Santa Veronica Giuliani

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 Citazioni tratte da
 UN TESORO NASCOSTO 

 ovvero
 DIARIO DI S. VERONICA GIULIANI

IO SONO IL VERO FIORE COME MEDITAVA LA PASSIONE SENTIVA BUSSARE AL CUORE
ALTRO NON POTEVA FARE CHE CORRERE IL VOSTRO AMORE AMI VOI PER ME NON TROVO PENA CHE MI DESSE PENA
L’UMANITÀ SENTIVA AL VIVO L’UMANITÀ E LO SPIRITO IN LOTTA TRA LE PENE TROVERAI ME
GESÙ LE OFFRE LA CROCE IL CUORE FERITO E  IL CUORE AMOROSO NON FAR CASO AI DONI, MA AL FRUTTO
NON TROVAVO PIÙ IL SIGNORE IN QUESTA PENA CONOSCEVO ME E DIO COSA DIO LASCIAVA NELL’ANIMA
COGNIZIONE DI LUI E DI ME SENZA PAROLE PARLAVO L’OBBEDIENZA TIENE QUIETO L’INTERNO
PENSAVO CHE ERANO VIRTÙ E NON DIFETTI GRANDEZZA DEL NOSTRO NIENTE! L’OBBEDIENZA DÀ PACE AL CUORE
COME I SACERDOTI NON IMPAZZISCONO! LA COMUNIONE SPIRITUALE COS’È L’OFFESA A DIO
TIMORE DELLA PROPRIA IMMAGINAZIONE LUCIDISSIMO SPECCHIO  ANGELO CUSTODE ACCUSATORE
INTERCESSIONE DELLA B. VERGINE MARIA LA SS. VERGINE SI OFFRE PER LEI   LO SPOSALIZIO PRESENTE LA SS. VERGINE
UMILTÀ E AMORE – GESÙ SPECCHIO SI METTE SULLA PORTA DELL’INFERNO COME BIMBO IN BRACCIO AL PAPÀ…
IL BACIO DI GESÙ DIFFERENZA TRA “TOCCHI” E “BACI” iMMERSIONE NELLA SANTISSIMA TRINITÀ 
CORRE PER IL CONVENTO: AMATE IL SIGNORE DESIDERO DI UN RITIRO: LA CELLA DEL CUORE

IO SONO IL VERO FIORE
[I.2]
 
Pare a me che di 3 anni o 4, stando una mattina nell’orto per mio gusto cogliendo dei fiori, parvemi vedere visibilmente Gesù Bambino che coglieva detti firoi con me. Io lasciai di corre i fiori, andai verso il divino Bambino per volerlo pigliare, ed Esso parmi che mi dicesse: Io sono il vero fiore e disparve. Tutto ciò mi lasciò certo lume di non pigliarmi più gusto colle cose momentanee, ma tutta stavo fissa nel divino Bambino

COME MEDITAVA LA PASSIONE 
[I.39]
 
Io per mio ordinario quando mi mettevo a meditare qualche mistero della passione, non mi figuravo mai di vedere colla mia immaginazione, ma solo pigliavo questi tre punti, cioè chi era quegli che pativa, per chi pativa, con che amore pativa. Delle volte uno solo di questi punti mi cagionava sì fattivamente nel cuore una pena così intima, la quale mi dava di qualsiasi patire.

SENTIVA BUSSARE AL CUORE – ALTRO NON POTEVA FARE CHE CORRERE
FACEVA TUTTO VELOCEMENTE

[I.32] Altre volte mi ricordo che in un subito mi sentivo come bussare al cuore e nel medesimo tempo mi sentivo avvampare come una fiamma in esso. La qual cosa mi faceva come impazzire. Altro non potevo fare che correre, ora in un luogo, ora in un altro, e dicevo: Dio mio, amor mio, abbruciatemi, consumatemi fra le fiamme del vostro amore

[I.40] In un tratto sentivo certi tocchi nel cuore, che mi destavano in modo che tutta mitrovavo alla presenza di Dio. Non conoscevo più cosa facessi, ma tutta intenta a quanto Dio voleva da me; pure facevo tutto, ma come non so. E lo facevo con tale prestezza, che torvavo fatto in un’ora quello che avrei messo forse il tempo di un giorno.

IL VOSTRO AMORE AMI VOI PER ME  
[I.43] Mio Signore, voi mi chiamate, eccomi pronta a tutto: dite pure, che volete da me? Vi vorrei amare, ma non ho amore proporzionato per voi: il vostro amore medesimo ami per me voi medesimo. Dicevo così, mi sentivo tutta fuoco, non potevo più. Ora correvo, ora cantavo, ora non potevo dire parola, ma solo mi pareva sentire certa voce interna che mi invitava al patire. Ed io correvo ai flagelli, ma non trovavo pena che mi desse pena, solo per non aver pene mi appenavo. Di queste cose mi occorrevano spesso.

[I.122] Poi comprendevo questa verità, più il Signore si dava a conoscere, e mi pare che dicesse: Io sono tuo sposo: ove sono i segni che tu sei mia sposa? Io dissi: Non ho niente, non posso niente. Il niente medesimo mi fa apprendere che voi siete, e fate da quel che siete. O Signore, voi vedete tutto chi sono. Tali grazie non le ponete in me, perché non so corrispondere. Esso mi disse che cosa avevo preparato ad un tal dono e favore. Io risposi di nuovo: Mio Signore, non posso niente, non ho niente, però dono voi a voi medesimo. Il vostro infinito amore sarà il rimuneratore di tutto quello che avete operato, state per operare in quest’anima.

NON PROVO PENA CHE MI DESSE PENA 
[I.106-107] 
La mia pena era di non trovare pena, e più volevo tormentarmi con queste cose, più mi pareva apprendere che non ero da tanto di trovar pena. Dicevo fra me stessa: O puro penare, dove sta l’origine di voi? Bisogna che l’amore sia capo di ciò, perché il medesimo amore nasconde le pene. Non sento pena dai flagelli, ma peno per non trovare le pene. Dunque, o Gesù mio, ove sta il patire? Mandatelo a me, perché fra esso troverò forse il vostro amore. Impazzivo, correvo, mi percuotevo ben forte, non sentivo niente. Mi ero tutta piagata, versavo di motlo sangue e non sentivo niente. Mi riposavo sugli spini, mi rivolgevo fra essi e non sentivo le lor punture. Chiedevo pene colle medesime pene, e penavo per non trovare pene. Di queste cose le ho provate molte volte. Non sto ad allungarmi più sopra ciò, perché se volessi raccontare tutte le pazzie che mi ha fatto fare l’amore fra le medesime pene, non posso colla penna descriverlo. Ho fatto questo poco racconto. Di qui possono  pensare e comprendere quanto grande fosse la pena per non trovare un modo da poter penare. Tutto ciò mi avveniva quando mi pareva che il SIgnore mi desse un poco di lume sopra le preziosità delle croci e delle pene. Gridavo: Più pene, più croci, più tormenti. Facevo carneficina di questa umanità e tanto non mi giovava a niente. SIa tutto a gloria di DIo!.

[I.106-107] Parmi di ricordare che delle volte davamo un poco a conoscere la preziosità del patire. Quando venivamo questi lumi, non potevo fare a meno di non penare per non trovare pene. Mi aiutavo colle penitenze, ma pensate! ogni cosa mi dava pena per non trovare pena bastante. Il flagellarmi con spine e flagelli era per me un accendermi più brama delle medesime pene. Il portare cilici e catene ed altri strumenti personali era per me un tormento, perché non sentivo alcuna pena. La mia pena era di non trovare pena, e più volevo tormentarmi con queste cose, più mi pareva apprendere che non ero da tanto di trovare pena. Dicevo fra me stessa: O puro penare, dove sta l’origine di voi? Bisogna che l’amore sia capo di ciò, perché il medesimo amore nasconde le pene. Non sento pena dai flagelli, ma peno per non trovare pene. Dunque, o Gesù mio, ove sta il patire? Mandatelo a me, perché fra esso troverò forse i vostro amore.
Impazzivo, correvo, mi percuotevo ben forte, non sentivo niente. Mi ero tutta piagata, versavo di molto sangue e non sentivo niente. Mi riposavo sugli spini, mi rivolgevo fra essi e non sentivo le loro punture. Chiedevo pene colle medesime pene, e penavo per non trovare pene. Di queste cose le ho provate molte volte. Non sto ad allungarmi più sopra di ciò, perché, se volessi raccontarle tutte le pazzie che mi ha fatto fare l’amore fra le medesime pene, non posso colla penna descriverlo. Ho fatto questo poco racconto. Di questo possono pensare e comprendere quando grande fosse la pena per non trovare un modo da poter penare. Tutto ciò mi avveniva quando mi pareva che il Signore mi desse un poco di lume sopra la preziosità delle croci e delle pene. Gridavo: Più pene, più croci, più tormenti. facevo carneficina di questa umanità e tanto non mi giovava niente. Sia tutto a lode di Dio.

L’UMANITÀ SENTIVA AL VIVO  – TRA LE PENE TROVERAI ME
[I.44] 
Sia che mi trovassi o allegra o melanconica dicevo: Mio Dio, purché dia gusto a voi mi basta, sono contenta fra le pene. Dicevo così, ma l’umanità sentiva al vivo ogni minimo disgusto. Io fra me stessa dicevo: Veronica pensa a che sei venuta alla Religione: il patire sarà la tua delizia. Ella rispondeva: altro non trovo. Tutto mi rendeva difficile e aspro. Ella piangeva e lo spirito godeva fra le croci; ma delle volte i contrasti dell’umanità stavo per più giorni che non sapevo cosa mi facessi: l’abito, i muri e tutto quello che trovavo contrario. Delle volte, quando stavo in orazione, e che tutto il giorno l’avevo così passato, come qui sopra ho detto, sentivo in un subito certo raccoglimento e parevami che il Signore mi dicesse: Sta forte, io sono quegli che che ti faccio penare: fra le pene troverai me, tuo sommo Bene. Oh! Dio! Tutto ciò davami tal contento che subito dicevo: Signore, aggiungete pene e croci. Poco stava a venirmi qualche patire. Sia lodato il Signore.

