Bocconcini Spirituali 2008

 

 

Ama la pace della tua anima, sì, amala e ricercala come un ultimo termine dei tuoi desideri, non però semplicemente perché tu vi possa riposare, ma affinché Dio vi riposi e tu con Lui: sappi bene che di tutti i mezzi di cui tu puoi disporre, affinché Dio entri in possesso e nel godimento della tua anima, la pace interiore è il più perfetto che tu possa avere. Guarda questa pace come il fondo di Dio in te e guardala e amala solo in quanto tale. La tua ricerca allora sarà più pura e disinteressata e giungerai ben presto a sperimentarla.

Persuaditi che la pace interiore, per essere perfettamente spirituale, non deve avere niente su cui appoggiarsi e nulla da cui dipendere. Essa non ha più nulla su cui appoggiarsi quando è una perfetta spogliazione da tutto ciò che essa ha di dolce e luminoso e non ha più nulla da cui dipendere, quando essa si pone al di sopra di tutti i movimenti ribelli e disordinati della nostra natura corrotta. Ciò ti darà una pace nuda e incondizionata non più soggetta a inganni e illusioni, e nessun attacco dall'esterno sarà capace di intaccare questa gioia interiore di Dio.

 

 

FRANCESCO GUILLORÉ

 

I segreti della vita

spirituale

1. Abbandonarsi, è più che donarsi. Gesù si è donato nell'incarnazione; si è abbandonato nella sua Passione; resta abbandonato nell'Eucaristia. Così la croce e l'altare che, nella loro essenza ultima, sono soltanto due aspetti della stessa cosa; la croce e l'altare sono, io dico, l'ultima parola dell'amore di Gesù.

2. Abbandonarsi, è rinunciare a se stessi, lasciarsi, alienarsi, perdersi, e contemporaneamente consegnarsi senza misura, senza riserva, quasi senza riguardo, a colui che deve possedere.

3. Abbandonarsi è dunque la pasqua dell'anima; la sua immolazione sa un lato, ma la sua consumazione divina dall'altro. Poiché, fate bene attenzione, è Dio solo l'oggetto diretto di questa azione eccellente. L'abbiamo detto, tutto ciò che Dio vuole è bene per il fatto stesso che lo vuole. Tuttavia non è propriamente alle cose volute da Dio che bisogna abbandonarsi prima, e nemmeno, oserò dirlo, alle volontà speciali di Dio. Queste cose possono essere amare, ciò che Lui vuole può sembrare duro; ma Dio, il nostro buon Dio, non è né duro né amaro. È in Lui che occorre scorrere, trapassare e perdersi, a Lui solo e solo a Lui, si tratta di abbandonarsi. Il bambino che si abbandona tra le braccia della mamma, si consegna anche a tutti i movimenti che la madre crederà bene che egli faccia con lei: quei movimenti, se li prevedesse potrebbero spaventarlo molto, ma sua madre non gli fa mai paura.

4. Oh! Quanto ciò è perfetto, più perfetto dell'amore per le sofferenze: perché niente immola di più l'uomo quanto l'essere sinceramente e quietamente piccolo. L'orgoglio è il primo dei peccati capitali: è la base di ogni concupiscenza e l'essenza del veleno che l'antico serpente ha gettato nel mondo. Lo spirito d'infanzia lo uccide molto più sicuramente dello spirito di penitenza. L'uomo si ritrova facilmente quando lotta con il dolore, egli può credersi grande e autocompiacersi; se egli è veramente bambino, l'amor proprio è mortificato. L'aspra roccia del Calvario offre ancora qualche cibo alla vanità; per quanto spogliata rimane pur sempre una montagna. Nella mangiatoia tutto il vecchio uomo muore necessariamente di inedia.

 

Charles Gay,

 

Sulla vita e le

virtù cristiane,

Sull'abbandono

in Dio,II

 

Se Dio mostrasse a un'anima tutti i dolori che le ha riservato nella vita, l'anima morirebbe sul colpo.

Se Dio mostrasse a un'anima tutte le gioie che proverà nella vita, l'anima morirebbe sul colpo.

Dio sa e dosa. L'anima non sa, ma si abbandona a Dio, che la ama.

È un passaggio importante nella vita: è qui la prova!

Anzi quanto di Gesù avrò lasciato costruire in me, tanto rimarrà fissato nell'aldilà.

Ogni atto mio, ogni momento, ogni mio respiro avranno una proiezione nell'eterno!

Ogni minuto della mia vita quaggiù condiziona la Vita!

"Il Paradiso è una casa che si edifica di qua e si abita di là".

Perché temiamo di dire a tutti che quaggiù si passa e lassù si rimane per sempre?

