che noi lo viviamo in Lui.

Presentandosi al Padre Gesù presenta se stesso in quanto primizia e capo della nuova umanità redenta da Lui. Noi siamo in Lui e Lui è in noi e noi in Lui ci presentiamo al Padre e diciamo il nostro “Eccomi”, la nostra disponibilità al suo disegno d’amore. Per questo oggi la Chiesa guardando Maria che presenta il Bambino divino al Tempio festeggia i RELIGIOSI. Sì, oggi è la festa dei Religiosi, di coloro che, uomini e donne, hanno presentato al Padre il loro “Eccomi” e Questi li ha mandati nel mondo ad annunciare il Suo Regno, a far conoscere il suo Figlio Gesù Cristo perché in Lui possano trovare salvezza. Il Padre dà a coloro che chiama alla vita religiosa il compito di far conoscere Gesù e per questo che questi hanno l’impegno di sforzarsi di vivere in Gesù e come Gesù, di essere quanto mai più simili a Lui. 

Tutti i cristiani in quanto uniti a Gesù nel Battesimo hanno ricevuto la missione di renderLo presente nel mondo, ma i religiosi ricevono questo in un modo specialissimo. 

E così i Religiosi seguono Gesù casto, non si sposano perché Gesù non si è sposato. Il suo infatti era un amore troppo grande per restringersi ed abbracciare solo una persona, Lui le voleva abbracciare tutte e così, come Gesù, anche il Religioso, non può chiudere le sue braccia su una persona perché, in Gesù, le vuole abbracciare tutte.

E così i Religiosi seguono Gesù povero, seguono Gesù che si è spogliato, si è spogliato della sua potenza, della sua gloria. Ha vissuto da povero, è morto povero, senza neanche i vestiti, appeso lì nudo ad un legno. Seguono Gesù che con la sua povertà ha arricchito il mondo, ha fatto ricchi tutti, ricchi di Dio. Per questo l’unica ricchezza del Religioso, che non ha nulla di suo, è quel Dio vivo che porta vivo nel cuore e che desidera donare al mondo.

E così i Religiosi seguono Gesù ubbidiente, Gesù che disse: “Mio cibo è fare la volontà del Padre mio” (Gv 4,34) è un cibo che l’umanità da sempre stenta a capirne la soavità (Gv 4,32) si preferiscono altri cibi, apparentemente allettanti, piacevoli, gradevoli, ma che lasciano poi la persona sempre insoddisfatta, sono cibi che non saziano e che fanno sprecare il patrimonio della vita umana (cfr. Is  55,2). E allora ecco il Religioso che con la sua serenità, con il suo sorriso, con la sua pace, ma soprattutto con il suo entusiasmo segue l’Agnello ovunque Lui lo porta (cfr. Ap 14,4), ovunque senza chiudersi in programmi personali di vita, ma aprendosi totalmente al Suo programma. Il Religioso con la sua ubbidienza gioiosa testimonia che ubbidire a Dio è bello, è bello, molto bello. Ubbidendo, sottomettendosi ad altri per la gestione della propria vita, così come Lui si è sottomesso a Maria, come Lui si è sottomesso a Giuseppe, come Lui si è sottomesso al sinedrio, come Lui si è sottomesso a Pilato, come Lui si è sottomesso agli apostoli lavando loro i piedi, come Lui si è sottomesso ad ogni uomo accettando una morte infamante per amore di ciascuno.

Chiudo ricordando una cosa importante: se oggi è la festa dei Religiosi, è in particolare la festa di noi Padri Oblati di Maria Vergine perché anche il nome che portiamo ci ricorda proprio questa festa in cui Maria ha fatto l’offerta, l’oblazione del Figlio al Padre, ecco noi siamo appunto Oblati, cioè offerti, Oblati di Maria Vergine, la nostra vita è lì nelle mani di questa Mamma buona che ci presenta al Padre perché si realizzi in noi il mistero dell’amore che si dona e si consuma nell’offerta di se stessi seguendo ogni giorno di più Gesù povero, Gesù casto, Gesù ubbidiente . 

Amen.           j.m.j.

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