Archivio pensieri eucaristici

Pensieri eucaristici 2016

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Dio si è comunicato relamente all'uomo nel Signore Gesù. Durante la sua vita mortale, Gesù era ancora estraneo agli uomini, ma nel dono del suo Spirito Egli si è fatto presente realmente. La sua presenza non è più condizionata dal tempo e dallo spazio; sono il tempo, lo spazio, le persone, le cose tutte che entrano in rapporto con lui. Egli è la nuova creazione che condiziona ogni cosa e non è sottomessa ad alcuna, il mondo nuovo di Dio. È Dio che si dona, che si comunica agli uomini nel dono del suo Spirito.

Nel dono dello Spirito, egli entra in noi e noi in Lui, e noi diveniamo uno con Lui. Se la presneza implicasse una qualche estraneità non sarebbe più presenza. Essa t'investe, ti riempie, non di identifica a te perché ti trascende, ti abbraccia. Non è compresa dallo spazio e dal tempo; ogni tempo, ogni luogo sono in rapporto con lei. Non è al di fuori di te, anzi colma proprio l'animo tuo, in qualche modo tu stesso diventi la presenza, ed essa diviene te. Finché tu ancora non sei trasformato in lei, come potrebbe essere per te unapresenza reale? Il Cristo è presente realmente se tu sei in Lui, se tu stesso sei il Cristo. Per questo la presenza reale definitiva è il «Christus totus», l'umanità redenta.

La presenza stessa dell'Eucaristia non è ancora definitiva, perfetta, ma è ordinata a quella che sartà la Chiesa futura. La presenza si realizza in noi perché nell'Eucaristia il Cristo è per noi. Secondo gli antichi teologi la presenza di Cristo nellEucaristia è presenza nel mistero, la presenza reale sono i cristiani. La presenza nel mistero è ordinata alla presenza reale che siamo noi. Finché Egli è presente nel mistero non è ancora per noi pienamente presente. Il Cristo rimane ancora distinto e separato da noi, rimane estraneo in qualche modo agli uomini: così per chi non ha fede, la presenza reale del Crsito è inaccessibile come quella di Dio. Chi non crede non può stabilire un rapporto con la presenza. Dio veramente, nella sua immensità riempie ogni cosa, è intimo a tutto, ma la sua non è una presenza reale perché le creature si trovano come al di fuori di Lui. Egli le riempie, ma esse non entrano in rapporto con la presenza. Dio è in loro, ma esse non sono in Lui. E tuttavia si può dire che il mistero eucaristico è quello della presenza reale, perché suppone e realizza il rapporto di Cristo con gli uomini, con la Chiesa sua sposa. Non si celebra il mistero senza che si faccia presente, con questo, la Chiesa.

La presenza così suppone distinzione e perfetta unità, esprime infatti un rapporto di assoluta intimità. La presenza di Cristo è l'unità del Christus totus nella distinzione delle singole persone. Egli è la presenza reale in cui sussistono il Figlio e la madre, lo sposo e la sposa. La distinzione personale esiste, nell'unità di un'unica vita, un solo corpo, un essere solo, come dice ripetutamente san Paolo nelel sue lettere e di cui quella agli Efesini è espressione stupenda (Ef 4,-6). Prima del dono dello Spirito anche il Figlio dell'uomo rimaneva diviso ed estraneo all'umanità di Pietro e di Giovanni. Erano come mondi contigui fra loro, ma l'uno non era nell'altro. Ora invece sono uno solo, sono la presenza reale.

DIVO BARSOTTI

La presenza
del Cristo

Edizioni Fondazione 
Divo Barsotti

pp. 147-149
 

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IL SACRAMENTO DEI SACRAMENTI

L’Eucaristia è il “sacramento dei sacramenti”, in cui il corpo di Cristo dispiega tutte le energie della sua trasfigurazione e porta a compimento il suo mistero nella Chiesa[1]. È in esso che ci raduniamo nel giorno del Signore per vivere la sua Pasqua nell’intensità della fede e nella gioia della festa. Nell’Eucaristia il Padre ci fa entrare in comunione con Lui nella liturgia eterna. Ma il gran liturgia di questa celebrazione è lo Spirito santo: è Lui che ci fa vivere l’Eucaristia come la misteriosa sinfonia del Verbo incarnato; attraverso di Lui tutto ciò che vive e respira viene riportato all’unità con il Figlio e canta la gioia del Padre.

Come in un preludio, lo Spirito santo ci introduce dapprima nella liturgia da celebrare. Poi, in un primo movimento, quello della liturgia della Parola, Egli ci manifesta il Signore che viene. In un secondo movimento, quello dell’anafora, Egli realizza per noi la Pasqua di Cristo. Questa trasformazione si conclude in un terzo movimento, nella comunione con il corpo di Cristo.

Allora, come in un finale in cui tutto ha nuovamente inizio, Egli ci presenta la liturgia da vivere.

Ma il nostro Liturgo non può realizzare senza di noi questa grande Pasqua della storia; dobbiamo prepararci ad essa e corrispondervi. La celebrazione è una sinergia costante tra noi e il Signore. Per questo nel cuore di ognuno dei movimenti della liturgia eucaristica noi viviamo con Lui una specie di ritmo binario: quello del risveglio della nostra fede e quello dell’evento della fede. Lo Spirito apre i nostri occhi affinché riconosciamo il Signore, porta al raccoglimento i nostri cuori perché accolgano il Verbo, approfondisce la nostra fame perché il Pane di Vita ci sazi, ci fa morire a noi stessi affinché risuscitiamo con Cristo, si fa nostra gioia affinché noi diventiamo la gioia del Padre, si lascia assorbire da noi perché a nostra volta doniamo vita ia nostri fratelli.

Queste esperienze di risveglio della fede ci rendono sempre più trasparenti alla luce della trasfigurazione. Nel suo triplice irradiamento, lo Spirito santo ci penetra e ci fa vivere Cristo, nostra Pasqua. Ce lo rivela, lo attualizza per noi e a Lui ci fa partecipare. Ora in ciascuno di questi tre movimenti vi è un momento forte in cui lo Spirito ci deifica nel corpo del Signore: è il momento dell’epiclesi[2]. La liturgia della Parola culmina in un’epiclesi che precede l’annuncio dell’evangelo, poiché è allora che il Verbo incarnato diventa per noi “spirito e vita” (Gv 6,63). Nell’anafora[3], l’anamnesi[4] è consacratoria grazie all’epiclesi in cui lo Spirito trasforma le offerte in corpo e sangue di Cristo. Nella liturgia della comunione, è ancora per l’epiclesi del pane mescolato al calice che si compie la nostra trasformazione in Cristo, l’unione trasformante della Chiesa con il suo Signore

Jean Corbon
Liturgia alla sorgente
Quiqajon-Bose

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[1] Etimologicamente celebrare significa “portare a compimento”. L’espressione “sacramento dei sacramenti”, nella quale si riconosce il superlativo semitico, è dello pseudo-Dionigi

 

[2] Epiclesi significa invocazione dello Spirito santo. Il p. Corbon ci sta dicendo che nella liturgia della s. messa non c’è solo l’epiclesi sul pane e sul vino prima della consacrazione.

 

[3] Anafora: “Portare verso l’alto”. Ogni celebrazione liturgica è anafora perché partecipe del dinamismo attuale dell’ascensione del Signore. In particolare, è il dinamismo centrale dell’Eucaristia (la “preghiera eucaristica” della liturgia latina in oriente viene chiamata anafora), che unisce l’azione di grazie l’anamnesi e l’intercessione.