 

Chiara Lubich

La dottrina spirituale, 245

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Il Vangelo non è un libro fra i libri. Non è una parola di uomo fra parole di uomo: è la Parola del Verbo di Dio. È il Verbo di Dio fatto vita umana da contemplare e da raccontare. In esso c'è una virtù che illumina e trasforma, un dono di Dio permanente e potente. Ma ogni dono di Dio non si riversa che nelle mani della fede; ogni dono di Dio non si riceve che nelle profondità vertiginose della speranza. Il Vangelo, perché apra il mistero che è in lui, non richiede né scenario, né erudizione, né tecniche speciali. Chiede un'anima prosternata nell'adorazione e un cuore spoglio da ogni affidamento umano. Il segreto del Vangelo non è un segreto di curiosità, un'iniziazione intellettuale; il segreto del Vangelo è essenzialmente una comunicazione di vita. La luce del Vangelo non è un'illuminazione che ci rimanga esterna: è un fuoco che esige di penetrare in noi per operarvi una devastazione e una trasformazione.

Colui che lascia penetrare in sé una sola parola del vangelo e che la lascia compiersi dentro la sua vita, conosce il Vangelo più di quegli il cui sforzo resterà meditazione astratta o considerazione storica. Il Vangelo non è fatto per spiriti in cerca di idee. È fatto per discepoli che vogliono obbedire».

Madeleine
Delbrel

(1904 †1964)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Il venerabile padre fra Giovanni della Croce] diceva che ci sono due modi per resistere ai vizi e acquistare la virtù: uno è comune e meno perfetto ed è quando si vuole resistere a qualche vizio o peccato o tentazione per mezzo degli atti della virtù che si oppone e distrugge quel determinato vizio, peccato o tentazione; per esempio, al vizio o tentazione dell’impazienza o dello spirito di vendetta che sento nella mia anima per qualche danno ricevuto o per parole ingiuriose, resisto con alcune buone considerazioni, per esempio sulla passione del Signore: Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca (Is 53,7); o considerando i beni che si acquisiscono con la sofferenza e con la vittoria su se stessi, o pensando che Dio ha voluto che soffrissimo, perché la sofferenza è la nostra fortuna migliore. Con tali considerazioni accetto di soffrire, di volere e di subire detta ingiuria, l’offesa e il danno, e ciò a onore e gloria di Dio.

 

Questo modo di resistere e di opporsi alla tentazione, al vizio o al peccato genera la virtù della pazienza ed è un buon modo di resistere, anche se difficoltoso e meno perfetto. Esiste anche un altro modo per vincere vizi e tentazioni e acquistare o guadagnare virtù.

 

Questo modo è più facile, più vantaggioso e più perfetto. Si verifica quando l’anima, solo con atti ed elevazioni piene d’amore, senza altri esercizi, resiste e distrugge tutte le tentazioni del nostro avversario e raggiunge la perfezione nella virtù. Diceva che era possibile farlo in questo modo: quando avvertiamo il moto primo o l’assalto di qualche vizio, per esempio della lussuria, dell’ira, dell’impazienza o dello spirito di vendetta per qualche offesa ricevuta, ecc., non dobbiamo opporci con l’atto della virtù contraria, come si è detto sopra, ma immediatamente, appena lo avvertiamo, dobbiamo ricorrere a un atto o elevazione d’amore contro il detto vizio, accrescendo il nostro affetto nell’unione con Dio, perché con questa elevazione l’anima si allontana di lì, si presenta e si unisce al suo Dio, cosicché il vizio o la tentazione come anche il nemico vengono defraudati del loro scopo e non trovano chi ferire.

 

Difatti, poiché l’anima si trova più dove ama che dove anima, occorre sottrarre divinamente il corpo alla tentazione, e così il nemico non trova dove colpire o avere presa, perché l’anima non si trova più lì dove la tentazione o il nemico volevano colpirla e danneggiarla. E allora – cosa meravigliosa! – l’anima, dimentica del moto vizioso e strettamente unita al suo Amato, non sente alcun moto di quel vizio con cui il demonio voleva tentarla e aveva cercato di farlo; anzitutto perché ha sottratto il corpo, come ho detto, e non si trova più lì e quindi, se così si può dire, è come tentare un corpo morto, combattere con uno che non esiste, uno che non è presente, uno che non sente e quindi non è in grado di essere tentato. In questo modo nasce nell’anima una virtù eroica e meravigliosa, che il dottore angelico, san Tommaso, chiama virtù dell’anima perfettamente purificata; l’anima possiede questa virtù, dice il santo, quando Dio la porta a uno stato tale che non sente i moti dei vizi, né i loro assalti, aggressioni o tentazioni, per la sublimità della virtù che abita in quell’anima.

 

Da ciò deriva una perfezione altissima, per cui non le importa nulla che la offendano o che la lodino e la innalzino, o che la umilino o che dicano bene o male sul suo conto; poiché, infatti, quelle elevazioni piene d’amore portano l’anima ad uno stato così alto e sublime, il loro effetto più peculiare nella detta anima è quello di farle dimenticare tutte le cose che sono al di fuori del suo Amato, Gesù Cristo. E, come ho detto, da ciò le deriva che, essendo l’anima unita al suo Dio e felice con lui, le tentazioni non trovano chi ferire, perché non possono giungere fin dove è salita l’anima o Dio l’ha portata: Non ti accadrà alcun male (Sal 90,10).