L’UMANITÀ SENTIVA AL VIVO 
[I.62] 
Sentivo così al vivo ogni minimo patire, che mi pareva impossibile il vivere. Dicevo fra me stessa. Ora è tempo, mio Dio, che ricorra a voi per ottenere le grazie. La prima sia, che io mi conformi al vostro volere; e poi mandatemi pene e croci, che sono contenta. Il solo nominare la croce la mia umanità si metteva a piangere e tutta si gelava per il timore di più patire. Bisognava che trovassi modi più stravaganti di penare per farla racchetare e per contradire a quanto ella si lagnava. Così facevo in tutto quello a che ella sentiva contrarietà; allora la facevo fare. per via di questo cominciava a starsena cheta, e non faceva più i risentimenti soliti, ma delle volte tanto vi cascava. Oh! quanto mi ha dato da fare! E ancora delle volte fa lo stesso! tutto viene perché non sono morta a me medesima. Oh! Dio! quanto mi fanno tremare e temere queste mie cose, vedendomi così arricchita dei doni e grazie di Dio, e poi trovandomi senza corrispondenza a ciò! Son cose che mi dan pena, ma anche mi fanno conoscere che cosa sono, che cosa posso; e mi danno lume che, se vi è niente di buono, è Dio che per sua grazia lo fa. de resto in me e da me non trovo altro che miserie e difetti.

[I.97] Sentivo la parte inferiore tutta ripugnante a questo, ma lo spirito è pronto a quanto Iddio voleva.

L’OBBEDIENZA TIENE L’INTERNO QUIETO 
[I.45]
 
Io tutti i miei giorni ho avuto ripugnanza a dire le mie cose interne; contuttociò ho sempre obbedito, e questo mi fa stare in pace. L’obbedienza mi ha dato sempre gran giovamento, in particolare mi ha tenuto il mio interno quieto. Così sono di presente. Come cammino per via di obbedienza, tutto mi riesce bene.

GESÙ LE OFFRE LA CROCE 
[I.41] Parmi di ricordare che una volta il Signore mi comparve con una gran croce in spalla e mi disse che me ne voleva fare un dono. Così dicendo, me la posò in spalla. Fu tanto il peso che ne sentii, che d’un tratto cascai per terra. Parmi che il Signore mi aiutasse a rizzarmi e mi mise in una strada ben stretta e oscura e sparì via. Oh Dio! che pena che provai!

[I.78] Ora mi ricordo che, stando delle volte con queste aridità, all’improvviso mi compariva una gran croce. Mi dava terrore, facevami tremare. Una volta a questa comparsa ebbi più timore delle altre volte; ma mi feci animo. Volli andare a incontrarla e abbracciarla, ma non potevo. Vennemi in mente un pensiero di volermi dichiarare con caratteri di sangue, con scrivere al Signore una lettera. Così presi in mano un temperino, e fecemi una croce sulla propria carne qui dalla parte del cuore e del medesimo sanguescrissi così: Mio caro Gesù, vengo con caratteri di sangue per conformarmi al vostro santo volere, e per dichiararmi e confermarmi per vostra sposa, amante della croce. Benché essa mi faccia tremare colla sua comparsa, mi fa anche confermare e stabilirmi a quanto volete da me; e per segno di ciò, mi son risoluta di scrivere col proprio sangue, per chiedervi la grazia che voi, per mia guida, per mio appoggio, mi diate la croce. Mio sommo Bene, bontà infinita, non guradate più alle mie ingratitudini: si cancellino tutte. Ora per sempre mi dichiaro per vostra sposa; e perché si verifichi, e faccia quanto voi volete, ora, con caratteri di sangue vi scrivo, e dal più intimo del cuore vi dico, che voglio essere tutta vostra, amante della croce,e di volontà prontissima. Io per vostro amor la voglio. Non sia mai vero che per l’avvenire mi discosti da essa.

ANGELO CUSTODE ACCUSATORE E INTERCESSIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA
[I.112-114]
 In questo punto mi parve che il Signore mi facesse intendere, che voleva che io facessi la confessione generale da Lui. Così dissi: Insegnatemi voi, o Signre quello che devo dire. Esso mi disse: Fa come hai fatto altre volte. Già mi era accorso altre volte tutto ciò. Così tutta tremante mi parve dire: Io ho offeso voi, e mi confesso da voi, mio sommo Bene. E più non potevo dire per il dolore che avevo delle commesse colpe.
In questo punto parevami vedere che il Signore si copriva il volto per non mirarmi. In questo punto mi diede una vista generale di tutte le mie colpe. Parevami che anche la Beata Vergine e quei Santi mi fossero tutti contro. Nesuno trovavo per avvocato presso il Signore. Che confusione! che rossore! che dolore era il mio, vedendomi, davanti a tutti, in tutto quello, che avevo commesso in tempo di mia vita! Stavo tutta timorosa aspettando la sentenza di dannazione. Così mi pareva che mi pervenisse, stante la gran moltitudine di colpe, ed in particolare l’ingratitudine di non aver corrisposto a Dio.
Mi pare di ricordarmi che il Signore in un subito chiamò il mio Angelo custode perché egli mi accusasse di tutto. Così esso con brevi parole disse tutto distintamente, chiaramente. In persona mia disse tutte le colpe e i difetti, in quel modo che si trovavano davanti a Dio. Io mi ricordo che cominciò dai pensieri, parole ed opere, in specie d’ingratitudine, in particolare quello che avevo fatto contro i voti e di tutto quello che avevo mancato contro la santa Regola. E di più in modo più chiaro mi accusò che non avevo corrisposto alle divine chiamate ed ispirazioni, d’aver occultato molte grazie e doni, i quali sarebbero stati per bene mio e di molte altre persone. Ogni volta mi pareva che mi crescesse il dolore. Il Signore mi diceva: Dimmi, che vuoi da me? Mi pare di ricordarmi che io dicessi così: Signore, perdono vi chiedo per i vostri santi meriti e per le vostre piaghe santissime. Placatevi con me, Dio mio. Eccomi pronta a quanto volete.
Di già stavo aspettando la sentenza di separarmi per tutta la eternità da Dio: i miei peccati lo meritavano. Oh! Dio! che dolore avevo di essi! in quel punto mi pareva di vederli tutti ivi davanti al Giudice. Non posso colla penna narrare quasi niente di quello che provai e sentii di pena. In quel mededimo istante di nuovo dicevo: Signore mio, pietà, perdono. Ed il Signore rivolto verso la Beata Vergine si prostrò ai piedi del suo Figlio e pose una sua mano sopra il mio capo. Così diceva: Figlio, pietà, perdono a quest’anima. in questo punto vennemi un dolore così grande e parevami di piangere dirottissimamente. La Beata Vergine diceva: Figlio, ti offerisco queste lacrime con quelle che io sparsi sotto la croce. Orsù! perdono, perdono! Mi pare che il Signore dicesse: Sia fatta la grazia. In un subito parvemi vedere la Vergine assisa nel trono ivi accanto al Signore. Non vedevo più le mie colpe. Il Signore mi diede la sua benedizione e mi disse: Vade in pace, jam amplius noli peccare [Va in pace, non peccare più – Gv 8,11].