 

[4] Anamnesi: “Far affiorare il ricordo, fare memoria”. Nella celebrazione liturgica, la Chiesa fa memoria di tutti gli eventi salvifici compiuti da Dio nella storia e che trovano il loro pieno compimento nella croce e risurrezione di Cristo. Ma l’evento pasquale, accaduto una volta nella storia, è ormai contemporaneo  ogni istante delle nostre vite: Cristo, proprio perché è risorto, ha squarciato il muro del tempo mortale. Si tratta dunque di un memoriale di tipo assolutamente nuovo. Siamo noi che ricordiamo, ma la realtà non è più nel passato, essa è qui: la memoria della Chiesa diventa presenza. Qui c’è tutto il realismo dell’evento liturgico

 

 

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Per accedere al sacramento dell’Amore bisogna varcare la soglia della fede (Cf S. TOMMASO, Summa Theologiae, III, 73, 3 ad 3). Mistero della Fede! Entrati che noi siamo nella sfera della Fede, la quale ci invita a leggere nei segni sacramentali l’ineffabile Realtà ch’essi localizzano e raffigurano, Cristo sacrificato e fattosi alimento spirituale per noi, una timida-audace domanda affiora al nostro animo trasognato: perché? Perché, o Signore, hai voluto assumere codeste sembianze? perché vieni a noi così nascosto e così svelato? Tratteniamo un istante il respiro, e ascoltiamo. Sì, una parola di Gesù è pronunciata, per così dire, dal dono eucaristico che ci è messo davanti; la riascoltiamo dal Vangelo; Gesù dice ancora e sempre: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e Io vi ristorerò» (Mt 11, 28). Dunque Gesù è in un atteggiamento di invito, di conoscenza e di compassione per noi, anzi di offerta, di promessa, di amicizia, di bontà, di rimedio ai nostri mali, di confortatore, e ancor più di alimento, di pane, di sorgente di energia e di vita. «Io sono il pane della vita» (Gv 6, 48), soggiunge nel suo eloquente silenzio il Signore, Gesù pane! Gesù alimento? ma dove vuole arrivare il Signore? Non è già troppo ch’Egli sia venuto nel mondo per noi? anzi, che Egli si sia reso così accessibile da moltiplicare la sua sacramentale presenza per ogni altare, per ogni mensa, dove un’altra sua presenza rappresentativa e operativa, quella d’un Sacerdote, renda possibile la moltiplicazione indefinita di questo prodigio? (Cfr. DE LA TAILLE, Mysterium Fidei, Eluc. 36 ss.)

Dall'omelia del beato Paolo VI nella Solennità del Corpus Domini, 12 giugno 1977
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DALL' OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
PER LA CELEBRAZIONE CONCLUSIVA DEL
49° CONGRESSO EUCARISTICO INTERNAZIONALE IN QUÉBEC (CANADA)

La ricezione dell'Eucaristia, l'adorazione del Santissimo Sacramento – con ciò intendiamo approfondire la nostra comunione, prepararci a essa e prolungarla – significa consentire a noi stessi di entrare in comunione con Cristo, e attraverso di lui con tutta la Trinità, per diventare ciò che riceviamo e per vivere in comunione con la Chiesa. È ricevendo il Corpo di Cristo che riceviamo la forza "dell'unità con Dio e con gli altri" (cfr san Cirillo d'Alessandria, In Ioannis Evangelium, 11, 11; cfr. sant'Agostino, Sermo 577). Non dobbiamo mai dimenticare che la Chiesa è costruita intorno a Cristo e che, come hanno detto sant'Agostino, san Tommaso d'Aquino e sant'Alberto Magno, seguendo san Paolo (cfr 1 Cor, 10, 17), l'Eucaristia è il sacramento dell'unità della Chiesa perché tutti noi formiamo un solo corpo di cui il Signore è il capo. Dobbiamo ritornare continuamente indietro all'ultima cena del giovedì santo, dove abbiamo ricevuto un pegno del mistero della nostra redenzione sulla croce. L'ultima cena è il luogo della Chiesa nascente, il grembo che contiene la Chiesa di ogni tempo. Nell'Eucaristia il sacrificio di Cristo viene costantemente rinnovato, la Pentecoste viene costantemente rinnovata. Possiate tutti voi diventare sempre più consapevoli dell'importanza dell'Eucaristia domenicale, perché la domenica, il primo giorno della settimana, è il giorno in cui onoriamo Cristo, il giorno in cui riceviamo la forza per vivere quotidianamente il dono di Dio!

Desidero anche invitare i pastori e i fedeli a un'attenzione rinnovata per la loro preparazione alla ricezione dell'Eucaristia. Nonostante la nostra debolezza e il nostro peccato, Cristo vuole dimorare in noi. Per questo, dobbiamo fare tutto il possibile per riceverlo in un cuore puro, ritrovando costantemente, mediante il sacramento del perdono, quella purezza che il peccato ha macchiato, "armonizzando la nostra anima con la nostra voce", secondo l'invito del Concilio (cfr Sacrosanctum Concilium, n. 11). Di fatto, il peccato, soprattutto quello grave, si oppone all'azione della grazia eucaristica in noi. D'altro canto, coloro che non possono comunicarsi per la loro situazione troveranno comunque in una comunione di desiderio e nella partecipazione all'Eucaristia una forza e un'efficacia salvatrice.

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Dalla Lettera della beata Elisabetta della Trinità al signor canonico Angles
[Lettera 85]

JM†JT
[Jesus Maria Joseph Teresa]

Carmelo di Digione, 11 settembre  1901
Amo Christum!  
     

Caro signor Canonico,

la nostra reverenda Madre mi permette di venire a lei ed è con tutto il cuore che vengo a ringraziarla della sua bontà verso la mia cara mamma. […] Lei sa quanto le sono riconoscente. Non passa un giorno senza che preghi per lei. Oh, vede, sento che tutti i tesori che che sono rinchiusi nell’anima del Cristo sono miei e mi sento così ricca. Con quanta fiducia vado ad attingere a questa sorgente per tutti coloro che amo e che mi hanno fatto del bene. Oh, quanto è buono Dio! Non trovo espressione per dire la mia felicità; l’apprezzo ogni giorno di più. qui non c’è più altro, nient’altro che Lui. Lui è tutto, Lui basta, non si vive che di Lui e Lo si trova dappertutto, al bucato come all’orazione! Amo, fra tutte, le ore del silenzio rigoroso ed è durante una di queste che le scrivo. S’immagini la sua piccola Elisabetta nella sua eletta che le è sì cara – è il nostro santuario tutto per Lui e per me -– e indovinerà le belle ore che vi trascorro con il mio Diletto! Tutte le domeniche abbiamo il SS.mo Sacramento nell’oratorio: quando apro la porta e contemplo il divino Prigioniero che m’ha fatta prigioniera in questo caro Carmelo, mi sembra che sia un po’ la porta del cielo che si apre! Allora metto davanti a Gesù tutti coloro che sono nel mio cuore e li ritrovo là, accanto a Lui. Come vede, penso a lei tanto spesso, ma so che neppure lei mi dimentica, che tutte le mattine offrendo il S. Sacrificio ha un ricordo per la sua piccola carmelitana che tanto tempo fa le confidò il suo segreto. 

[…]

A Dio, caro signor Canonico, unione sempre per non vivere che di Lui. Ah, lasciamo la terra! È così bello vivere in alto. Le chiedo di benedirmi con la parte migliore della sua anima.

Maria Elisabetta della Trinità

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Il dono massimo

Egi ci diede un dono che sorpassa ogni altro dono, dandoci se stesso in cibo per l'Eucaristia. Egli dice: «Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane ivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,52); «Questo è il mio corpo che è dato per voi» (Lc 22,19). E non diede se stesso in cibo una sola volta, ma ordinò e istituì che si continuasse a fare ciò sino alla fine dei secoli, in memoria di Lui, cioè del suo amore, che in questo dono appare in modo assai mirabile, da superare il nostro intelletto.

La memoria che abbiamo dei suoi benefici non è di alcun giovamento a Lui, come pure non risente alcun danno se noi ce ne dimentichiamo, perciò se ci comanda di averla, lo fece per il nostro bene, perché senza di Lui non possiamo vivere. Egli ci comnadò, come abbiamo ricordato, di andare a Lui, di ricevere il suo corpo benedetto nell'Eucaristia. E chi, senza un comando, ardirebbe ricevere in cibo il suo Signore? […].