 

A questo punto il venerabile padre fra Giovanni della Croce disse di istruire i principianti, i cui atti o elevazioni piene d’amore non sono tanto rapidi né leggeri, né tanto ferventi da potersi sottrarre completamente con il loro balzo e unirsi allo Sposo. Se vedono che con tale atto o elevazione non riescono a dimenticare completamente il movimento vizioso della tentazione, pur di resistere, non omettano di usare tutte le armi della buona meditazione e degli esercizi necessari per resistere e vincere. E credano che questo modo di resistere è eccellente e sicuro, perché racchiude tutte le astuzie necessarie e importanti per la gue

S. Giovanni della Croce

 

 

 Insegnamenti spirituali, V

 

PAROLA NON DI UOMINI, MA DI DIO!

Quanto a coloro che non hanno ancora incominciato [a dedicarsi all’orazione mentale], io li scongiuro, per amore del Signore, di non privarsi di tanto bene. Qui non c'è nulla da temere, ma tutto da desiderare, perché, anche se non facessero progressi né si sforzassero d'essere perfetti, così da meritare le grazie e i favori che Dio riserva agli altri, per poco che guadagnassero, giungerebbero a conoscere il cammino del cielo; e, perseverando nell'orazione, spero molto per essi nella misericordia di Dio, che nessuno ha preso mai per amico senza esserne ripagato; per me l'orazione mentale non è altro se non un rapporto d'amicizia, un trovarsi frequentemente da soli a soli con chi sappiamo che ci ama. E se voi ancora non l'amate (infatti, perché l'amore sia vero e l'amicizia durevole dev'esserci parità di condizioni e invece sappiamo che quella del Signore non può avere alcun difetto, mentre la nostra consiste nell'esser viziosi, sensuali, ingrati), cioè se non potete riuscire ad amarlo quanto si merita, non essendo egli della vostra condizione, nel vedere, però, quanto vi sia di vantaggio avere la sua amicizia e quanto egli vi ami, sopportate questa pena di stare a lungo con chi è tanto diverso da voi…

S. Teresa d'Avila

Libro
della Vita, 8,5

PAROLA NON DI UOMINI, MA DI DIO!

Il  Vangelo è il libro della vita del Signore. È fatto per diventare il libro della nostra vita: Non è fatto per essere compreso, ma per accostarvisi come alla soglia del mistero. Non è fatto per essere letto, ma per essere accolto dentro di noi. Ciascuna delle sue parole è spirito e vita. Agili e libere, esse non attendono altro che il desiderio profondo della nostra anima per fondersi con lei.

Vive, sono come il lievito iniziale che attaccherà la nostra pasta e la farà fermentare in uno stile di vita nuovo. Le parole dei libri umani  noi le comprendiamo e valutiamo. Le parole del Vangelo sono subite e sopportate.

Noi assimiliamo le parole dei libri. Le parole del Vangelo ci plasmano, ci trasformano, ci assimilano a sé. Le parole del Vangelo sono miracolose. Se non ci trasformano è perché noi non chiediamo loro di trasformarci. Ma in ogni frase di Gesù e in ciascuno dei suoi esempi permane la virtù folgorante che guariva, purificava, risuscitava.

A condizione di stare di fronte al Lui come il paralitico o il centurione: agire immediatamente con assoluta obbedienza. Quando Gesù dice: "Non richiedere ciò che hai prestato", oppure: "sì, sì; no, no; tutto il resto viene dal Maligno", non ci è domandato che di obbedire.. e non sono i ragionamenti che ci aiutano a farlo. Ci aiuterà il portare, il "conservare" in noi, nel caldo della nostra fede e della nostra speranza, la parola cui vogliamo obbedire. Si stabilirà tra questa e la nostra volontà come un patto vitale. Quando teniamo  il Vangelo tra le mani, dovremmo pensare che lì abita il Verbo che vuol farsi carne in noi, impadronirsi di noi, perché con il suo cuore innestato sul  nostro, con il suo spirito comunicante col nostro spirito noi diamo un inizio nuovo alla sua vita in un altro luogo, in un altro tempo.  Approfondire il Vangelo così, significa rinunciare alla nostra vita per ricevere un destino che ha per unica forma, il Cristo.

S. Teresa d'Avila

Libro
della Vita, 8,5

Intorno alle distrazioni

 

1. La contemplazione consiste in un semplice sguardo dell’intelletto verso la prima verità, senza che si formi alcun discorso né ragionamento. Essa consiste ancora nell’azione della volontà, che è un’operazione d’amore; per suo mezzo noi siamo resi presenti a Dio e dalla sua presenza, passiamo alla sua unione. Sicuramente le distrazioni involontarie non impediscono la contemplazione. Ciò è manifesto perché esse non possono impedire l’operazione e lo sguardo dell’intelletto, a causa dell’eminenza e della spiritualità di questa potenza, dove non possono salire i fantasmi grossolani e terreni dell’immaginazione.