[I.120-122] Ora mi ricordo distintamente di un’altra confessione che io feci dal Signore, la quale mi fu di gran dolore e pena. La descrivo acciò che meglio comprendano chi sono stata. Mi pare di ricordarmi che questa confessione fu avanti che avessi questi segni esterni nell’anno 1697.
Una notte, mentre statomi in orazione veneri il raccoglimento colla visione di Nostro Signore. Così mi parve. In un subito mi disse: Voglio che tu ti confessi da me nuovamente. E disse: Su, incomincia la confessione. Io appena dissi: Mio Signore ho offeso voi e da voi mi confesso. Più non potevo parlare per il dolore delle mie colpe. Il mio Angelo custode seguitò la confessione in persona mia, e diceva: O Eterno Iddio, giudice giustissimo, io custode di quest’anima, in persona sua parlo per la gloria vostra, per la salute della medesima. Questa è quell’ingrata che ai in sua vita ha saputo fare un atto di ringraziamento verso di V. D. M. [Vostra Divina Maestà].
In quel punto piedini conoscimento sopra tutte le grazie speciali che Iddio mi aveva fatto, la creazione, la redenzione, la conservazione, la vocazione, i doni, le grazie, i benefici, gl’inviti, le chiamate, le ispirazioni, le illuminazioni, l’orazione, l’applicazione, i ratti, i raccoglimenti, le visioni, gli aiuti di tanti confessori, ricordi di tanti Servi di Dio, le prediche, i buoni libri spirituali, il sentire tanto parlare di Dio, i vedere tanti esempi di anime buone, il sentire le vite dei santi, e ogni buon pensiero. tutto distintamente, chiaramente vedevo ivi davanti; e in tutto quello che avevo mancato in ciò per la mia ingratitudine m’accusava d’ogni minimo neo. Oh! Dio! che dolore, che pena avevo di tutto! E vedevo tutto davanti a quel Signore giudicante, tremavo, temevo e di dolore sentivo crepare il cuore. Io adesso non mi ricordo bene di tutto, ma racconterò quello che mi ricordo che il mio Angelo mi diceva in persona mia.
Così mi pareva che dicesse: Questa è quella che non si è mai servita della sua lingua, di parole solo per vostra gloria, ma ha fatto tutto l’opposto; non ha cercato la salute de’ prossimi ed il proprio avanzamento nella virtù e mortificazione; in tutte le opere mai vi è stato quel fine buono e retto della sola gloria vostra. Mi pare di ricordarmi che in quel punto io vedevo tutti i miei mancamenti e sentivo nuovo dolore. Pareva che dicesse: Le avete dato i sentimenti [sensi] ma ella se ne è servita infruttuosamente. E vedevo tutto e tutti i miei peccati commessi contro S. D. M. Oh! che pena! oh! che dolore! E sentivo dire: Questa è quella, cui voi avete fatto tante grazie e doni. Vi facevate vedere e sentire, ma ella attendeva alla propria volontà e soddisfazione, ed alle cose momentanee di questo mondo. Qui avevo lume più particolare, e vedevo tutte le colpe commesse sopra questo punto e quanto avevo mancato nell’esercizio della divina presenza. Erano ivi davanti a Dio in quella conformità che li avevo commessi. Oh! quanti ve n’erano, che io non avrei mai pensato che fossero difetti, piuttosto virtù. Ma non era così. Non posso nemmeno ora dir tutto, perché non finirei mai; ed anche di presente mi si rinnova il dolore di tante offese che ho fatto. Il mio Angelo si voltava verso di me e dicevamo: E tu che dici? Ed io confermavo tutto; e con pena e dolore stavo in mezzo a tutte queste colpe; ove guardavo non vedevo altro. Fu una confessione fatta di tutto quello che mai avessi mancato all’interno, esterno e tutto. Ma non posso più dire niente per il dolore che sento. Queste colpe non sono immaginazione, sono tutte vere, e sono senza numero.
Durò questa confessione più ore e vidi in essa non solo le colpe, ma, tutto quello che mi ha fatto, ha operato Iddio nell’anima mia. Ritornai in me più morta che viva e siedi come fuor di me per più giorni. Di queste confessioni non posso descrivere, perché la pena del cuore m’impedisce che non posso fare niente, né dire nulla. Sia tutto a gloria di S. D. M.

Altra confessione richiesta dal Signore a Veronica con l’angelo custode e tanti santi che l’accusano [clicca qui]

NON TROVAVO PIÙ IL SIGNORE E IN QUESTA PENA IMPARAVO A CONOSCERE ME E DIO
[I.57]
 
Qualche volta, quando mi trovavo con qualche aridità e desolazione e non trovavo più il Signore e venivami tale brama di Esso, uscivo fuori di me, correvo ora in un luogo ora in un altro. Lo chiamavo ben forte, gli davo tutte le sorti di nomi, ora Padre, ora Maestro, ora Sposo, ed andavo cercando nomi magnifici, e tutti li dicevo più volte. Correvo e alle volte mi fermavo buon tempo, ché non potevo più, e poi mi tornava di nuovo questa brama, e mi mettevo a correre e gridavo forte con dire: Mio sommo Bene, tornate a me. Delle volte mi pareva di sentirlo, ma in modo che non so spiegarlo. So che allora impazzivo più che mai: mi sentivo come abbruciare, in particolare qui dalla parte del cuore. Vi mettevo panni bagnati nell’acqua fresca, ma in subito si asciugavano. Mi sentivo consumare e non sapevo cosa fosse. Mi aiutavo di chiamare il Signore, la voce non mi bastava, coi colpi delle catene e spine dicevo: Questi ancora, o Gesù mio, son voce per me; però tornate, non posso più. Ora chiamavo i santi e sante dicendo loro: DIte a Gesù mio sposo che l’aspetto. Venga ora, non tardi più. Delle volte dicevo a qualche santo più particolare: O mio avvocato, avete pure voi provato queste sorte pene, quando stavate quaggiù fra noi; sapete che cosa è il vivere lontani da Dio con queste desolazioni; e perché non vi movete a pietà? Dite al mio Signore, al mio Sposo che l’aspetto: non tardi più.
Di tutto questo che ho raccontato sinora mi è occorso delle volte senza numero. Dicevo anche più cose, ma non mi ricordo bene di tutto, e però non le scrivo.

[I.72] Molte volte in un subito mi trovavo priva d’ogni desiderio e fra tenebre e oscurità non potevo fare più parola. Solo dicevo:Signore siate benedetto, sia fatto ora e sempre il vostro santo volere. Stavo dei giorni così patendo, e non trovavo il Signore in modo alcuno. era questo suo nascondersi una gran pena. Ma che? Fra questa pena imparavo a conoscere che cosa io potevo da me stessa, e molto più penetravo il mio neinte, la mia impotenza; la carità, l’amore infinito di Dio. Questo mi faceva  operare e far tutto.

COME DIO LASCIA L’ANIMA DOPO CHE L’HA TOCCATA CON IL SUO AMORE  
[I.58-59] 
Mi pare di ricordarmi che più volte il Signore mi sia comparso con visione reale visibilmente in forma di bambino, ma in un subito spariva via e poi tornava. Io uscivo furoi di me; e parmi ricordare che lasciava in me certa cognizione di me stessa, certo lume del suo infinito amore, una voltntà pronta in amarlo, un desiderio ardente di non volere altro che Lui. Restava più giorni quella sua gran bellezza e parevami che mi tenesse del tutto unita a sé: e bene spesso, se non lo vedevo, l osetnivo e dicevami: Io sono senza altra parola. Mi destava come da un profondissimo sonno, levava da me ogni altro pensiero: solo lui restava nella mia mente. Oh! Dio! Provavo di molte comunicazioni fra Dio e l’anima mia. Delle volte mi pareva che il Signore tirasse a sé questo mio cuore, quest’anima, come fa la calamita il ferro. Restavo per molto tempo immobile senza moto, fuor di me; e quando tornavo in me, mi trovavo tutta interizzita, non potevo in alcun modo muovermi. Quando provavo ciò, per più giorni mi restava certa presenza di Dio più particolare e mi sentivo più nausea alle cose terrene. Parevami di avere certi lumi intimi che mi facevano apprendere che non vi era altro bene che Dio. Questo stava nella mia mente e davami continui stimoli e lumi di Lui. Parevami sentirlo nel cuore e facevami molti effetti, ma non posso raccontarli tutti, perché con parole non posso spiegarlo.

L’UMANITÀ E LO SPIRITO IN LOTTA – AGERE CONTRA  
[I.60]
 Cercavo quanto potevo di levar via da me ciò che potesse dispiacere a Dio. In particoalre andavo cercando quelle cose in cui mi sentivo più ripugnanza, per contradire al mio senso. Così facendo vedevo che mi faceva buono. Contuttociò sempre trovavo questa umanità così viva che una parolina le bastava. La facevo star cheta per via di penitenze e di mortifciazioni; non vi era rimedio che ella volesse accordarsi collo spirito: ad ogni cosa lo contraddiceva, sempre vi era che fare fra loro. Un giorno, mentre facevo le faccende, vi composi un lungo combattiemnto fra l’umanità e lo spirito. Ancora lo ricordo. Se lo vogliono lo darò anche questo, ma, cosa più ridicola che altro.

COGNIZIONE DI LUI E DI ME – SENZA PAROLE PARLAVO  
[I.63-64] 
Mi pare di ricordarmi che più volte nella santa comunione ho provato certe cose che non posso nemmeno raccontare: solo delle volte parevami che il Signore si unisse così intimamente coll’anima mia e comunicava con essa cose che non so dirle. Solo mi ricordo che mi faceva penetrare un poco il suo infinito amore, la sua immensa carità, la sua grandezza e magnificenza. Dicevami una sola parola, la quale è questa: Ego sum. Questo solo mi dava cognizione di Lui e di me stessa; fra il nulla che ero io, fra il tutto che è Iddio; stavo fuor di me, sentivo ammaestrarmi in modo segreto, ma non so come raccontarlo.

[I.67] Di continuo restava in me cognizione dell’infinito amore e del mio niente.

[I.104] Mi pare di ricordare che il venerdì e per qualche festa particoalre, bene spesso avevo la rinnovazione della ferita. Avanti di essa davami per lo più una viva cognizione del mio niente; ed un’altra sopra l’amore infinito di Dio. Facevami penetrare ad intra  la sua potenza, la sua grandezza; e mi pareva da ciò conoscere l’impotenza mia; e solo penetravo un poco la profondità del mio nulla. Stavo così, sentivami tutta unita a Dio, e rivola a Lui senza parole parlavo.

[I.132] In un subito ebbi cognizione sopra il mio niente e ben penetravami la indegnità a tal grazia. Più comprendevo questa verità, più il Signore e si dava a conoscere, e mi pareva che dicesse: Io sono tuo sposo: ove sono i segni che tu sia mai sposa? Io dissi: Non ho niente, non posso niente. Il niente medesimo mi fa apprendere chi voi siete, e fate da quel che siete. O Signore, mi vedete tutta chi sono. Tali grazie non le ponete in me, perché non so corrispondere. Esso mi disse che cosa avevo preparato ad un tal dono e favore. Io risposi di nuovo: Mio Signore, non posso niente, non ho niente; però dono voi a voi medesimo. Il vostro infinito amore sarà il remuneratore di tutto quello che avete operato, state per operare in quest’anima. Ed Esso parmi mi dicese: Ora io voglio qualche cosa. Dicendomi così, cresceva la brama, e di cuore mi offerivo tutta a Lui. Stavo ancora con quella cognizione propria, e vedevo che niente potevo. Mi pare che rivolta alla SS. Vergine le dicessi che Ella offerisse se medesima per me al suo Figlio. Così eseguì quanto bramavo. Mentre la Beata Vergine faceva tutto ciò, mi pareva di vedermi tutta adorna di preziose gemme. Parmi di ricordare che in quel punto avessi comunicazione che queste gioie e gemme erano tutte le virtù ed opere della medesima, che si era offerta per me a suo Figlio.