Per il suo immenso amore si diede a noi in cibo, in modo così familiare, per dimostrare che il motivo che ci deve spingere a ricevere questo cibo deve essere l'amore e il desiderio di Lui stesso. Sappiamo infatti che tutti gli altri beni e doni dobbiamo cercarli per Lui, e non cercare Lui per amore delle altre cose. E benché siano molti i frutti dell'Eucaristia, tuttavia Essa stessa è più nobile e degna di essi, poiché ha in sé l'autore di tutti i beni, doni e virtù.

Perciò deve essere soprattutto la carità che ci spinge ad accostarci a qeusto sacramento, e poiché amiamo il Signore, desideriamo di essere confortati con questo cibo e di crescere nel desiderio di Lui, e così di conseguenza crescere sempre più nella divina carità. E cosa giusta infatti che, se conviene desiderare anche altri doni, si desiderino in rapporto a Lui solo, affinché attraverso di essi siamo a Lui più fedeli e Lo amiamo maggiormente..

Lanspergio il Certosino (†1539)

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ECCO IL CIELO CHE È MIO!

1. A sopportare l'esilio di questa terra di pianti m'occorre lo sguardo del divin Salvatore; sguardo che m'ha rivelato i suoi incanti, e fatto presentire la gioia celeste. Gesù mi sorride quando, volta a lui, sospiro; e allora la mia fede non è rimessa alla prova. Lo sguardo del mio Dio, il suo sorriso che mi rapisce, ecco il cielo che è mio!

2 – Il mio cielo è in questo attrarre sulla Chiesa benedetta, sulla Francia in colpa e su ciascun peccatore, la grazia che si spande dal bel fiume di vita di cui la sorgente, o Gesù, è nel tuo cuore. Tutto posso ottenere quando, nel mistero, io parlo cuore a cuore col mio divino Re. Tale dolce orazione, in santa intimità, ecco il cielo che è mio!

3 – Il mio cielo è nascosto nella particola dove Gesù, il mio Sposo, si vela per amore. Vo attingendo la vita al divin focolare; e là m'ascolta, notte e giorno, il dolce Salvatore. Quale divino istante quando, o Benamato, nella tua tenerezza, vieni a trasformarmi in te! Questa unione d'amore, ed ineffabile ebbrezza, ecco il cielo ch'è mio!

4 – Il mio cielo è nel sentire in me la somiglianza col Dio che mi creò col suo soffio potente: il mio cielo è nel restargli sempre innanzi, è nel chiamarlo Padre nell’essere sua creatura; tra le. divine braccia non temo la tempesta: e la mia sola legge è il totale abbandono; riposargli sul Cuore accosto al santo Volto, ecco il cielo ch'è mio!

:5 – Ho trovato il mio cielo nella santa Trinità che m'alberga nel cuore, prigioniera d'amore. Là, contemplando il mio Dio, gli ripeto sicura che voglio amarlo  e servirlo sempre, senza scampo. Il mio cielo è dI sorridere a questo Dio che adoro quando mi si nasconde per provar la mia fede: sorridere, nell’aspettare che mi riguardi ancora, ecco il cielo ch’è mio!

7 giugno 1896
Domenica dopo la festa del Corpus Domini

S. TERESINA DI LISIEUX
POESIE 9

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Tutti i Santi si sono innamorati della devozione al Santissimo Sacramento. Infatti non c’è al mondo gioia più bella, tesoro più prezioso di Gesù sacramentato. Fra tutte le devozioni, poi, l’adorazione del Santissimo è la prima dopo i Sacramenti, la più cara a Dio, la più utile per noi.

Non ti rincresca dunque, mio caro lettore, di iniziarla anche tu. Lascia certe conversazioni vuote e intrattieniti, da oggi in poi, ogni giorno per un po’ di tempo, almeno mezz’ora o un quarto d’ora, in qualche Chiesa alla presenza di Gesù sacramentato: «Gustate e vedete come è buono il Signore: felice l’uomo che in lui si rifugia» (Sal 34 [35], 9). Fa’ questa esperienza e vedrai i frutti che ne ricaverai. 

Sappi che il tempo impiegato con devozione davanti al Santissimo è il tempo che più ti frutterà in questa vita, ti consolerà in morte e nell’eternità.

Sappi che guadagnerai più in un quarto d’ora di preghiera davanti al Santissimo che con tutti gli altri esercizi spirituali della giornata. […]

Sta’ pur certo che la persona che si trattiene raccolta davanti al Santissimo, Gesù sa consolarla tanto più del mondo col suo chiasso e divertimenti.

Che gioia starsene davanti a un altare con fede e devozione, e parlare familiarmente con Gesù, che sta proprio lì ad ascoltare ed esaudire chi Lo prega.

Alfonso Maria de' Liguori
Visite al santissimo Sacramento e a Maria santissima
Citta Nuova 43-45

 

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Ovunque tu vada cerca il posto dove c'è Gesù nel tabernacolo e va' a fare un pieno di Lui.

Don Oreste Bensi

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Dalla Notte oscura, libro I, cap. 6,5 
di San Giovanni della Croce

Quando alcuni si comunicano, tutta la loro preoccupazione consiste nel cercare qualche sensazione e qualche gusto più che nell’adorare e lodare umilmente Dio presente in loro. E si attaccano tanto a quest’idea che, se non vi trovano qualche gusto o consolazione sensibile, pensano di non aver fatto nulla. Questo è un modo molto umano di giudicare Dio. Non comprendono che il vantaggio più piccolo che procuri il santissimo sacramento è proprio il diletto dei sensi, mentre il più grande, quello invisibile, è la grazia divina.

Ciò spiega perché Dio, molto spesso, nega gusti e favori sensibili, proprio perché non li considerano con gli occhi della fede. Essi, invece, vogliono sentire e gustare Dio come se fosse comprensibile e accessibile, non solo su questo punto, ma anche negli altri esercizi di devozione. Tutto questo denota una grande imperfezione e una fede impura, contraria alla natura di Dio.

[Clicca qui per leggere l’intero capitolo]

[Clicca qui per leggere l'intero testo della Notte oscura]

Pensieri eucaristici 2015

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Come parla teneramente Gesù quando dà se stesso nella Santa Comunione. « La mia carne è veramente cibo e il mio sangue veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui.» Oh, cosa potrebbe fare di più il mio Gesù che darmi la sua carne come cibo? No, neppure Dio potrebbe fare di più né mostrarmi un amore più grande.

La Santa Comunione, come sottintende la parola stessa, e l'intima unione di Gesù con la nostra anima e il nostro corpo. Se vogliamo avere la vita e averla in abbondanza, dobbiamo vivere della carne di Nostro Signore. I santi compresero così bene questo, che spendevano ore intere per la preparazione e ancor più tempo per il ringraziamento. 
Teresa di Calcutta. “Meditazioni”, n.23-24, iBooks.

Jean Lafrance, Dimorare in Dio, Gribaudi, 229

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OFFRIRSI A DIO

Rivolgendosi ai cristiani di Roma, san Paolo li invita ad offrirsi a Dio: Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale (Rm 12, 1). Meditiamo per un po' su questo atteggiamento del cristiano che, nella verità della sua vita, offre a Dio qualcosa di se stesso. Prima di volgere l'attenzione al gesto dell'uomo è necessario scoprire da dove nasce un gesto di questo tipo. Invitando i cristiani ad offrirsi, Paolo si preoccupa di situarci nel dinamismo di questo dono. Non si tratta di offrirsi a Dio semplicemente con un movimento di generosità, ma di offrirsi per la misericordia di Dio. Vale a dire che prima di pensare ad offrirsi, bisogna aver accolto l'amore di Dio che si dona a noi in Gesù Cristo. Non si ripeterà mai abbastanza che l'offerta del nostro essere al Padre non è altro che una risposta alla sua iniziativa d'amore. Amandoci per primo, Dio ci trasforma radicalmente nel profondo del nostro essere a tal punto che l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (Rm 5, 5). Questa trasformazione si opera in modo privilegiato nell'Eucaristia. Incontrandoci, il Cristo si dona a noi nello stesso atto che lo ha spinto a donarsi al Padre. E da lì, ci porta ad offrirci nella sua stessa offerta, ci induce a fare della nostra esistenza una eterna offerta alla gloria del Padre. Così il cristiano, prima di produrre il frutto di opere esteriori, deve preoccuparsi di piantare e di far crescere dentro di sé l'albero della carità. Troppe persone generose vogliono darsi prima ancora di essersi accolte dalle mani di Dio, tanto che il loro amore rischia di essere aspro, teso e volontaristico. Praticamente, non c'è da sforzarsi ad amare ma, vivendo in modo povero e spoglio, ci si dispone ad accogliere la carità di Cristo nel proprio cuore.