 

2. Questa verità sconosciuta a molti, fa sì che di solito essi si preoccupino, confondendo le operazioni di queste due facoltà, allorché si persuadono che le sciocchezze e le stravaganze dell’immaginazione sono ragionamenti liberi dell’intelletto. Ahimè! Quante anime sante a causa di questo errore, si fabbricano giornalmente delle croci e dei supplizi interiori, quando credono o che sono levate contro Dio, o che si sono intrattenute in qualche cattivo pensiero, o che hanno consentito a qualche altro disordine sorto nel loro cuore! Non v’inquietate, anime desolate, tutto ciò è solamente un fuoco dell’immaginazione, che prendete per un ragionamento dello spirito, consolatevi, povere afflitte, consolatevi, il vostro intelletto è inaccessibile a tutte queste stravaganze e la sua innocenza rimane tutta intera, in mezzo alla rabbia e agli abbracci di una facoltà animale e indomabile.

 

3. L’amore può essere ostacolato e distrutto solo dal suo contrario, cioè il peccato… Quando il vostro cuore è soavemente occupato da Dio nell’orazione, le distrazioni talvolta vi conducono lontano, e tuttavia, quando ritornate in voi stessi, vi troverete nella stessa soavità, senza che il riposo e il godimento del vostro cuore abbia ricevuto alcuna alterazione da tutte queste stravaganze. Ciò vuol dire che l’immaginazione non può nulla sulla volontà per ostacolare l’occupazione affettiva con Dio, e che in mezzo a mille impertinenze che volteggiano in gran quantità, il divino fuoco può sempre bruciare tranquillamente.

JEAN LAFRANCE

Preferire Dio

 

FRANCESCO GUILLORÉ

 

Massime spirituali

Málaga, 18 novembre 1586

Considereremo insieme le ricchezze acquisite nell'amore puro e nel cammino della vita eterna, nonché i progressi notevoli che fate in Cristo, di cui voi sue spose siete diletto e corona. È una corona che non bisogna far rotolare a terra; essa è, infatti, degna di essere raccolta dalle mani dei serafini, per essere posta, con rispetto e amore, sul capo del Signore. Quando il cuore si volge verso le cose vili, la corona rotola a terra e ogni oggetto vile la calpesta. Ma quando l'uomo si avvicina al cuore alto, come afferma Davide, allora Dio viene esaltato (cfr. Sal 63,6-8 Volg.). È una corona che il cuore alto della sua sposa gli pone sul capo nel giorno della gioia del suo cuore (Ct 3,11), nel quale pone le sue delizie tra i figli degli uomini (cfr. Pro 8,31). Queste acque dei piaceri interiori non sgorgano dalla terra; quindi la bocca del desiderio deve aprirsi fino al cielo, vuota di qualsiasi altra pienezza, perché la bocca dell'appetito, libera e non occupata da alcun boccone di altri gusti, sia completamente vuota e aperta verso colui che dice: Apri [e dilata] la tua bocca e io la riempirò (Sal 80,11). Così, chi cerca gusto in qualcosa, non conserva libero il cuore, affinché Dio possa riempirlo del suo ineffabile piacere; quindi si allontana da Dio appena gli si avvicina; ha le mani ingombre e non può prendere ciò che Dio gli dà. Che Dio ci preservi da ingombri così dannosi da ostacolare libertà così piene di dolcezza e soavità! Servite Dio, figlie mie amate in Cristo, percorrendo la via della mortificazione, con tutta pazienza, in perfetto silenzio e profondo desiderio di soffrire. Annientate le vostre gioie, mortificando in voi stesse quel poco che fosse rimasto da mortificare e che potesse impedire la risurrezione interiore dello spirito. Che tale spirito dimori nelle vostre anime! Amen. Da Málaga, 18 novembre 1586. Vostro servo, Fra Giovanni della †

S. Giovanni
della Croce

La conversione deve partire prima di tutto da un ritorno al cuore, un pellegrinaggio al centro dell'essere. L'uomo deve abbandonare le sicurezze che lo tengono attaccato alla riva per tuffarsi nel più profondo di se stesso; deve prendere coscienza di quanto è racchiuso nel fondo del proprio cuore per andare a scoprire la perla della propria identità e ciò richiede da parte sua uno sforzo di attenzione per poter penetrare dentro di sé e ritrovare la pace del cuore.

È allora che l'individuo fa la dolorosa esperienza del suo nulla e della sua impotenza di fronte a Dio. Un'esperienza penosa, ma profondamente serena e colma di pace, perché lo pone in contatto diretto con la fonte del proprio essere, della propria vita e della propria gioia. Egli ritrova così la sua identità, la sua ragione di vita, e dà un senso alla propria esistenza.

È prima di tutto nella preghiera che si va a cercare il fondamento più profondo della propria identità in Dio. Si intuisce che una simile esperienza che va a toccare la radice stessa dell'essere, è decisiva e capace di trasformare la vita in modo radicale.

Madeleine
Delbrel

 

 

 

Quanto a me, ho un solo desiderio:

amare Dio come non è mai stato amato,

di un amore profondo e personale.