[I.142] Mi pare che mi desse lume sopra il mio niente e fecemi conoscere che non potevo niente. In un subito diedemi un’intima comunicazione sopra la sua grandezza e potenza infinita, mi confermò come sua sposa e presomi il cuore, lo strinse bene forte; e poi mi pare mi facesse il segno della Croce sopra di esso, e risanommi la ferita. In un subito sparì via tutto. Ritornai in me, trovai la ferita serrata; e con ansia di patire e colla cognizione di me stessa restai per molto tempo come fuori di me.

[I.143-144] Mi pare di ricordarmi che una volta, in una visione che ebbi di Gesù glorioso, il quale mi diceva: Mira queste mie piaghe e poi facevami cenno al suo costato, e dicevami: Qua dentro voglio che tu stia, parvemi di vedere detta piaga come lucidissimo specchio. Ivi dentro vedevo me stessa. In un subito diedemi comunicazione e mi faceva penetrare il mio niente. Apprendevo intimamente come tutto il bene viene da Dio; facevami comprendere che tutti i doni e grazie che Esso fa per bene di queste nostre anime, dovrebbe la medesima persona unire a questi doni un contraccambio che fosse proporzionato a quelli. Fecemi capire che il patire è parte buona per trovare questi veri mezzi, cioè i disprezzi, gli avvilimenti, annientamento, cognizione verso di se stessa, e per avere quella ferma speranza in Dio solo, da diffidare di sé, e riconoscere in sé, che siamo un vero niente, inabile a tutto, fuora di tutto. Oh povero niente! Ma che dico? Oh! grandezza del nostro niente! La sua piccolezza, il suo annientamento ci fa apprendere con intimo sentimento le opere che fa Iddio in noi coll’infinito amor suo. Più si conosce questo nostro nulla, più si fa conoscere il nostro operatore e facitore supremo, cioè Iddio. Tutte queste cose io compresi in quel niente, che il Signore fecemi vedere ivi dentro al suo costato. Ebbi anche più lumi sopra ciò, ma ora non mi ricordo.

[I.77-78] E più stavo in aridità, più cognizione avevo del mio niente. E dalla cognizione di me stessa si apriva un’altra strada della cognizione di Dio, della sua grandezza, de’ suoi divini attributi. E questa davanti un’altra brama e cognizione del mio annientamento. Più conoscevo di non poter niente, più caro lo avevo, perché tutto il potere, sapere e tutto l’infinito e potente si trovasse in Dio solo. Da questo veniva un altro desiderio più efficace. Desideravo che tutti l’avessero conosciuto, acciò l’avessero amato, daddovero. Di qui mi veniva la brama di amarlo per me e per tutti. Ma di già conoscevo la mia impotenza. Dicevo: Signore fate voi per me. Amatevi col medesimo vostro amore. Questo vi chiedo per amare l’amore medesimo. Io intendo di farlo con voi per me, e per tutti quelli che non pensano a ciò; e vi voglio amare per quelli che ci pensano ancora.

COME I SACERDOTI NON IMPAZZISCONO  – LA COMUNIONE SPIRITUALE
[I.84]
 
Ogni volta che mi comunicavo, sentivo accendermi il desiderio di volere quanto prima comunicarmi di nuovo, e facevo detta Comunione per ringraziamento della medesima, e l’applicavo per preparazione per la Comunione che dovevo fare tra pochi giorni. La notte avanti di comunicarmi, non era pericolo di poter riposare. Tutta la notte la passavo in orazione, in penitenze e stavo un poco, e invitavo il Signore. Oh! Dio! Delle volte con questi inviti facevo poi bene spesso le comunioni spirituali e vi sentivo tal gusto e tali effetti, come fossi stata comunicata corporalmente. Appena lo chiamavo che subito lo sentivo dentro del cuore. Io non capisco e non potevo comprendere come potevate fare voi sacerdoti a tenere quel Dio fra le vostri mani e non impazzire d’amore.  Questo solo pensiero facevami uscire di me. Molte volte ne avevo così ardente desiderio e lo dicevo al confessore; ma esso, che doveva conoscere che non fosse puro desiderio, mi privava della Comunione; ed io lo sentivo e non poco. Offerivo a Dio quell’atto di obbedienza. Così restavo con pace come se fossi comunicata. Più volte, nell’atto che stavo per comunicarmi il confessore mi discacciava, perché doveva forse vedere che non ero preparata a ciò. Ed in effetti facevo un poco riflessione, e conoscevo che non ero degna di tal grazia. Ma oh! Dio! quanto mi dispiacesse per altro canto non posso con la penna spiegarlo. Bensì che tanto ero contenta, perché facevo quell’atto di obbedienza. E qualche volta, dopo che il confessore mi aveva così scacciata e non voleva darmi la santa Comunione, la facevo spiritualmente ed il Signore mi si comunicava come se l’avessi fatta corporalmente. Si faceva sentire e dicevami: Mia cara, io ho avuto sommo gusto di questo tuo disgusto. Ma sta posata, ché son venuto da te. Mi faceva capire per via di comunicazione che, se io volevo stare tutta disposta al suo volere, stessi morta a quanto mi comandava chi stava in suo luogo. Nell’obbedienza pronta facevo la sua volontà.

[I.6] Di questo divin Sacramento avrei voluto che tutti ragionassero, acciò una volta avessero ben penetrato questa grande invenzione di amore che ha trovato Iddio per restare con noi per cibo delle anime nostre, a nostro pro! Oh! Dio! È un punto che fa impazzire il sol pensarci. Oh! pensate chi lo riceve con sentimento! E chi con vero sentimento lo tiene nelle mani come voialtri sacerdoti! Io penso che non siate in voi in quell’atto della consacrazione, oppure vi sentiate mutati in un Dio medesimo. Son dell’avviso che diveniate come fuoco, e, tenendo fra le mani il divino amore, penso che abbruciate tutti, e che non possiate spiegare con parole quanto in quel punto fa ed opera il divino facitore nelle anime vostre.
Io delle volte fra me faccio un poco di discorso, e vado pensando che, se davvero ci pensassimo a questa opera divina, certo che si impazzirebbe per la veemenza e forza che dà un tanto amore. Oh! Dio! Il nostro cuore diviene tempo della Santissima Trinità. Si può dire di esso in quell’atto della Comunione: Ave templium totius Trinitatis. Quello che mente umana non può capire, viene ad intrinsecarsi ed unirsi colle anime nostre, e farsi una stessa cosa con noi. E chi mai non si risolverà ad amare chi tanto ci benefica e ci ama? E come si ha da fare per riposare la notte avanti, chi pensa a ciò? Io non credo che si abbia voglia del riposo del corpo, ma che tutti i nostri pensieri siano, come si può fare per prepararsi ad un tanto bene. Io pe me credo che voialtri sacerdoti non dormite mai né possiate cibarvi d’altro cibo che di cose spirituali. Credo che qui solo troviate il vostro sostentamento, e questo divinissimo cibo del Sacramento sia a tutti voi sostentamento vitale, che non gustiate altro. E mi pare anche a me, ché il giorno di Comunione non ho bisogno d’altro cibo. Se pure piglio un boccone di pane, lo faccio per non dare ammirazione e per obbedire: del resto non ho bisogno di altro cibo. E questo che dico ora, è un pezzo che mi sento così, ed è anche di presente lo provo. Con tuttoché mi trovo nello stato che loro sanno, tanto il divino Sacramento mi fa quanto qui dico. Non sto a dire altro, perché sopra questo sol punto vi vorrebbero fogli sopra fogli per raccontare tutto quello che esso divino amore fa colle anime nostre in questo divino mistero. Ho detto queste quattro parole: non mi sono accorta d’aver detto ciò, e non so come mi siano entrate in questo racconto. Sia tutto a gloria di Dio e per adempire il suo santo volere.

I DUE CUORI: IL CUORE FERITO E IL CUORE AMOROSO
[I. 126] 
Mi pare di ricordarmi che molte volte, nella santa Comunione, il Signore facevami capire che voleva portare via il cuore ferito. Una mattina mi mostrò un cuore tutto fiamme, e dicevami: Questo sta per te: lo metterò nel tuo petto in luogo del cuore ferito. Lo chiamerai cuore amoroso, il quale starà in te, contutto che vi sia il cuore ferito, perché con esso non puoi aver vita, mentre è passato da banda a banda, e di nuovo lo ferirò ben spesso. Acciò tu possa resistere a questi miei scherzi amorosi, pongo il medesimo amore a conforto dell’amore. Così dicendo, parvemi mi cavasse il cuore dal petto, e lo posò in mezzo di quel cuore che tenga in mano. Parevami i vedere quel cuore ferito con più ferite distinte. L’amore del secondo cuore abbruciava fra le sue fiamme il cuore ferito, e  parevami di vedere dette ferite come al presente fossero fatte. Allora con quell’incendio si rinnovavano, e vedevo che facevano sangue.
Parvemi in subito che il Signore posasse detti cuori nel suo costato, e disseti: Mia sposa, grandi cose io voglio operare in te. Così dicendo, rimise i due cuori nel mio petto. Qui sì che non posso descrivere quello che in quel punto provò l’anima mia. Pare di ricordarmi che il Signore mi facesse comprendere e gustare un so che del suo amore, e lasciò in me tal fiamma, che non potevo vivere. Mi sentivo abbruciare, correvo per l’acqua, e vi mettevo molti panni bagnati sopra la parte del cuore, ma non giovava niente. In un momento erano tutti rasciutti. Provavo a bere di molta acqua, m subito mi sentivo di nuovo abbruciare! Oh! Dio! che pena provavo per ritenermi di non fare qualche cosa esteriormente che non m’accorgessi. Stavo da sola a sola quanto potevo in qualche luogo remoto. Delle volte gridavo tanto forte: O amore, o amore, quando mi abbraccerete davvero? Molte cose facevo e dicevo, ma non mi ricordo .Tutto ciò mi è avvenuto più volte. Dirò poi nei fogli, che scriverò per l’avvenire, tutto quanto mi è occorso sopra di questo punto dei due cuori. Così pare a me che basti. Laus Deo.