 

     
Schermata 2015-09-01 alle 18.34.52 Noi portiamo all'altare un pane, frutto della terra e del lavoro dell'uomo, e riceviamo indietro lo stesso pane, ma consacrato. Allo stesso modo siamo chiamati a portare all'altare la nostra vita, così com'è, e a riceverla indietro dalle mani di Dio. È nella concretezza di quel pane e di quel vino il segreto per trasformare sia la nostra vita personale che quella della storia umana.

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L'Eucaristia  Farmaco di immortalità, Lipa, 8

 
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Jean Vanier
La comunità, luogo del perdono e della festa
Edizioni Qiqajon, 223

 [Clicca sull'immagine della copertina del libro sotto
per leggere tutto il capitolo da cui è tratto il testo]

Al momento della consacrazione il sacerdote dice le parole di Gesù: «Ecco il mio corpo offerto per voi, mangiatene tutti» È la parola «offerto per voi» che m'impressiona. Solo quando si è magiato questo corpo si può offrire per gli altri. Solo Dio può inventare una simile realtà. Questo sacrificio, che è anche una festa di nozze, ci chiama ad offrire le nostre vite al Padre, a diventare pane per gli altri e a rallegrarci per la festa di nozze dell'Amore.

Essendo all'Arca [una delle case-famiglie per persone con handicap mentali fondate da Jean Vanier] sono molto sensibile alla realtà del corpo. Molti di quelli che abbiamo accolto non possono parlare, ma esprimono tutto il loro amore e le loro paure attraverso il corpo. Il corpo è più fondamentale della parola. Il Corpo di Cristo è più fondamentale della Sua Parola. Molte persone che hanno un handicap non possono capire la Parola, ma possono mangiare il Corpo di Cristo. E sembra che abbiano una profonda intelligenza di ciò che significa la Comunione. Perché vivono della comunione tra le persone, sono eminentemente preparate alla Comunione con il Cristo.

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ALEXANDER SCHMEMANN
L’Eucaristia sacramento del Regno
Qiqajon-Bose, 280-283.
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L'ultima cena e la croce

Cristo è stato crocifisso da questo mondo, dal suo peccato, dal suo odio, dalla lotta che combatte contro Dio. Nella storia, nel nostro tempo terreno, l'iniziativa della croce è sempre, partita dal peccato, cosi come continua a essere sua anche ora, in ciascuno di noi, quando con i nostri peccati dentro di noi rimettiamo il Figlio di Dio in croce e lo insultiamo (cf Eb 6,6).

Ora, se la croce, strumento di un'esecuzione infamante, è divenuta il simbolo venerabile della nostra fede, della speranza e dell'amore, se la Chiesa continua incessantemente a glorificarne la potenza paradossale e indefettibile, a vedere in essa "la bellezza dell'universo" e "la guarigione del creato", a confessare che "la gioia è entrata nell'universo tramite la croce", tutto questo certamente avviene in primo luogo perché, attraverso quella croce che aveva incarnato l'essenza stessa del peccato – cioè la lotta contro Dio – il peccato è stato vinto; in secondo luogo perché la morte sulla croce, nella quale la morte che regnava sul mondo sembrava celebrare il suo definitivo trionfo, quella morte è stata annientata; infine, perché dalle profondità di questa vittoria della croce si è irradiata la gioia della resurrezione. Ma cosa può aver trasformato la croce in una simile vittoria, e continua a farlo, se non l'amore di Cristo, quell' amore divino che durante l'ultima cena Cristo ha rivelato essere la sostanza stessa e la gloria del regno di Dio? E in quale occasione, se non nell'ultima cena, è stato offerto il dono di questo amore nella sua pienezza, quel dono che ha reso inevitabile in questo mondo la croce (cioè il tradimento, le sofferenze, la crocifissione e la morte)? È proprio a questa relazione tra ultima cena e croce, nella quale si manifesta il Regno e la sua vittoria, che rendono testimonianza sia l'evangelo che la Liturgia (soprattutto gli uffici della Settimana santa della passione, di straordinaria profondità).

In essi l'ultima cena viene costantemente ricollegata con la notte che la circonda da ogni parte e nella quale la luce della festa dell'amore s'irradia con particolare forza, quando, nella camera alta, grande e già pronta (cf Mc 14,I5), Cristo la celebra con i discepoli. E la notte del peccato, l'essenza di questo mondo. Ed ecco che la notte s'infittisce all'estremo, pronta a inghiottire quest'ultima luce che brilla in essa. Già "i principi si sono radunati insieme, contro il Signore e contro il suo Cristo" (At 4,26). Sono già stati versati i trenta denari, prezzo del tradimento. Già la folla eccitata dai suoi capi, armata di spade e bastoni, irrompe sulla via del Getsemani. Ma le tenebre di quella notte pesano anche sull'ultima cena (e questo è di importanza capitale per una comprensione ecclesiale della croce). Cristo sa che la mano di chi lo consegna è con lui sulla tavola (cf Lc 22,21). È proprio dall'ultima cena, dalla sua luce, che "preso il boccone" (Gv I3,30) Giuda esce in quella notte terribile, seguito quasi subito da Cristo. E se gli uffici del Giovedì santo, giorno in cui si commemora in modo particolare l'ultima cena, sono un continuo intrecciarsi di gioia e di afflizione, se la Chiesa fa memoria ancora e incessantemente non soltanto della luce, ma anche delle tenebre che l'hanno oscurata, è perché in queste due uscite successive, di Giuda e di Cristo, fuori dallo stesso chiarore incontro alla stessa notte, la Chiesa vede e riconosce l'origine della croce come mistero del peccato e come mistero della vittoria sul peccato.

Il mistero del peccato. L'uscita di Giuda infatti è il culmine e la consumazione del peccato, la cui origine si colloca nel paradiso: l'amore dell'uomo abbandona Dio, sceglie se stesso e non Dio. Inizia quella scelta di decadenza che determina dall'interno l'intera vita, l'intera storia del mondo, di questo mondo caduto, che giace nel male sotto il potere del suo principe, il divisore. In quel momento, con l'uscita di Giuda, apostolo e traditore, nella notte, la storia del peccato, dell'amore accecato, pervertito, caduto e divenuto rapina – perché accaparra per sé la vita che è stata donata per essere comunione con Dio, quella storia giunge al termine. Il significato mistico e inquietante di quell'uscita consiste precisamente nel fatto che Giuda esce in realtà dal paradiso, lo fugge, ne viene cacciato. Egli aveva assistito all'ultima cena, i suoi piedi erano stati lavati da Cristo, aveva ricevuto nelle mani il pane dell' amore di Cristo, il Signore si era donato a lui in quel pane. Egli aveva visto, sentito, toccato con le sue mani il regno di Dio. Ed ecco che, proprio come Adamo, perpetrando il peccato originale del primo uomo, spingendo al limite estremo la logica spaventosa del peccato, egli non voleva più saperne di quel Regno. In Giuda aveva vinto il mondo, con la sua volontà antitetica a quella di Dio e il suo amore decaduto. Di conseguenza, secondo la stessa logica, tale volontà non poteva non diventare quella di uccidere DioDopo l'ultima cena, Giuda non ha più un luogo dove andare se non incontro alle tenebre del deicidio. E quando questo sarà perpetrato, quando tale desiderio sarà stato soddisfatto, con la vita "per sé" che lo anima, per Giuda non ci sarà altra via di uscita se non l'autodistruzione.