Nel mio cuore

non sembra esserci nient'altro che Lui,

nessun altro amore

che il Suo: le strade, Kalighat,

i bassifondi e le sorelle

sono diventati luoghi

in cui Egli vive appieno

la Sua vita d'amore.

Per favore, Eccellenza,

preghi per me,

perché in me possa davvero esserci

"solo Gesù".

Madre Teresa di Calcutta

Estratto da una lettera all'Arcivescovo Périer del 25 settembre 1956

Il testo raccoglie le conclusioni di Brémond dopo anni di lettura di testi mistici

 

1.      Buoni o cattivi, pagani o cristiani, Dio è in noi. O meglio, noi siamo in Lui; noi non possiamo agire senza che Lui agisca in noi e per noi; Egli è in noi prima di tutte le nostre azioni, fin da quando esistiamo. Egli c’è non come una cosa, come un opuscolo religioso nel fondo di un armadio, ma come il principio vivente di ogni vita… Sia che noi pensiamo a Lui, sia che pensiamo ad altro, sia che il nostro e in dormiveglia, Dio è lì.

 

2.      Quello che lo fa entrare in noi, non è questo o quell’atto di devozione; Egli è in me senza che io L’ami, prima che io L’ami. Dove allora? Nella parte più profonda che è il centro di tutte le nostre azioni, che p noi stessi; Egli vi è, presente in tutto ciò che vi è di più intimo in me. Presenza oscura, insensibile, poiché essa precede tutte le nostre azioni, perfino inconsapevoli; presenza che non fa di me un essere morale, poiché non è stata meritata da alcuna preghiera, da alcuno sforzo. Egli è là che agisce. Egli mantiene, forma, crea, sostiene questa inclinazione ad amarLo, questo bisogno di Lui, di cui parla molto bene Francesco di Sales. Questa inclinazione, costante, sostanziale, è tutto il nostro essere, orientato necessariamente verso Dio presente da Dio presente: inclinazione che, lo ripeto, non dipende assolutamente dalla volontà e che può non passare mai all’azione. Essa è, per così dire, il rovescio della presenza divina, l’ombra reale e viva di questa presenza.

 

3.      I mistici non sono superuomini. La maggior parte di loro non ha estasi, né visioni. Il loro privilegio è la facilità con la quale essi si ripiegano verso questa parte centrale, la disinvoltura, l’intensità con le quali esercitano dentro di loro queste attività profonde. Noi siamo tutti mistici in potenza, lo diveniamo di fatto, dal momento in cui prendiamo una certa  coscienza di Dio in noi; dal momento in cui sperimentiamo, in qualche modo, la sua presenza; dal momento di questo contatto, d’altra parte permanente e necessario tra Lui e noi, ci appare sensibile, prende la forma di un incontro, di una stretta, di una presa di possesso. Può accadere, del resto, e ne sono quasi persuaso, che nella preghiera più povera, più ancora, nella minima emozione estetica, prenda forma un’esperienza dello stesso ordine e già mistica, ma impercettibile ed evanescente.

 

4.      … Alla conoscenza razionale, che si forma dalle idee e che sarà tanto più perfetta quanto queste idee saranno più nitide, essi oppongono l’esperienza, peraltro molto misteriosa, ma reale, che si produce al centro dell’anima, che unisce questo centro, non ad un’idea di Dio, ma a Dio stesso. chi ha ben colto questa distinzione, ha la chiave della mistica.

 

 

 Enrico Bremond

 

 

Estratto da Humanisme,III

Dobbiamo pur dire che il mondo

è ripieno di croci disgraziatamente perdute,

come fu quella del cattivo ladrone;

voglia Dio che le nostre croci

rassomiglino a quella del buon ladrone,

che fu per lui una riparazione delle sue colpe;

che rassomiglino ancor più alla croce di Gesù,

configurandoci a lui.

La grazia santificante, come tale,

ci rende con il suo crescere

sempre più somiglianti a Dio.

In quanto essa è grazia cristiana,

ci fa simili a Cristo crocifisso

e ci deve assimilare a lui sempre più,

sino alla nostra entrata in cielo.

Deve segnarci

con l'effige del Salvatore

morto per noi per amore.

P. GARRIGOU-LAGRANGE O.P.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le tre eta' della vita interiore – Vol. IV°, Capitolo II

Non cercate Gesu' in terre lontane:

Lui non è là.

E' vicino a voi.

E' con voi.

Basta che teniate il lume acceso

e Lo vedrete sempre.

Continuate a riempire il lume

con piccole gocce d'amore

e vedrete quanto è dolce

il Dio che amate.

 

Madre Teresa di Calcutta

 

 

Dai Pensieri della Beata Madre Teresa di Calcutta

 

Cari fratelli e sorelle!