IL BACIO DI GESÙ
[I.64] 
Delle volte mi pareva d’avera d’aver come baci dal medesimo Signore, ma in modo che non so dire. Li chiamava i baci di pace, e mi dava in un attimo così intima cognizione di sé con un altro lume sopra la cognizione di me stessa. Ritornavo in me con ambedue questi lumi: uno mi dava animo, e questo era il lume che avevo di Dio; l’altro mi teneva umile, e questo era quella cognizione propria. Tutto ciò facevami buono, per quanto potevo conoscere. Sia tutto a gloria di Dio.

[I.110-11] Mi pare di ricordarmi che in tal mattina, dopo la santa Comunione, ebbi subito una visione di Gesù bambino, il quale parevami che mi baciasse. Più volte avevo avuto questo. Io lo chiamavo bacio di pace. E quello che in quel punto Ecco comunicava all’anima mia non posso colla penna narrare. Io gli dissi che non facesse tali cose con me, ma che ciò facesse con anime più umili e non superbe, come ero io. E po di cuore gli dissi: Io  non credo ch siate il Signore, ma il tentatore mio nemico, e faccaite così per farvi amico mio. Via non voglio queste cose; patire, patire vi chiedo. In un subito Gesù bambino mi si accosstò di nuovo, e diedomi un bacio con dirmi: Sta posata, che son io. Si’ al tuo confessore tutto quanto io opero in te , e tu fa pure l’obbedienza di quanto di comanda. Mi pare che mi lasciasse certa cognizione del suo infinito amore e della sua misericordia. Di qui avevo lume della mia ingratitudine ed impotenza; ma sentivogenerosità e vedeo che tutto veniva da Dio, se vi era niente di buono. Il cattivo era mio. Di questo ne avevo una cognizione intima, che ben scorgevo che cosa avrei fatto, se Dio colla sua grazia non mi avesse assistito. E mi pareva che mi restasse il desiderio di più patire.
Questi baci di pace li ho provati in più modi, ma tutti mi pare che facessero lo stesso effetto, e mi lasciavano queste vive cognizioni di me medesima, che non potevo niente, non ero niente. E di niente mi curavo. Solo Iddio bramavo e di fare in tutto il suo volere.

[I.234-237] Mentre io vi chiesi di nuovo a baciare la pisside, sentii un certo abbracciamento ed unione fra Dio e l’anima mia, e parevi di avere un bacio. Questo fu così intimo, che non so come fare per dichiararlo. Contuttociò voglio obbedirlo anche in questo, e gli darò qualche rozza similitudine.
Cioè a dire: quando Iddio dà di questi baci, son cose tanto penetrative, che pare metta sossopra tutto il nostro interno. Voglio dire che tutte le potenze, cuore, anima, sensi e sentimenti tutti pare che partecipino un saggio del divino amore. Questo amore non è celato, come le altre volte; ma, alla scoperta, si fa vedere e viene, in persona, ad abbracciare la medesima anima con dirle: Viva la pace! Ed, in un istante, l’abbraccia e la bacia. Per questo io lo chiamo bacio di pace.
Vedete: quando venisse un nostro amico o parente di lontano, subito gli si va incontro con festa ed allegrezza; ma, quando poi venisse un nostro proprio padre, oh! quanto contento ci apporta! Subito veduto, si abbraccia e bacia. Così pare che abbia fatto quest’anima mia, essendo venuto il suo vero padre. Ed, in quell’atto, ne ha avuto un po’ di lume soprannaturale, e, col lume e colla corrispondenza di Esso, si faceva incontro per abbracciarlo e baciarlo. Ed essa sentiva in sé il secondo bacio che gli rendeva il suo Gesù. Ma è tale questo bacio, che pare, nel medesimo punto, Iddio e anima siano una istessa cosa. Qui ci vorrebbe dichiarazione, ma grande. Io non ho tanta intelligenza. Piuttosto tacerò che dire; perché così, col silenzio, vengo a comprendere tutto, e dichiararlo l’ho per impossibile.
Pare a me però, che, quando l’anima ha quelle comunicazioni della viva presenza di Dio, bene spesso ella partecipa di questo divino dono. ma questi baci sono tutti differenti, ed io ne rho provati di più sorta; ma mai ho avuto lume che siano veramente baci. Ora che Iddio me lo ha dichiarato e me l’ha dichiarato e me l’ha fatto alla scoperta, conosco che sono veramente baci.
ma delle volte, si hanno eppure non si sente niente; solo si trova l’anima tutta contenta, e si vede tutta unita col suo Dio. Non si sa cosa sia stato il motivo di sì fatta unione, ed allora io penso che Gesù abbia dato un bacio, ma incognito.
Questi si assomigliano a quei tocchi che Gesù fa nel cuore, ed anche a quegl’inviti che fa all’anima sua sposa; ma sono tutti differenti. Così pare a me.
Il bacio, in un subito, unisce l’anima a Dio solo; ed ella resta con tal pace, che ben le è noto di aver avuto il bacio di pace. In quel mentre, Iddio le da questa bella cognizione, e le fa intendere che di già le ha fatto questo dono. Ella allora si sente del tutto essere tirata, per via di amore, nel suo Dio tutto amoroso; e, delle volte, mentre essa sta con questa bella cognizione, si sente, di nuovo, baciare. Oh! allora sì, che, se il Signore non le porgesse aiuto soprannaturale, si morrebbe di violenza d’amore.
Queste sorte di cose io le ho provate, ma chiare volte, e mai ho avuto cognizione cosa siano; solo adesso Iddio mi ha comunicato, che tali effetti nell’anima, non sono altro che un suo bacio. O bacio di pace! O bacio di amore! O bacio di vita! Così lo chiamo, perché pare che dia nuova vita, nuova forza e vigore alla medesima anima.
In quanto a quei tocchi che si sentono nel cuore, sono quasi lo stesso. Contuttociò il modo che l’anima sente della sua unione col suo Dio, è differente; perché il bacio ha possanza tale, che subito pone unione amorosa fra Dio e l’anima, e questi tocchi sono come sveglie che destano l’anima, ma essa, come appunto destata da un profondo sonno, non ha subito quella chiara visione del suo amato Bene. Ha sentito un non so che, ma non sa che cosa sia. Mentre ella sta così ansiosa, di nuovo, sente un altro tocco, ed ella di subito sorge, e vorrebbe correre, ma non sa dove. Sta come impazzita e fuor di sé. Venendo il terzo tocco, si vede avanti il suo Dio con qualche visione intellettuale, la quale finisce di destarla, e le fa conoscere  chi è quello he le dà siffatti tocchi nel suo cuore.
E questi tocchi non vengono sempre avanti le visioni. Solo quando Iddio vuole e si compiace di darli. È ben vero che, avendo di questi tocchi avanti, pare che, nelle visioni, vi sia più lume soprannaturale, e in queste vi è ben spesso qualche comunicazione. Così pare a me. Non so se dico qualche sproposito. Il tutto dico di quanto io passo. Del resto, in quanto alle dichiarazioni, non ne parlo, perché non sono cose da semplici come me. Solo dico qualche cosa, acciò si veda la gran misericordia di Dio, l’infinito suo amore, che, per mezzo di queste cose, Egli viene comunicando alle anime nostre.
Orsù! dacché sono in questo discorso, vi voglio dire anche gli effetti che prova l’anima quando ella sente quegl’inviti. È vero che nemmeno di questi parlerò appieno; contuttociò vi dirò qualche cosa.
Questi inviti sono di più sorte; ma tutti uniti si fanno un solo, Sono differenti, per essere con differenti modi, ma tutti ci tirano a quel Dio solo; ed a questo solo Iddio pare che l’anima nostra aspiri, stando ella tutta assorta nella divina presenza. In questo mentre, si sente un invito, ma intimo, il quale è operativo. Dico così, perché questo, subito, opera effetti meravigliosi in detta anima, perché subito la pone alla divina presenza con più chiarezza di prima; e posta che l’ha con questa, ecco un altro invito.
Ella si sente invitare all’unione amorosa del suo Dio; ma non sa il modo, il come ella possa fare, si sente invitata, ed ella con più brama, ansia, agonizza di pena, ma ancora non può far niente. Di nuovo, si sente questi inviti, ma ella non sa cosa sia. Solo le pare di sentire, ma da lontano, la voce del suo Diletto. Ella si pone con tutta attenzione ad ascoltarlo, per potere andare di volo se potesse, da chi tanta ella brama.
Alla fine, gli ritorna quella viva presenza, e da essa le vien dichiarato chi era quello che l’andava invitando. Avuto che ella ha questa dichiarazione, subito si spoglia di tutto il momentaneo, ed in Dio solo si riposa, e accetta l’invito, e va possedendo e godendo tutto il suo Dio di amore. Dico: Dio di amore, perché lo stesso amore gli ha servito di invitarla, e poi comunicarsi in più modi, acciò ella sia tutta sua.
E pare a teche questi inviti siano mezzani all’anima, per unirla con più prestezza col suo Dio. Altre volte, non fanno questi effetti, perché si sente solo l’invito, ma non si prova niente nell’intimo del cuore. E sentendosi così spesso invitare dal Dio amore, eppure uno si ritrova tra tante miserie e colpe. Oh! che pena, oh! che dolore prova allora la povera anima!
Quelli inviti la sollevano, ma ella, come incatenata, non si può muovere. E ben vero che, sentendo più, di nuovo, essere invitata, ella si avveda di non potere, per essere tra ferri e catene di qualche cosa della terra; ma, con quell’invito che ella sente, si viene ad uscire, a poco a poco, e, per mezzo di qualche altro invito, di nuovo, le si porge lume maggiore, e si viene sciogliendo da quei legami, che ella non conosceva di averli neanche. E questi ancora li ho provati bene spesso. Ora non dico altro sopra ciò.