Il mistero della vittoria. In Cristo, che tramite il dono di se stesso nell'ultima cena manifesta il suo Regno e la sua gloria, il Regno esce nella notte di questo mondo. Dopo l'ultima cena anche Cristo non ha più altro luogo ave andare se non all'appuntamento, al duello sino alla fine con il peccato e la morte. E questo perché i due regni, quello di Dio e quello del principe di questo mondo, non possono coesistere; perché, per distruggere il potere del peccato e della morte, per riportare a sé la sua creatura che gli era stata sottratta dal diavolo, e per salvare il mondo, Dio ha donato il suo unico Figlio. Cosi, con l'ultima cena, con la manifestazione del regno dell'amore, Cristo si condanna alla croce. Attraverso di essa il regno di Dio, segretamente manifestato durante l'ultima cena, entra in questo mondo. E con quell'ingresso si trasforma in lotta e vittoria.

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Dal "Il libro" di Angela da Foligno, Ed. S. Paolo, 271ss

TRE VERITÀ

È necessario che vediamo e consideriamo bene tre cose nel santo Sacrificio; si tratta di tre grandi verità. Non dubito, anzi sono certa che qualunque anima che le capisse veramente, al vedere come fu amata non potrebbe essere così arida da non sentirsi subito invasa dall’amore. È necessario che l’anima entri nel Dio-uomo e guardi ciò che ha istituito nel santo Sacrificio.

Ammiri anche l’ineffabile amore con cui Egli ha trovato ogni modo per poter rimanere in tutto con noi.

Perciò ha istituito questo santissimo Sacrificio, non solo in memoria della sua morte, che è la nostra salvezza, ma anche per rimanere tutto e sempre con noi. Chiunque vuole accedere alla visione di questa profondità, è necessario che abbia buoni occhi.    

Ora comincio a parlare delle tre cose che è necessario considerare nel santo Sacrificio, cioè dei due sguardi del Dio-uomo e del modo in cui l’anima deve accedere alla loro visione.

Il primo sguardo è quello dell’ineffabile amore che Egli aveva per noi; dobbiamo vedere come era tutto appassionato d’amore per noi e si lasciò a noi tutto e per sempre.

Il secondo è lo sguardo dell’indicibile dolore mortale che Egli aveva per noi, dobbiamo vedere come, partendo, cioè allontanandosi per la morte dolorosissima, dovette passare attraverso quei dolori, che erano acutissimi in modo inenarrabile e in cui doveva restare abbandonato.

TRASFORMAZIONE NELL'AMORE E NEL DOLORE DI GESÙ CRISTO

A me sembra che coloro che vogliono celebrare e ricevere questo Sacrificio debbano scrutare questa verità. L’anima non se ne allontani, ma vi dimori e vi resti, perché il primo sguardo del Dio-uomo per il genere umano era tanto benigno che si deve ben notare l’ineffabile amore che dimostrò nel momento in cui decise di lasciare tutto se stesso a noi nel santissimo Sacrificio.

Notate e vedete chi è Colui che volle rimanervi! Egli è Colui che è e Lui è restato tutto in questo santissimo Sacrificio! Perciò nessuno si meravigli del fatto che Egli possa stare simultaneamente su tanti altari, al di là del mare e al di qua, e che stia così lì come qui e così qui come lì. Egli, infatti, disse: «Io, che sono Dio, sono per voi incomprensibile»[1] e ancora: «Io, che sono Dio, ho operato senza di voi, agisco senza di voi e nulla mi è impossibile fare» [2]. Perciò di fronte a quello che non capite, stringetevi le spalle[3].

Quale anima, vedendo questo sguardo amorosissimo del Figlio, è così crudelissima da non trasformarsi subito tutta nell’amore? Quale anima può vedere lo sguardo addolorato e amareggiato di Colui che doveva essere abbandonato nel dolore di tutti i dolori, sia visibili che invisibili, senza subito trasformarsi tutta nel dolore? Quale anima, notando che Egli amò e decise di rimanere totalmente con noi nel santissimo Sacrificio, sarà così fuori da ogni amore, da non trasformarsi tutta nell’amore?

Certamente fu tanto amabilissimo il suo sguardo d’amore per noi che, sebbene la morte fosse vicina ed Egli provasse dolori ineffabilmente acutissimi, mortali e assolutamente incomprensibili, per il fatto che stavano insieme tutti i dolori dell’anima e del corpo, tuttavia, quasi dimentico di Sé, non si tirò per questo indietro, tanto grande fu l’amore che nutrì per noi.

L’amore divino ha una regola: unisce sempre a Sé la cosa amata e la porta fuori di se stessa e di tutte le cose create; essa è assolutamente nell’Increato. Allora l’anima diventa capace di capire come a istituire questo santissimo Sacrificio fu tutta la Trinità.

A quel punto si volge a vedere l’altro sguardo del Dio e uomo, cioè quello segnato dalla presenza della morte e di tutti i dolori. Come fu trasformata nell’amore, attraverso lo sguardo dell’amore, così l’anima viene trasformata nel dolore, attraverso lo sguardo dolorosissimo dell’Amato abbandonato. Infatti, mentre l’anima lo ammira in quello sguardo amareggiato, Egli la trasforma tutta nel dolore; lei non trova nessun rimedio di consolazione e diventa lo stesso dolore.

Tutti quelli che vogliono essere figli fedelissimi del santo Sacrificio continuino a considerare questa verità. Come il Dio-uomo, guardandoci con lo sguardo amareggiato, fu tutto solamente in noi, pure noi dobbiamo essere tutti per Lui.

Se noi non vedessimo lo sguardo amareggiato e addolorato, tanta sarebbe la letizia e la gioia derivante dalla visione dello sguardo amoroso, che l’anima verrebbe meno.

Se non vedessimo lo sguardo amorosissimo del Figlio, tanto sarebbe il dolore derivante dalla visione dello sguardo amareggiato e addolorato, che l’anima verrebbe meno. L’uno, invece mitiga l’altro.            


[1] Non è una citazione biblica precisa; cf Rm 11,33-36.

[2] Non è una citazione biblica precisa; cf Lc 1,37.

[3] Cioè: arrendetevi

 

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È tempo ormai di essere tutto di Dio. Il nostro divin Salvatore offerto tutti i giorni dalle nostre mani in sacrificio, ci ricorda ciò che anche noi dobbiamo fare: in unione con questa adorabile Vittima offriamoci totalmente: pensieri, affetti desideri, azioni, tutto sia per Dio che si dà tutto a noi! In Lui solo sia ogni nostra soddisfazione, ogni ricchezza, il nostro riposo, ogni consolazione, tutta la nostra gioia! La sua maggior gloria sia il nostro motto, il nostro grido di guerra; lavorare per la nostra salvezza e per quella del prossimo, il nostro nutrimento; soffrire per questo scopo, il nostro cibo delizioso; avanzare a grandi passi nella perfezione, la nostra occupazione di tutti i momenti; morire a tutte le creature, morire a noi stessi, vivere per Dio solo: questo dobbiamo desiderare sulla terra. Quando potremo dire col grande Apostolo che Gesù Cristo vive in noi? Ahimè! Quanto cammino ci resta da fare per arrivarvi! Non disperiamo, tuttavia, poiché tutti i giorni riceviamo il pane della forza e della vita». 

(L’esperienza di Dio. «Note intime», Città Nuova, 71)

Sabato 14 febbraio  2015 
GIORNATA DELL’ADORAZIONE SILENZIOSA
Per i turni di adorazione telefonare al Centralino  (06 2266016)

 

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Nell’Eucaristia si comunica l’amore del Signore per noi: un amore così grande che ci nutre con Sé stesso; un amore gratuito, sempre a disposizione di ogni persona affamata e bisognosa di rigenerare le proprie forze. Vivere l’esperienza della fede significa lasciarsi nutrire dal Signore e costruire la propria esistenza non sui beni materiali, ma sulla realtà che non perisce: i doni di Dio, la sua Parola e il suo Corpo.