Nel suo discorso d'addio, Gesù ha annunciato ai discepoli la sua imminente morte e risurrezione con una frase misteriosa. Dice: "Vado e vengo da voi" (Gv 14, 28). Il morire è un andare via. Anche se il corpo del deceduto rimane ancora – egli personalmente è andato via verso l'ignoto e noi non possiamo seguirlo (cfr Gv 13, 36). Ma nel caso di Gesù c'è una novità unica che cambia il mondo. Nella nostra morte l'andare via è una cosa definitiva, non c'è ritorno. Gesù, invece, dice della sua morte: "Vado e vengo da voi". Proprio nell'andare via, Egli viene. Il suo andare inaugura un modo tutto nuovo e più grande della sua presenza. Col suo morire Egli entra nell'amore del Padre. Il suo morire è un atto d'amore. L'amore, però, è immortale. Per questo il suo andare via si trasforma in un nuovo venire, in una forma di presenza che giunge più nel profondo e non finisce più. Nella sua vita terrena Gesù, come tutti noi, era legato alle condizioni esterne dell'esistenza corporea: a un determinato luogo e a un determinato tempo. La corporeità pone dei limiti alla nostra esistenza. Non possiamo essere contemporaneamente in due luoghi diversi. Il nostro tempo è destinato a finire. E tra l'io e il tu c'è il muro dell'alterità. Certo, nell'amore possiamo in qualche modo entrare nell'esistenza dell'altro. Rimane, tuttavia, la barriera invalicabile dell'essere diversi. Gesù, invece, che ora mediante l'atto dell'amore è totalmente trasformato, è libero da tali barriere e limiti. Egli è in grado di passare non solo attraverso le porte esteriori chiuse, come ci raccontano i Vangeli (cfr Gv 20, 19). Può passare attraverso la porta interiore tra l'io e il tu, la porta chiusa tra l'ieri e l'oggi, tra il passato ed il domani. Quando, nel giorno del suo ingresso solenne in Gerusalemme, un gruppo di Greci aveva chiesto di vederLo, Gesù aveva risposto con la parabola del chicco di grano che, per portare molto frutto, deve passare attraverso la morte. Con ciò aveva predetto il proprio destino: Non voleva allora semplicemente parlare con questo o quell'altro Greco per qualche minuto. Attraverso la sua Croce, mediante il suo andare via, mediante il suo morire come il chicco di grano, sarebbe arrivato veramente presso i Greci, così che essi potessero vederLo e toccarLo nella fede. Il suo andare via diventa un venire nel modo universale della presenza del Risorto, in cui Egli è presente ieri, oggi ed in eterno; in cui abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi. Ora può oltrepassare anche il muro dell'alterità che separa l'io dal tu. Questo è avvenuto con Paolo, il quale descrive il processo della sua conversione e del suo Battesimo con le parole: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2, 20). Mediante la venuta del Risorto, Paolo ha ottenuto un'identità nuova. Il suo io chiuso si è aperto. Ora vive in comunione con Gesù Cristo, nel grande io dei credenti che sono divenuti – come egli definisce tutto ciò – "uno in Cristo" (Gal 3, 28).

Benedetto XVI

 

 

alla Veglia Pasquale 2008

 

Quale coppia è mai quella di due cristiani, uniti da una sola speranza, da una sola aspirazione, da una sola disciplina, dallo stesso servizio di Dio! Ambedue sono fratelli, uguali tutti e due in quel loro servizio! Tra di essi nessuna separazione, non nello spirito, non nella carne; al contrario, veramente due in una sola carne! E dove c’è una carne sola, lì vi è pure un solo spirito; essi infatti pregano insieme, si prostrano insieme davanti a Dio, osservano insieme le prescrizioni del digiuno; a vicenda si istruiscono, a vicenda si esortano, a vicenda si confortano.

 

Tutti e due si riconoscono in perfetta uguaglianza nelle Chiesa di Dio, in perfetta uguaglianza nel banchetto di Dio, perfetta uguaglianza nei disagi, nelle persecuzioni, nelle consolazioni.

 

Nessuno de due si nasconde all’altro, nessuno evita l’altro, nessuno è di peso all’altro. Liberamente fanno visita ai malati e si prodigano per aiutare i poveri. Compiono elemosine senza contrasti e frequentano il Sacrificio eucaristico senza ansie. La loro operosità quotidiana non conosce impedimenti; non fanno il segno della croce furtivamente, manifestano le loro espressioni di gioia senza simulazioni, e non sono certo silenziose le loro benedizioni […].

 

Cristo, nel vedere e nell’udire, gode di quella festa e invia ad essi la sua pace. Dove si trovano quei due sposi, lì si trova egli pure, e dove è lui, ivi non entra certamente il maligno. –

Tertulliano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dalla Lettera alla consorte

Modello di tutta la chiesa nell'esercizio del culto divino, Maria è anche, evidentemente, maestra di vita spirituale per i singoli cristiani. Ben presto i fedeli cominciarono a guardare a Maria per fare, come lei, della propria vita un culto a Dio e del loro culto un impegno di vita. Già nel IV secolo, s. Ambrogio, parlando ai fedeli, auspicava che in ognuno di essi fosse l'anima di Maria per glorificare Dio: "Dev'essere in ciascuno l'anima di Maria per magnificare il Signore, dev'essere in ciascuno il suo spirito per esultare in Dio". Maria, però, è soprattutto modello di quel culto che consiste nel fare della propria vita un'offerta a Dio: dottrina antica, perenne, che ognuno può riascoltare, ponendo mente all'insegnamento della Chiesa, ma anche porgendo l'orecchio alla voce stessa della Vergine, allorché essa, anticipando in sé la stupenda domanda della preghiera del Signore: " Sia fatta la tua volontà " (Mt 6,10), rispose al messaggero di Dio: "Ecco la serva del Signore: sia fatto di me secondo la tua parola" (Lc 1,38). E il "sì" di Maria è per tutti i cristiani lezione ed esempio per fare dell'obbedienza alla volontà del Padre la via e il mezzo della propria santificazione.