NON FAR CASO AI DONI, MA AL FRUTTO
[I.93-94] 
Mi pare che abbia  avuto molto aiuto dai Padri spirituali e tutti mi hanno esortato che io sia fedele a Dio, perché, se tutto ciò che Iddio opera nell’anima mia lo desse a qualche altra anima, corrisponderebbe più che non facia io; e tutti mi hanno tirato per via di umiltà e cognizione di me stessa, con farmi stare in continuo timore e tremore. Non ho conosciuto che nessuno abbia fatto conto di quanto passava nell’anima mia, ma tutti dicevano che io non credessi a niente, che non facessi conto di queste cose, ma che solo cavassi frutto da tutto e che non credessi né mi fermassi in queste cose. Tutto ciò mi pare che m’abbia giovato, perché io non stavo a pensare ad altro; mi fermavo al frutto, e questo cercavo di operare e negoziare. Del resto queste cose le passavo come se fossero in sogno. Non davo credenza a nulla. E sempre mi hanno fatto stare con timore e tremore di qualche inganno, e per via di ciò ho passato grandi patimenti. Perché, se tenevo in me celati quanti lumi e grazie il Signore facevami, mi dava pena, perché non potevo fidarmi di me; se dovevo dire tutto, ciò mi appariva da vantaggio, e con mio rossore riferivo qualche cosa, e mi pareva che il Signore mi andasse dicendo che io dicessi tutto. Così facevo; e per obbedire ai confessori ho anche scritto di molte cose, le quali hanno avuto tutte i medesimi.
Io, quando mi pareva che il Signore mi comandasse qualche cosa, e parevami che dicesse che così voleva e che da sua parte lo diessi a chi stava in suo luogo, delle volte e quasi sempre, quando dicevo ciò ai confessori, tutti mi contraddicevano e facevano fare tutto l’opposto di quello che io chiedevo; ma questo mi teneva in pace e mi pareva di conoscere più la volontà di Dio in quello che mi comandava il confessore, che non era quello che avevo avuto nell’orazione. A suo tempo, quando Iddio voleva, trovava modo che io facessi tutto. Io sono stata sempre con pace interna, perché mi sono in tutto e per tutto rimessa a quanto mi diceva chi stava in luogo di Dio. Non davo crdenza a quanto sentivo in me, ma solo seguivo i comandi ed ordini dei confessori e persone dotte. Con tuttociò non avevo inquietudine, ma bensì sempre una certa pena di non farmi bene conoscere e di non sapere dire le cose come veramente stanno. Sempre stavo con timore di qualche inganno e di non sapere dichiararmi acciò fosse scoperto.
Quando trovavo qualcuno di loro, che stavano dubbiosi e facevano qualche prova con rigorosa disanima, contuttocié mi era di gran patire, l’avevo caro, acciò se vi fosse mai stata cosa ingannevole si fosse scoperta. Ancora sto con questo timore; dubito che per mia semplicità ed ignoranza non mi sappia bene dichiarare: contuttociò spero in Diuo, che, se mai vi fosse cosa ingannevole. Esso mi farà la grazia un dì scoprire. Non vorrei, ma, caso vi fosse, avrei caro di conoscerla, per fuggire ciò che non fosse secondo la gloria di S. D. M. [Sua Divina Maestà]. In questi scritti mi sono allungata in qualche cosa, e mi pareva che una parola bastasse; ma per mia quiete ho detto di molte cose che non erano necessarie. L’ho fatto, acciò meglio si comprenda se vi è inganno nessuno. E per carità chiunque leggerà questi fogli, se vi trovasse qualche errore sopra questo punto, venga con tutta libertà, acciò io possa emendarmi. Intendo di fare questi scritti solo per la maggior gloria di DIo, e per obbedire al Prelato. Del resto vi sento gran repugnanza e rossore. Sia tutto per amore di Dio.

[I.146] Mi pare che tutto descrivessi distintamente al P. Confessore. Non sto a descrivere altro sopra queste visioni e rapimenti, perché son cose che a me hanno apportato sempre timore di qualche inganno ed ora di presente mi fan temere, benché io noon abbia mai fatto caso di nulla e mai ho dato credenza a quanto avevo. Lo dicevo al confessore per obbedire e perché non potevo fidarmi di me. Esso mi diceva che praticassi il frutto della cognizione che il Signore mi dava di me stessa; che il resto non pensassi ad altro. E di nuovo mi comandava che dicessi tutto. Ma io in ciò ho trasgredito di molto, perché vi sentivo gran ripugnanza ed avevo timore che fossero cose della mia immaginazione. E così era più quello che che tacevo che  quello che conferivo. [*Di questo sarà rimproverata dall’Angelo custode] Dopo poi mi pare che il Signore mi abbia fatto conoscere che le cose di propria immaginazione poco restavano le medesime cose; e se pur delle volte vi resta qualche cosa, non fanno effetti efficaci, ma così, così. Ma quando son cose che non vengono dalla propria immaginazione pare che resti tutto ciò così intimo nella nostra mente, come che di presente vi sia la stessa visione e lume; e resta nell’anima quella grazia efficace, che si opera tutto ciò senza che la persona si avvegga di nulla. Io sopra ciò ho voluto dire queste quattro parole, acciò meglio veggano se in me vi può essere inganno nessuo; perché, se mai ho temuto, ora temo più che mai e dubito di non dire bene per essere intesa e conosciuta sopra di questo punto. Sia tutto a gloria di Dio.

LA SS. VERGINE MARIA SI OFFRE PER LEI A SUO FIGLIO  
[I.132-133 ]Dopo ritornai in cella. In un subito vennemi il raccoglimento colla visione di Gesù glorioso, colla Beata Vergine e con molti santi e sante. parei che il Signore mi facesse capire che era venuto per congiungermi seco con legarmi di nuovo sposalizio. In un subito ebbi certa cognizione sopra il mio niente e ben penetravo la indegnità a tal grazia. Poi comprendevo questa verità, più il Signore si dava a conoscere, e mi pare che dicesse: Io sono tuo sposo: ove sono i segni che tu sei mia sposa? Io dissi: Non ho niente, non posso niente. Il niente medesimo mi fa apprendere che voi siete, e fate da quel che siete. O Signore, voi vedete tutto chi sono. Tali grazie non le ponete in me, perché non so corrispondere. Esso mi disse che cosa avevo preparato ad un tal dono e favore. Io risposi di nuovo: Mio Signore, non posso niente, non ho niente, però dono voi a voi medesimo. Il vostro infinito amore sarà il rimuneratore di tutto quello che avete operato, state per operare in quest’anima. Ed esso farmi che così dicesse: Ora io voglio qualche cosa. Dicendomi così, crescevamo la brama, e di cuore mi offrivo tutta a Lui. Stavo ancora con quella cognizione propria, e vedevo che niente potevo.
Mi pare che rivolta alla SS. Vergine le dicessi che Ella offrisse se medesima per me al suo Figlio. Così eseguì quanto bramavo. Mentre la Beata Vergine faceva tutto ciò, mi pareva di vedermi tutta adorna di preziose gemme. Parei di ricordare che in quel punto avessi comunicazione che queste gioie e gemme erano tutte le virtù ed opere della medesima, che si era offerta per me al suo Figlio.
Il Signore mi disse: Dammi il tuo cuore. Ed io risposi: Non sapete che non è mio ma vostro? In un subito mi aò i cuore e, tenendolo in mano, dicevamo: Dimmi di chi è questo cuore? Dicevo: È vostro. Ed Esso per tre volte disse  così. Io risposi lo stesso. Lui lo stringeva fra le mani e lo posava nel suo seno, e dicevamo: Se è mio, lo riporrò ove deve stare. così lo mise nella piaga del suo costato, e fecemi vedere il cuore ivi dentro tutto risplendente. Il detto cuore divenne tutto come una fiamma di fuoco. Il Signore lo riprese in mano, e lo mirava e stringeva ben forte; ed io vedevo il detto cuore divenuto tutto fuoco. Mi pare che il Signore lo desse alla Beata Vergine. Ella lo posò nel suo seno, e poi lo rese al Signore con offrigli il medesimo suo cuore con questo. In questo punto mi pare che lo rimettesse nel mio petto. Non sentivo altro che incendio. In questo punto il Signore mi diede un dolore delle mie colpe. Fra dolore ed amore ardevo, ed ora non posso dire niente di quello che provai in quell’istante.