Se ci guardiamo attorno, ci accorgiamo che ci sono tante offerte di cibo che non vengono dal Signore e che apparentemente soddisfano di più. Alcuni si nutrono con
il denaro, altri con il successo e la vanità, altri con il potere e l’orgoglio. Ma il cibo che ci nutre veramente e che ci sazia è soltanto quello che ci dà il Signore! Il cibo che ci offre il Signore è diverso dagli altri, e forse non ci sembra così gustoso come certe vivande che ci offre il mondo. Allora sogniamo altri pasti, come gli ebrei nel deserto, i quali rimpiangevano la carne e le cipolle che mangiavano in Egitto, ma dimenticavano che quei pasti li mangiavano alla tavola della schiavitù. Essi, in quei momenti di tentazione, avevano memoria, ma una memoria malata, una memoria selettiva. Una memoria schiava, non libera.

Ognuno di noi, oggi, può domandarsi: e io? Dove voglio mangiare? A quale tavola voglio nutrirmi? Alla tavola del Signore? O sogno di mangiare cibi gustosi, ma nella schiavitù? Inoltre, ognuno di noi può domandarsi: qual è la mia memoria? Quella del Signore che mi salva, o quella dell’aglio e delle cipolle della schiavitù? Con quale memoria io sazio la mia anima?

Il Padre ci dice: «Ti ho nutrito di manna che tu non conoscevi». Recuperiamo la memoria. Questo è il compito, recuperare la memoria. E impariamo a riconoscere il pane falso che illude e corrompe, perché frutto dell’egoismo, dell’autosufficienza e del peccato. (Omelia del Corpus Domini 19/6/2014)

Papa Francesco

Sabato 17 gennaio 2015 

GIORNATA DELL’ADORAZIONE SILENZIOSA
Per i turni di adorazione telefonare al Centralino  (06 2266016)

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Nell’Eucaristia si comunica l’amore del Signore per noi: un amore così grande che ci nutre con Sé stesso; un amore gratuito, sempre a disposizione di ogni persona affamata e bisognosa di rigenerare le proprie forze. Vivere l’esperienza della fede significa lasciarsi nutrire dal Signore e costruire la propria esistenza non sui beni materiali, ma sulla realtà che non perisce: i doni di Dio, la sua Parola e il suo Corpo.

Se ci guardiamo attorno, ci accorgiamo che ci sono tante offerte di cibo che non vengono dal Signore e che apparentemente soddisfano di più. Alcuni si nutrono con
il denaro, altri con il successo e la vanità, altri con il potere e l’orgoglio. Ma il cibo che ci nutre veramente e che ci sazia è soltanto quello che ci dà il Signore! Il cibo che ci offre il Signore è diverso dagli altri, e forse non ci sembra così gustoso come certe vivande che ci offre il mondo. Allora sogniamo altri pasti, come gli ebrei nel deserto, i quali rimpiangevano la carne e le cipolle che mangiavano in Egitto, ma dimenticavano che quei pasti li mangiavano alla tavola della schiavitù. Essi, in quei momenti di tentazione, avevano memoria, ma una memoria malata, una memoria selettiva. Una memoria schiava, non libera.

Ognuno di noi, oggi, può domandarsi: e io? Dove voglio mangiare? A quale tavola voglio nutrirmi? Alla tavola del Signore? O sogno di mangiare cibi gustosi, ma nella schiavitù? Inoltre, ognuno di noi può domandarsi: qual è la mia memoria? Quella del Signore che mi salva, o quella dell’aglio e delle cipolle della schiavitù? Con quale memoria io sazio la mia anima?

Il Padre ci dice: «Ti ho nutrito di manna che tu non conoscevi». Recuperiamo la memoria. Questo è il compito, recuperare la memoria. E impariamo a riconoscere il pane falso che illude e corrompe, perché frutto dell’egoismo, dell’autosufficienza e del peccato. (Omelia del Corpus Domini 19/6/2014)

Papa Francesco

Sabato 17 gennaio 2015 
GIORNATA DELL’ADORAZIONE SILENZIOSA
Per i turni di adorazione telefonare al Centralino  (06 2266016)

Pensieri eucaristici 2014

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Pensiero eucaristico di del B. Charles de Faucould, Opere spirituali, San Paolo, 351-352.

 

«Ecco, Io sono con voi sino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Sono le ultime parole che Tu pronunci su questa terra dileguandoTi verso il cielo! O mio Dio come sono dolci, come sono divinamente dolci!, sono proprio le parole del tuo Cuore…

Sempre con noi mediante la santa Eucaristia, sempre con noi mediante la tua grazia, sempre con noi mediante la tua Scienza che ci vede senza sosta, sempre con noi mediante il tuo Amore, il tuo Cuore che ci ama senza sosta… Oh sì, mio Dio, Tu sei sempre con noi, e in quante maniere e con quale Amore, con quale Cuore! […] 

O mio Dio, quale felicità! Quale felicità! Dio con noi, Dio in noi, Dio nel quale ci muoviamo e siamo, Dio che è a due metri da me in questo tabernacolo, o mio Dio che cosa ci abbisogna di più? Quanto siamo felici! […]

Nella santa Eucaristia Tu sei tutto intero, completamente vivo, o mio Beneamato Gesù, così pienamente come lo eri nella casa della Santa Famiglia a Nazareth, nella casa di Maddalena a Betania, come lo eri con i tuoi apostoli… Allo stesso modo Tu sei qui, o mio Beneamato e mio Tutto! Oh! Non stiamo mai fuori dalla presenza della santa Eucaristia, durante uno solo degli istanti nei quali Gesù ci permette di starci.  

Amen.

 

Sabato 13 dicembre 2014 
GIORNATA DELL’ADORAZIONE SILENZIOSA
Per i turni di adorazione telefonare al Centralino  (06 2266016)

 

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Novmebre 2014 – Giornata dell'Adorazione Silenziosa: Sabato 15 novembre 2014

Non è necessario che formuliate tanti pensieri e tante intenzioni prima della comunione: basta che li abbiate nel fondo dello spirito. Senza riempirvi o moltiplicarvi, comunicatevi semplicemente per Gesù. Notate che dico: per Gesù e non più per voi, per la vostra perfezione, ma perché Gesù sia vivo e regni in voi, perché rientriate in Lui attraverso Lui e i suoi disegni si compiano in voi e vi abbandoniate così. Molto semplicemente alla sua volontà. Egli vi giri e vi rigiri come gli piacerà: che vi innalzi o vi abbassi, che vi dia o vi tolga, che vi accarezzi o vi respinga, vi metta nella luce o vi tenga nelle tenebre, vi dia dolcezza o amarezza, vi accolga o vi abbandoni, che proviate gioia o tristezza, che sentiate o non sentiate, nell’abbondanza o nella carestia, tutto deve esservi indifferente. [Lettere di amicizia spirituale, Ancora, 192]                   

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Ottobre 2014 – Giornata dell'Adorazione Silenziosa: Sabato 25 ottobre 2014

Pane e vino diventano il suo Corpo e Sangue. A questo punto però la trasformazione non deve fermarsi, anzi è qui che deve cominciare appieno. Il Corpo e il Sangue di Cristo sono dati a noi affinché noi stessi veniamo trasformati a nostra volta. Noi stessi dobbiamo diventare Corpo di Cristo, consanguinei di Lui. Tutti mangiamo l'unico pane, ma questo significa che tra di noi diventiamo una cosa sola. L'adorazione, abbiamo detto, diventa unione. Dio non è più soltanto di fronte a noi, come il Totalmente Altro. È dentro di noi, e noi siamo in Lui.

Omelia del 21/a Colonia 8/2005 a Colonia –  [Clicca qui per leggerre l’intera omelia]

 

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Come sotto il segno del pane si fa presente realmente il Cristo, così sotto il segno della nostra condizione umana di pena, di sofferenza, di umiltà, di povertà si fa presente la grazia, la vita, la gloria di Gesù risorto.                      Nello Spirito Santo, Ed. Fondazione DIvo Barsotti, 30

 

 

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«Fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa» l'Eucaristia è il sacramento dell'amore: di Cristo che sceglie di offrire se stesso, del suo sacrificio per noi; e dell'uomo che attraverso di essa si lascia continuamente raggiungere da questo dono, si lascia trasformare dal sacramento del suo Corpo e del suo Sangue che lo rende a sua volta capace di donarsi e di dare la vita per gli altri. 