 

Paolo VI

 

 

Marialis cultus, 21

 

Nei primi tempi lo Spirito Santo scendeva sopra i credenti; ed essi parlavano in varie lingue che non avevano appreso, così come lo Spirito dava loro di pronunziare. Quei segni miracolosi erano opportuni a quel tempo. Era infatti necessario che in tutte le lingue si venisse a conoscenza dello Spirito Santo, perché il Vangelo di Dio doveva raggiungere tutte le lingue esistenti nel mondo intero. Quel segno fu dato e passò e non si ripeté. Forse che oggi da coloro cui si impongono le mani perché ricevano lo Spirito Santo, ci si aspetta che parlino diverse lingue? Quando noi imponemmo le mani a questi fanciulli, ciascuno di voi si aspettava forse che parlassero in varie lingue? E quando ci si accorse che non parlavano queste varie lingue, ci fu forse qualcuno di voi tanto perverso da dire: costoro non hanno ricevuto lo Spirito Santo, perché se l'avessero ricevuto parlerebbero diverse lingue, come avvenne a suo tempo? Se dunque adesso la prova della presenza dello Spirito Santo non avviene attraverso questi segni, da che cosa ciascuno arriva a conoscere di aver ricevuto lo Spirito Santo? Interroghi il suo cuore: se egli ama il fratello, lo Spirito di Dio rimane in lui. Esamini e metta alla prova se stesso davanti a Dio; veda se c'è in lui l'amore della pace e dell'unità, l'amore alla Chiesa diffusa in tutto il mondo. Non si limiti ad amare quel fratello che gli si trova vicino; ci sono molti nostri fratelli che non vediamo, eppure siamo a loro uniti nell'unità dello Spirito. […] Interroga il tuo cuore e se là c'è la carità verso il fratello, sta' tranquillo. Non può esserci l'amore senza lo Spirito di Dio, perché Paolo grida: L'amore di Dio è stato diffuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che fu dato a noi (Rm 5, 5)

 

S. Agostino

d'Ippona

 

 

Commento alla

Prima Lettera di

Giovanni, 10, 6.

 

«La riflessione sui doni dello Spirito Santo ci porta, oggi, a parlare di un altro dono insigne: la pietà. Con esso, lo Spirito guarisce il nostro cuore da ogni forma di durezza e lo apre alla tenerezza verso Dio e verso i fratelli. La tenerezza, come atteggiamento sinceramente filiale verso Dio, s'esprime nella preghiera. L'esperienza della propria povertà esistenziale, del vuoto che le cose terrene lasciano nell'anima, suscita nell'uomo il bisogno di ricorrere a Dio per ottenere grazia, aiuto, perdono. Il dono della pietà orienta ed alimenta tale esigenza, arricchendola di sentimenti di profonda fiducia verso Dio, sentito come Padre provvido e buono. In questo senso scriveva san Paolo: "Dio mandò il suo Figlio . . . perché ricevessimo l'adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio ha mandato nei vostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio …" (Gal 4, 4-7; cf. Rm 8, 15). La tenerezza, come apertura autenticamente fraterna verso il prossimo, si manifesta nella mitezza. Col dono della pietà lo Spirito infonde nel credente una nuova capacità di amore verso i fratelli, rendendo il suo cuore in qualche modo partecipe della mitezza stessa del Cuore di Cristo. Il cristiano "pio" negli altri vede sempre altrettanti figli dello stesso Padre, chiamati a far parte della famiglia di Dio che è la Chiesa. Egli perciò si sente spinto a trattarli con la premura e l'amabilità proprie di uno schietto rapporto fraterno. Il dono della pietà, inoltre, estingue nel cuore quei focolai di tensione e di divisione che sono l'amarezza, la collera, l'impazienza, e vi alimenta sentimenti di comprensione, di tolleranza, di perdono. Tale dono è, dunque, alla radice di quella nuova comunità umana, che si basa sulla civiltà dell'amore».

 

Giovanni

Paolo II

 

Angelus

28 maggio 1989

 

[…] Volevo dirle a proposito dell'obbedienza

che in fondo esiste quel che generalmente si chiama

"obbedienza"

e che consiste nella sottomissione della nostra volontà a quella di un altro,

ma che esiste anche un'altra obbedienza,

che non merita neanche questo nome,

e che è la fusione della nostra volontà

nella volontà del Signore Gesù.