LO SPOSALIZIO PRESENTE LA SS. VERGINE 
[I.134-137] La mattina poi, nella santa Comunione, mi pare di ricordarmi che subito mi diede il bacio di pace; ed in quel punto diademi unione intima e mi fece capire che voleva fare questo legame ed unione perpetua con sposarmi con Lui. Mi pare che io dicessi: Eccomi tutta in tutto al vostro volere. In un subito parmevi vedere laBeata vergine con molti santi e sante con armonia angelica che cantavano e mi pare di ricordarmi che io sentissi queste precise parole: Veni sponsa Christi, accipe coronam. Il Signore posò sopra il mio capo una bellissima corona. Nell’accomodarla mi fece anche sentire le punture dell’altra [aveva in precedenza ricevuto al corona di spine]. Provai gran dolore e pena. Mi pare che il Signore mi facesse intendere che facevamo sentire questa pena, acciocché io non partissi colla mia mente dalla sua passione e dolori, e che tutto ciò sarebbe stato di aiuto a quanto di presente voleva fare con me. In un subito mi venne un rapimento e farmi che mi levasse affatto dai propri sensi. Sentivo un dolore intimo di quanto avevo fatto in tempo di mia vita; ma però non vedevo le proprie colpe, solo v’era il dolore e la pena.
Mi pare di ricordarmi che questo dolore facevamo più unire a Dio. Avevo anche un certo lume sopra la cognizione propria. Contuttociò mi pareva che il Signore desumi a conoscere in un certo modo il suo infinito amore. Mi mostrava le sue sante piaghe, le quali risplendevano come tanti soli. Mi pareva che per me fossero voce che mi invitavano. Ora non ho a mente tutto quello che passi in quel punto. So che, dopo molte comunicazioni che ebbi, parvemi che il Signore tenesse in mano quello anello e dissemi: Questo è vero sposalizio; gli altri che tu hai fatto con me sono stati mezzi per arrivare a questo. Così dicendo, mi pare che la Beata Vergine presemi la mano dritta e la porse al suo Figlio, ed Esso mi mise l’anello in dito; e poi presemi per mano con dirmi: Chi sei? Io non mi ricordo bene, ma mi pare che rispondessi: Son vostra sposa per vostri meriti. Qui ebbi di nuovo cognizione sopra il mio essere. Il Signore m’addimandò: Ove sono i segni che tu sia mia sposa? In quel punto gli mostrai i segni che aveva fatto in me delle sue piaghe e dissi: Questi mi fan dire che sono vostra sposa. Lui rispose così e dissemi: Queste piaghe io ti lascio per pegno, acciò tu abbia sempre la mente in me. Sta posata nel mio volere, io sarò per te. Così dicendo presemi per mano un’altra volta. Rivolto alla Beata Vergine disse: Questa è mia sposa: a voi viene a essere vostra figlia. Ve la consegno, acciò ella mi sia fedele ed operante alle operazioni mie che voglio operare in lei. Mi pare di ricordare che la Beata vergine rivolta al suo Figlio gli disse: Le vostre piaghe siano sua abitazione. Esso mi mostrò il suo costato e dissemi: Qui starai. Mi pare che mi venisse desiderio di sapere il contenuto del misterioso anello con le tre gemme distinte. Mi pareva di vederlo così nel mio dito. In una di esse vi erano due cuori. Stavano tanto uniti che pareva un solo. Nella seconda vi era la croce e nella terza mi pareva di vedere gli stromenti della passione. In un subito parvemi capire che i due cuori erano il cuore ferito e quello amoroso che volevano significare il Cuore di Gesù. La croce era la dote di detto sposalizio, in questa dovevo sempre aspirare. La terza, eranmi mostrati questi stromenti della passione,  acciò io operassi e facessi tutto in tutto, in unione dei patimenti e meriti suoi, mi conformassi con Lui per mezzo del patire. Qui furono più cose, ma ora non mi ricordo. Solo ho a mente che, dopo tutto ciò, il Signore mi disse che rivoleva l’anello, ed io gli porsi la mano. La Beata Vergine lo cavò e lo diede al suo Figlio, i quale lo ripose nel suo costato e disseti: Questo sta per te. In questo punto mi pare che facesse il segno della santa croce sopra la ferita del cuore, che pochi giorni avanti era aperta. così mi disse: Ora risano detta ferita per farti più penare. Mi diede una benedizione e disparve.

AMORE E UMILTÀ – GESÙ SPECCHIO
[I.152-154] Parmi di ricordare più volte, nei rapimenti e nei raccoglimenti, il Signore faceva invito al convito del suo amore e dicevami che l’umiltà era quella, che faceva passare l’anima mia a questo convito. Davami cognizione di me stessa e del suo amore infinito.Questo amore parevami che m’accendesse il cuore e davami lume della preziosità del patire, dell’annientamento proprio e dei tesori che stanno fra i disprezzi e avvilimenti. Mi pare he lasciasse tutto ciò fisso nella mia mente e facevamo anche operare per apprendere in pratica quello che conoscevo con lume speciale. Ma ora mi avvengo che la strada di umiltà non è mai praticata da me e nemmeno so apprendere cosa sia. Mi pare di conoscere che lo stato in che mi torvo al presente sia ottimo per far praticare questo sentiero. Mi ricordo, quando il Signore davami questi lumi, delle volte mi mostrava il suo cuore e mi diceva: Chi sarà umile, io gli do per abitazione il cuor mio medesimo. Tutto ciò accendevami via più ad acquistare e praticare questa virtù.
Una volta mi pare che mi dimostrasse il suo cuore, come lucidissimo specchio. Ivi dentro vedevo me stessa; ma in subito disparve tutto. So che restai così accesa del suo amore, che impazzivo. Non trovavo luogo. Mi pareva anche nel medesimo tempo di aver lume sopra me stessa. fra la cognizione del nulla, e fra l’amore infinito ben scorgevo che la vera strada dell’amore era la santa umiltà. Questa chiedevo di cuore a Dio. Esso davamo cognizione del mo niente e ben penetravo di non poter niente. e con questo lume del niente si viene a camminare per la via dell’umiltà, la quale è la strada che fa trovare il vero amore di Dio. Infatti parevami che l’amore fosse la strada per l’umiltà, e l’umiltà la sera per l’amore. Ambedue il Signore me le faceva apprendere in un istante; ma non posso descrivere il come, perché tutto fu per via di comunicazione. Parevami che queste deve strada mi dessero coraggio in tutto e mi facessero apprendere che per questo mezzo sarei spogliata di me stessa e di tutto. Ma queste cose le avevo frequenti, e mi pare che mi lasciassero sempre una brama di più patire, il desiderio della salute e conversione di anime, il proprio conoscimento, lo stacco da tutte le cose momentanee ed una ardente desiderio di volere amare Iddio. Andando pensando di continuo come potevo fare per dargli gusto e per fare il suo santo volre.  Laus Deo.

SULLA PORTA DELL’INFERNO
[I.172-173]
In questo mentre mi fece intendere che il maggior castigo che Dio possa dare alle anime, è i togliere il lume. tolto che è il lume, smorzata che è quella fiamma, non resta altro che spada, la quale dà morte all’anima, perché la priva della sua grazia e visione della sua gloria.
In questo mentre parve a me che Iddio mi facesse capire, per via di comunicazione, che cosa era mai la morte dell’anima; perché i corpo è quello che muore, e non l’anima. Mi diede a conoscere e capire che non solo ella muore assieme al corpo, ma muore prima del corpo; perché, avendo perduto il lume di Dio, viene a perdere la sua propria vita. O anime ricomprate tutte col prezioso sangue di Gesù, vivete in Lui e per Lui, e con Lui vivrete in eterno.
In questo mentre Iddio mi diede un po’ di lume particolare sopra la perdita che si fa giornalmente di tante anime che, di continuo, sono sepolte nelle fiamme infernali. Qui mi venne uno zelo sì grande, che, se avessi potuto di mia mano andare a serrare quelle porte infernali, acciò non vi potesse andare più nessuno, [l’avrei fatto]. Sentendomi così generosa, mi esibii per mezzana [mediatrice] tra Dio e tutti i peccatori e gli chiesi più patire. In questo ritornai in me; e, dopo, non mi mancarono combattimenti e travagli. Sia lodato Gesù! Per suo amore tutto è poco e nulla. Più pene, più croci, mio Dio!

[I.177] Mi vennero tanti scrupoli delle cose della vita passata e presente. Il tentatore mi persuadeva alla diffidenza, alla pusillanimità, alla disperazione. Stavo tutta ansiosa e tremante fra densissime tenebre; non avevo sussidio da parte alcuna e nemmeno potevo aiutarmi con fare atti contrari. Stavo coll’intelletto e colla mente tutta offuscata; pareva che il demonio avesse totalmente il dominio e la povera anima, tutta timorosa e derelitta, non si potesse aiutare. Mentre stavo così, parve che il tentatore mostrasse all’anima mia l’inferno aperto e che, appunto, l’avesse posta nella porta di esso, che altro non mancava che una spinta per gettarla dentro.
Parevami allora di sentire urli e voci lamentevoli dei medesimi dannati. Io non vedo altro che mostri di inferno, serpenti in quantità, animali feroci in gran numero, puzzori d’inferno grandissimi, fiamme ardentissime, le quali erano così grandi, che l’altezza delle fiamme era smisurata. Io non vi so dare altro paragone che la distanza che vi è fra il cielo e la terra. In quanto alla grandezza del sito, non si vedeva né principio né fine. Si sentivano innumerevoli bestemmie e maledizioni verso Iddio. Oh! che pena! Oh! che tormento apportava questo all’anima mia!
Mentre stavo con questo dolore, parve a me ch mi venisse un poco di lume interno sopra la cecità delle creature che per niente vengono a perdere un bene e guadagnano un eterno penare. E mi venne tanta compassione verso di dette anime, che, sei io di propria mano avessi potuto serrare detta porta, cacio non vi fosse potuto entrare più nessuno, oh! quanto l’avrei fatto volentieri!
Così, rivolta a Dio, gli dissi: Mio Signore, io mi esibisco a stare qui per porta, cacio più nessuno entri quaggiù, e non perda Voi, che siete un bene infinito. Date lume, Signore, a tutti  miseri peccatori, cacio nessuno vi offenda. In questo mentre, parevami di allargare le braccia e dire così: Finché io starò in questa porta, non vi entrerà nessuno. O anime ritornate indietro; non avete più da passare qua dentro. Ricorrete al sangue prezioso del vostro Creatore, ché Esso vi ha ricomprato e redento. Mio Dio, altro non vi domando che la salute dei poveri peccatori. Convertiteli tutti a Voi. O amore, o amore! mandatemi più pene, più tormenti, più croci, ché son contenta, purché tutte le creature tornino a Voi, e mai, mai più vi offendano.