L'Eucaristia è al centro di uno scambio tra Dio e l'uomo che non è avvenuto solo una volta nella storia ma si rinnova sulle migliaia di mense di ogni giorno in cui il Signore torna a farsi pane e vino, a spezzarsi nelle messe del mondo, a frantumarsi e a fare dono di sé agli uomini. 

E di nuovo gli uomini tornano a mangiare di questo pane e a bere di questo vino, tornano a nutrirsi di questo mistero per donarsi di nuovo, per farsi nuovamente «pane spezzato ad altri uomini» (Omelia 23.10.05) e parteciparsi in tal modo tra di loro la fatica e l'impegno nella fede e nella vita. «Il Corpo e il Sangue di Cristo sono dati a noi affinché noi stessi veniamo trasformati a nostra volta» (Omelia 21.8.05). Noi stessi dobbiamo diventare Corpo di Cristo per fare di noi una grande offerta che, come quella di Cristo sull’altare, ci vuole ogni giorno vittime e agnelli, ostie a nostra volta, particole con cui noi stessi dobbiamo nutrire gli altri perché si realizzi anche oggi il mistero del suo e nostro sacrificio. 

L'Eucaristia è il sacramento dell'unione con il Signore vivente: «Dio non è più soltanto di fronte a noi, come il Totalmente Altro. È dentro di noi, e noi siamo in Lui. La sua dinamica ci penetra e da noi vuole propagarsi agli altri e estendersi a tutto il mondo, perché il suo amore diventi realmente la misura dominante del mondo» (Omelia 21.8.05). 

Essa ci rende partecipi dell'azione di Cristo che ci attrae a sé e «ci fa uscire da noi stessi per fare di noi tutti una cosa sola con Lui» (Omelia 29.5.05).

 

 

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Ricordo ancora che una volta madre Teresa mi disse che non puoi vedere Gesù nei poveri se non puoi vederlo nell’Eucaristia. A quel tempo, quell’osservazione mi è sembrata piuttosto ispirata e pia, ma ora che ho passato un anno con persone portatrici di handicap comincio a capire meglio che cosa intendeva dire. Non è davvero possibile vedere Gesù negli esseri umani se non lo si può vedere nella realtà nascosta del pane che scende dal cielo. Negli esseri umani puoi vedere questo, quello ed altro: angeli e demoni, santi e bruti, anime benevole e malevoli maniaci del potere. È però soltanto quando hai imparato dall’esperienza personale quanto Gesù tenga a te e quanto Egli desideri essere il tuo cibo quotidiano, che impari a vedere ogni cuore umano come dimora di Gesù. Quando il tuo cuore è toccato dalla presenza di Gesù nell’Eucaristia, allora ricevi nuovi occhi capaci di riconoscerlo negli altri. Il cuore parla al cuore. Gesù nel nostro cuore parla a Gesù nel cuore degli altri uomini e donne. Questo è il mistero eucaristico di cui siamo parte.

La sola cosa necessaria,
Queriniana198-199.

 

 

 

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È inconcepibile, è straordinario,

è qualcosa che incide sempre più profondamente
nel mio animo quel tuo stare lì

in silenzio nel tabernacolo.

Vengo in chiesa la mattina e lì trovo.

Corro in chiesa quando t’amo e lì ti trovo.

 

E ogni volta

mi dici una parola

mi rettifichi un sentimento,

vai componendo in realtà con note diverse

un unico canto,

che il mio cuore sa a memoria

e mi ripete una parola sola:
eterno amore.

 

Oh! Dio, non potevi inventare di meglio.

 

Quel tuo silenzio

in cui il chiasso della nostra vita si smorza,

quel palpito silenzioso

che ogni lacrima assorbe;

quel silenzio… quel silenzio…,

più sonoro di un angelico concento;

quel silenziom che alla mente dice il verbo,

al cuore dona il balsamo divino;

 

quel silenzio in cui ogni voce si ritrova incanalata,

ogni prece si risente trasformata;

quella tua presenza arcana…

 

Lì è la vita, lì è l’attesa;

lì il nostro piccolo cuore si riposa

per riprendere senza posa il suo cammino.

 

 

Chiara Lubich
La dottrina spirituale

Città Nuova

199-200

 

 

Nostro Signore ci ha lasciato il suo Corpo nella S. Eucaristia perché fosse il memoriale della sua passione, il sacrificio dei nostri altari, il nutrimento delle nostre anime. In questo mistero di fede della S. Eucaristia, dandosi a noi, Gesù Cristo nasconde il suo dono ai nostri sensi, lo splendore della sua bontà, della maestà, delal gloria che rapisce i beati del cielo, l’olezzo del suo corpo glorioso che profuma il paradiso; ma la fede, supplendo al difetto dei sensi, deve far sì che rimaniamo presi da stupore, tanto trasportati dall’amore e dalla gioia di fronte a questo mistero divino, come se ciò che esso nasconde ci fosse visibile.

 

P. Louis Lallemant sj, La Dottrina Spirituale, VI Principio, II, 3 §1.

 

                                                          

La nostra Pasqua, è il Cristo che noi riceviamo nel sacramento, come gli apostoli, riuniti tutti insieme alla Cena intorno al loro Maestro, lo ricevettero sotto forma di un alimento che nutre il corpo. E ciascuno di loro ci troverà un alimento eterno, per mezzo della fede, dell’amore e del desiderio, che sono come la bocca dell’anima, ed è così che loro ricevettero nel cibo il corpo di Nostro Signore Gesù Cristo, con tutte le sue membra, non tuttavia secondo la quantità materiale di questo Corpo, seduti alla mensa della cena.

 

[Clicca qui per leggere il contesto del testo del B. Jean Ruysbroeck]

 

Tutti sappiamo, quando guardiamo la croce, quanto Dio ci ha amato. Quando guardiamo l'Eucarestia sappiamo quanto Egli ci ama anche adesso. Ecco perché si è fatto Pane di vita, per soddisfare la nostra fame del suo amore, e poi, come se non bastasse, è diventato Lui stesso l'affamato, colui che è nudo, senza casa, così da offrirci la possibilità di soddisfare la sua fame del nostro amore umano. Poiché per questo siamo stati creati, per amarlo e per essere amati.

 

Pensieri eucaristici 2013

 

   

SABATO 7 DICEMBRE 2013
Per i turni di adorazione, telefonare al Centralino di Casa Lanteri 06 2266016

Tu, Trinità eterna, sei per noi mensa, cibo e servitore. Tu, eterno Padre, sei quella mensa che ci dà in cibo l’agnello tuo Figlio unigenito. Egli è per noi cibo soavissimo, sia per la sua dottrina con cui ci nutre della tua volontà, sia per il sacramento che riceviamo nella santa comunione, il quale ci pasce e conforta mentre siamo pellegrini e viandanti in questa vita. Lo Spirito Santo è veramente servitore per noi, perché ci amministra questa dottrina illuminando l’occhio del nostro intelletto e ispirandoci a seguirla; e ci amministra anche la carità del prossimo e la fame del cibo delle anime e della salvezza di tutto il mondo, per onore di te, Padre. Perciò vediamo che le anime illuminate da Te, luce vera, mai lasciano passare un po’ di tempo senza mangiare questo cibo soave per tuo onore. (Orazione 22)

 

 

Per scaricare tutte 
le Opere di S. Caterina da Siena clicca qui                        

 

Come le membra vivono in virtù della testa e del cuore, così chi mangia Me, dice il Signore, anch’egli vivrà in virtù di Me (Gv 6,57). Vive certo anche per effetto del cibo, ma ben altra è la natura del Sacramento. Il cibo, non essendo vivente, per sé non può immettere in noi la vita; ma, in quanto sostenta la vita già presente nel corpo, è ritenuto causa di vita per quelli che lo prendono. Invece il Pane di  vita, Lui stesso è vivente e per Lui veramente vivono coloro ai quali si comunica.

 

Sicché, mentre il nutrimento si trasforma in chi l'ha mangiato, e il pesce o il pane o qualunque altro cibo diventano sangue dell'uomo, qui accade tutto il contrario. È il pane di vita che muove chi se ne nutre, lo trasforma e se lo assimila; siamo noi ad essere mossi da Lui e a vivere della vita che è in Lui, grazie alla sua funzione di testa e di cuore. Il Salvatore stesso, per rivelarci che non alimenta in noi la vita al modo dei cibi, ma che, possedendola in sé, la inspira in noi, come il Cuore o la testa la danno alle membra, dice di essere il Pane vivo (Gv 6,51) e aggiunge: «Chi mangia Me anch’egli vivrà in virtù di Me» (Gv 6,57).

 

Accostandoci al santissimo Sacramento con grande spirito di fede e di amore, una sola comunione credo che basti per lasciarci ricche. E che dire di tante? Ma sembra che ci accostiamo al Signore unicamente per cerimonia: ecco perché ne caviamo poco frutto. – O mondo miserabile che acciechi chi vive in te, onde non veda i tesori che potrebbe acquistare con l' eterne ricchezze!… 

Pensieri sull’amore di Dio, 13

 

 

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Da: "Un anno con Don Bosco".
Meditazioni quotidiane. Ed. Piemme 1987, 106-107.

La presenza di Gesù è un tesoro che avremmo invano cercato sulla terra se Egli non ci fosse rimasto per amor nostro. Ma Egli è là, in mezzo a noi, ci apre le sue braccia e il suo cuore. Dove potremmo trovare un amico che capisca le nostre pene e vi partecipi, un orecchio che non si stanchi mai di ascoltarci, una voce che non si stanchi di dirci le parole di consolazione più adatte per fortificarci e sollevarci? Andiamo dunque a Gesù. Il pane dell’Eucaristia dovrebbe essere il pane quotidiano dell’anima che soffre, perché è un pane che fortifica e che consola; esso ha la virtù di rendere dolci le lacrime più amare, di rendere facili i sacrifici maggiori e più dolorosi.

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Da: Alfred Monnin, Il Curato d'Ars. San Giovanni Maria Vianney. La prima biografia. Paris 1861.
«Andate alla Comunione, fratelli miei, andate a Gesù con amore e fiducia! Andate a vivere di Lui, se volete vivere per Lui. Né state a dirmi che avete troppo da fare. Il divino Salvatore non ha detto: Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi; venite, ed io vi ristorerò? Potreste voi resistere ad un invito così pieno di tenerezza e di amicizia? Non dite di non esserne degni. È vero, non ne siete degni, ma ne avete bisogno. Se il Signore nostro avesse guardato al nostro merito, non avrebbe istituito mai questo suo Sacramento d’amore; poiché nessuno al mondo ne è degno, né i Santi, né gli Angeli, né gli Arcangeli, né la santa Vergine;… ma Egli ha guardato ai nostri bisogni, e chi è che non ha bisogni? Non mi dite che siete peccatori, che avete troppe miserie e che perciò non osate accostarvici. Sarebbe come dirmi che siete troppo ammalati, e che perciò non volete vedere il medico».

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Tratto da: Edith Stein, Teresa Benedetta della Croce,  Pensieri, Ed OCD 2008.
Vivere eucaristicamente significa uscir fuori dalla limitazione della propria vita e trapiantarsi nell’immensità della vita di Cristo. Chi visita il Signore nella sua casa, non  vorrà sempre  importunarlo  di sé e  delle proprie faccende, ma comincerà a interessarsi delle cose del Signore.  Solo con la forza della grazia, la natura può essere liberata dalle sue ferite, innalzata alla sua vera purezza e resa pronta ad accogliere la vita divina. E questa vita divina è quella forza motrice intima da cui sgorgano le opere di carità. Chi vuol mantenerla perennemente in sé deve nutrirsi continuamente a quelle sorgenti da cui essa sgorga senza posa, i Sacramenti, soprattutto l’Eucarestia.

Da: DON TONINO BELLO, Cirenei della gioia, San Paolo 2004, 54-55.
“ …non bastano le opere di carità, se manca la carità delle opere. Se manca l’amore da cui partono le opere, se manca la sorgente, se manca il punto di partenza che è l’Eucaristia, ogni impegno pastorale risulta solo una girandola di cose.
Dobbiamo essere dei contempl-attivi, con due t, cioè della gente che parte dalla contemplazione e poi lascia sfociare il suo dinamismo, il suo impegno nell’azione.
La contempl-attività, con due t, la dobbiamo recuperare all’interno del nostro armamentario spirituale. […] la necessità della preghiera, la necessità dell’abbandono in Dio, la necessità di una fiducia straordinaria, di coltivare l’amicizia del Signore, di poter dare del tu a Gesù Cristo, di poter essere suoi intimi.”
Da: S. Agostino d’Ippona, Confessioni, VII, 10, 16.
[…] Hai abbagliato la debolezza della mia vista, splendendo potentemente dentro di me. Tremai di amore e di terrore. Mi ritrovai lontano come in una terra straniera, dove mi pareva di udire la tua voce dall’alto che diceva: «Io sono il cibo dei forti, cresci e mi avrai. Tu non trasformerai me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu ad essere trasformato in me.
Pensieri eucaristici 2012
Sabato 15 dicembre

Da: Louis Lallemant, Dottrina Spirituale. Sesto Principio, 3, §2.
Non possiamo immaginare quanto Nostro Signore ami la vita nascosta. Egli è nascosto in tutti i suoi stati. È nascosto nel seno del Padre, nel grembo della Madre, nella sua nascita, nella sua infanzia, nel suo esilio in Egitto, nella sua dimora a Nazaret, nella sua vita di ogni giorno, nell’ignominia della sua morte, nel mondo dopo la sua Risurrezione, in cielo dopo la sua Ascensione e nella santa Eucaristia, che si può chiamare il grande mistero della vita nascosta. Quando si ama Gesù Cristo si ama stare con lui. «La vostra vita è nascosta con Cristo in Dio» (Col 3,3).

Sabato 3 novembre Da: MARIAGRAZIA MAGRINI, in "Di luce in luce. Un sì a Gesù". Chiara Badano, S. Paolo, 2008
Poco tempo prima di accostarsi alla comunione, Chiara in un compito in classe aveva scritto: «Dice Cristo: “Chi mangia con me sta sotto la mia protezione. È mio fratello. Mio amico. Abita a casa mia”. Aprici gli occhi, Signore, perché possiamo vedere che ci inviti a pranzo, che ci dai il pane. Aprici gli occhi, perché possiamo vedere la fame degli altri. Tu ci dai il pane, tu ci dai il tuo amore. Aiuta noi pure a donare ciò che abbiamo ricevuto: pane e amore».

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GIORNATA DELL'ADORAZIONE SILENZIOSA
Pensiero Eucaristico di P. Louis Chardon op

Da: Louis Chardon, La Croce di Gesù, Secondo Discorso, § 546, Edizioni Studio Domenicano
   È in questo augusto sacramento che si esercitano principalmente l’amore di Dio e l’amore dell’uomo. Se Gesù ama, è perché vuole essere sommamente amato. Se comunica il suo amore, è per far meritare alla sua creatura l’amore che deve essere la sua ricompensa.
   Tant’è vero che l’amore è per se stesso tutta la sua ragione, tutta la sua causa, tutto il suo merito, tutto il suo premio. Gesù si dona nell’Eucaristia, ma vuole essere desiderato. Invita, ma vuole essere ricercato.
Provoca, ma vuole che ci si preoccupi di trovarlo e che lo spirito che l’ha trovato l’abbracci, lo stringa, lo baci, mentre Egli dalla sua parte apre il suo seno e presenta la sua bocca a coloro che vorranno perdersi in quello e incollarsi dolcemente a quella: «Chiunque – dice – mangia la mai carne e beve il mio sangue dimora in me e io dimoro in lui» (Gv 6,56).
   Egli parla di una dimora più che corporea che si costruisce mediante l’amore. […] È, quindi mediante l’amore santo che Dio si introduce nel nostro spirito e vi pone la sua abitazione. È per l’amore vicendevole che noi prendiamo possesso di lui e che la nostra dimora è nel suo seno…