COS’È L’OFFESA A DIO
[I.214-215] Stando io la notte, in orazione, mi venne il raccoglimento e con esso la visione, la quale fu in questa conformità. Mi si fece vedere nostro Signore, tutto pagato da capo a piedi. Così mi disse: Vedi come mi han trattato i peccatori!
Dicendo così, mi parve che, di nuovo, si aprissero tutte quelle piaghe sacrosante, e dappertutto scorreva sangue. Una tal vista apportò gran pena all’anima mia. Mi posi come mezza [intermediaria] contro tante sue percosse e offese. Così dicendo, mi fece intendere, che io dovevo fare il carnevale tutto di patimenti, e che più non tardassi, ma che ponessi mano ai flagelli, che così Esso voleva. E che facessi le battiture tutte a sangue, e che, ogni dì, facessi qualche patibolo più particolare. Gli promisi di fare tutto, se l’obbedienza voleva.
Mentre così gli dissi, mi diede una certa cognizione che cosa è l’offesa di Dio. Eppure non vi ci si pensa punto! Credo, che, se mi durava troppo questa cognizione, io sarei crepata di dolore. Non posso esplicarla colla penna, perché fu in un istante, e per via di comunicazione. tal comunicazione mi ha asciata una certa generosità al patire. E così mentre facevo un’esclamazione verso i peccatori con essa mi rivolgevo a Dio, così dicendo: Mio Signore, inviatemi tormenti; fatemi vivere tutta crocifissa, che così starò contenta. Parve che il Signore mi volesse contentare.

COME BIMBO IN BRACCIO AL PAPÀ, POI LASCIATO SOLO IN MEZZO ALLA STRADA

[I.257-258] Stando dunque un fanciullino nelle braccia di suo padre, si lascia portare dove vuole. Solo il suo godere è di vedersi in quelle braccia. L’anima nostra, posta che è in quelle braccia del divino Redentore, suo unico e vero Padre, non teme; ma, tutta festosa va dove vuole, e sta posata, immobile a tutto quello che il Padre vuole. Ma, se, a caso, un padre terreno lasciasse il suo figlio in mezzo ad una strada , da solo a solo, ed in quel luogo vi fossero animali ferocissimi, certo che si sentirebbero gridi fino alle stelle di quel povero fanciullino. Eppure questo è un niente, a paragone di quello che fa Iddio in prova delle anime nostre. Egli ci porta fra le sue braccia; ma, in un subito, pare che ci ponga, da soli a soli, in mezzo a ferocissimi serpenti di inferno. Pare che tutti stiano pronti per divorarla. L’anima grida e chiama e richiama il suo Signore; ma Esso non pare che l’ascolti. Oh! che pena intollerabile è mai questa! Non è cosa di rado, ma bene spesso mi succede. Sia lodato Gesù! Tutto è poco per suo amore.

IMMERSIONE NELLA SANTISSIMA TRINITÀ – CORRE PER IL CONVENTO INVITANDO AD AMARE IL SIGNORE

[I.261-262] Ai 3 di Marzo, stando, la notte, in orazione, ebbi il raccoglimento, nel quale mi si presentò Gesù bambino il quale mi parve che così mi dicesse: Tu sei mia sposa; però sta posata, che mai sono per abbandonarti. Sono tutto tuo, eccomi a consolarti! Così dicendo, mi fece un invito appresso di Sé. In un subito mi parve che tirasse a Sé il mio cuore. Questo tirare a Sé il cuor mio, fu un tratto di amore. Esso mi si comunicò in modo speciale, e mi diede cognizione sopra tutti questi tratti di amore.

Questa cognizione fu per via di comunicazione. In un subito, rifece intendere la sua onnipotenza. In questo mentre, mi fece capire un po’ più quanto gli sono grate le anime nostre. Egli, con amore ardente, le vorrebbe tutte a Sé. e, mentre mi dava questo lume sopra il suo amore, pareva che si andasse via più unendo coll’anima mia. Mi pareva di stare così appresso al Signore, che, col suo riflesso, provavo contento di Paradiso.

L’anima mia non aveva parola, ma pareva che ella fosse tutta lingue e tutte parlavano per bocca di quel Signore che aveva presente. Ella, rimirando Lui, si sentiva tutta lumi sopra gli attributi divini; ma quello dell’infinito amore portava avanti tutti gli altri. Ella si sentiva da tutti arricchita; ma il come io non lo so dire. Solo vi posso dire questo, che, in un istante, pareva che si tramutasse in più modi la medesima cognizione. Stando io sempre immobile in Dio, scorgevo tutte le visioni beatifiche.

Fra tre volte, io sentii unione amorosa fra Dio e l’anima. Queste tre unioni si ridussero in una sola. Questa sola mi apportò lumi particolari, ed ebbi la dichiarazione delle tre unioni. Così mi fu detto dallo stesso Signore, che tutte le tre divine Persone mi avevano fatto un saggio di amore, e, coll’ultimo, mi davano ad intendere, che tutto si rinchiude in Un Solo, e che questo Solo mi voleva tutto per Sé; e che io non più in me, ma in Dio operassi il tutto, perché, con questa cognizione avuta delle tre divine Persone, ben potevo stare osata che Esse volevano il dominio del mio cuore, e che, per segno di ciò, Gesù si voleva sposare coll’anima mia.

Saputo tutto questo, io ritornai in me, ma sono stata sempre come fuori di me. Delle volte, mi sento come pazza. Andai per tutto il monastero correndo, invitando tutte le sorelle, che tutte amassero chi tanto ha amato le anime loro. O Dio! Se io potessi far capire a tutte le preziosità che apportano i patimenti, ed anche potessi in tutti i cuori imprimere questo Dio, acciò tutti l’amassero come è degno di essere amato!

DESIDERO DI UN RITIRO: LA CELLA DEL CUORE

[I.264-265] Parevami di avere necessità di un poco di ritiro, sentendomi ispirata di fare come S. Caterina da Siena, cioè di fabbricare una stanza remota nel mio cuore, ed ivi, in mezzo ai tumulti, fare il mio posato ritiro con Dio solo. Con questo buon pensiero mi andavo trattando preparando a quanto volevo fare. In questo mentre, sentii una voce interna che così mi andava dicendo: Non ti pigliar pena di non poterti un poco ritirare, perché Io tuo Sposo farò che sempre te stia ritirata in Me. Questo ti basti. Nel medesimo punto, provai questo ritiro in Dio con una viva presenza sua.

Questo provare di ritiro in Dio, fu in questa conformità. Sentii in un subito, la mente mia colle potenze tutte ferme in quella volontà di Dio; e, con questo gusto della volontà di Dio, parevamo di vivere tutta in pace, e posata in Dio solo. Questa volontà divina, in mezzo ai tumulti, fra mille faccende, facciali cosa si sia, sempre fa godere solitudine e pace. Dunque chi vuol solitudine convien lasciare la propria volontà. Questa è quella che sempre tien sollevata la nostra mente nelle cose da niente; e non giova fabbricare gabinetti nel nostro cuore, perché, essendoci un poco del nostro volere, tosto si vede tutto a terra.

Avendo avuto questo lume, in questo giorno, e conoscendo i gran danno che mi ha fatto la propria volontà, sempre ho cercato di sempre più viverne lontana. Così facendo, mi pare di star sempre solitaria. Le conversazioni, le faccende, la carità, l’officio che ho, nulla mi leva dalla santa solitudine. Oh! che pace che prova il mio cuore nello star, di continuo, posto nel divino volere!  Oh! quanto è grande questa divina camera, in questa divina volontà del mio Dio, del mio Sposo! Io sento, che il Signore me la vuole fare ben penetrare, ed in essa stan posati tutti i divini tesori.

Delle volte, vado ragionando coll’anima mia, ed essa, tutta festosa, per incamminarsi verso il suo solitario luogo, ivi si ferma, e, mentre ferma sta, si sente più inoltrare. Ella, senza moto, fa grandi passi; ella senza parola, parla con tutte le sorte di linguaggi; ella gode e si sente di consolazione riempire, e tutto conosce che deriva da questo divino volere.

Io vorrei descrivere come mi è stato comunicato questo sentimento; ma non posso. Se il Signore me lo farà meglio capire, lo dichiarerò ancora. Ora provo tanti travagli, che no uso come faccia a scrivere pure un verso [= una riga]. Sia benedetto Gesù! Tutto è poco per suo amore.