Non si tratta neanche più di dire "sì",

ma di essere talmente nella

"dipendenza del movimento del Santo Spirito"

– come si esprime S. Francesco di Sales –

che sia un atto comune di volontà.

E siccome l'Amore è l'unità,

quest'atto di "obbedienza" è davvero amore.

 

Madeleine
Delbrel

 

 

Dalla lettera

a Madeleine

Tissot del

21/7/1934

 

Dal Carmelo, 2 agosto 1893

Gesù †

Mia cara Celinetta,

la tua lettera mi ha riempito di consolazione. La strada per la quali cammini è una strada regale; non è un cammino battuto, ma è un sentiero che è stato tracciato da Gesù stesso.

La sposa dei cantici dice che, non avendo trovato nel proprio letto il suo Amato, si alzò per cercarlo nella città, ma invano; dopo essere uscita dalla città (Ct 3,2-4), trovò Colui che la sua anima amava!…

Gesù non vuole che troviamo nel riposo la sua presenza adorabile. Egli si nasconde, si avvolge di tenebre. Non è così che agiva nei confronti della folla dei Giudei, perché vediamo nel Vangelo «che il popolo era rapito quando Egli parlava» (Lc 19,48). Gesù affascinava le anime deboli con le sue parole divine. Cercava di renderle forti per il giorno della prova… Ma come fu piccolo il numero degli amici di Nostro Signore quando taceva (Mt 26,63; Mc 14,61) davanti ai suoi giudici!… Oh! che melodia per il mio cuore quel silenzio di Gesù… Egli si fa povero perché possiamo fargli la carità! Ci tende la mano come un mendicante, affinché nel giorno radioso del giudizio, quando comparirà nella sua gloria, possa farci udire queste dolci parole: «Venite, benedetti dal Padre mio; perché avevo fame e mi deste da mangiare; avevo sete e mi deste da bere; non sapevo dove trovare un alloggio e mi offriste asilo; ero in prigione, ero malato e mi soccorreste» (Mt 25,34-36).

E' Gesù che ha pronunciato queste parole, è Lui che vuole il nostro amore, che lo va mendicando… Si abbandona, per così dire alla nostra mercé. Non vuole prendere nulla senza che glielo diamo e la più piccola cosa è preziosa ai suoi occhi divini…

Mia cara Celina, rallegriamoci della nostra parte. E' così bella! Diamo, diamo a Gesù, siamo avare per gli altri, ma prodighe per Lui!

Gesù è un tesoro nascosto (Mt 13,44), un bene inestimabile che poche anime sanno trovare, perché è nascosto e il mondo ama ciò che risplende. Ah! se Gesù avesse voluto mostrarsi a tutte le anime con i suoi doni ineffabili, senza dubbio non ce n'è una sola che l'avrebbe rifiutato. Ma Egli non vuole che l'amiamo per i suoi doni. E' Lui stesso che deve essere la nostra ricompensa.

Per trovare una cosa nascosta bisogna nascondersi anche noi (S. Giovanni della Croce, Cantico "B", str. 1) La nostra vita deve dunque essere un mistero! Dobbiamo rassomigliare a Gesù il cui volto era nascosto… (Is 53,3)

 

S. Teresina di Lisieux

 

 

Dalla lettera a sua sorella Celina

del 2 agosto 1893

 

       

       

Rev.da Madre,

avete ragione di non essere soddisfatta di quelle due sorelle che si occupano così tanto degli effetti di Dio che si manifestano in loro, perché questo è uno dei difetti più dannosi delle anime nella vita interiore. Esse sono per l'appunto come dei viaggiatori, che avendo molta fretta di andare avanti nel loro viaggio, perdono tempo con le belle case e le altre cose piacevoli che trovano nel cammino.

Noi andiamo a Dio, e tutta la nostra vita non è che un continuo viaggio di cui Egli è la meta. Dobbiamo solo pensare a questo; tutti i nostri viaggi interiori, così come le nostre azioni esteriori vi devono tendere, ed è una specie di follia lasciarsi fermare dalle stesse cose che ci devono fare avanzare. Tutte le luci, i sentimenti, gli effetti di Dio che si manifestano in loro, per quanto buoni e sicuri possano essere, sono solamente dei mezzi che tendono a elevarle a Dio, a legarle a Gesù Cristo, e a separarle da se stesse, per far cercare Colui che vuole che l'amiamo e lo cerchiamo con tutto il nostro cuore, con tutte le nostre forze, con tutto il nostro pensiero, e di conseguenza in un intero oblio di noi stessi.

Fate loro bene intendere, Madre mia, che l'unico dono di Dio, del quale è permesso riempirci, è Gesù Cristo. Tutti gli altri doni ci sono dati soltanto per farci maggiormente stimare questo, per farci amare e cercare con più ardore Gesù Cristo, per farci occupare continuamente di Gesù Cristo. Se dunque noi ne usiamo diversamente, ne abusiamo e dimentichiamo il nostro principale dovere.

Io so bene che quelle delle quali mi scrivete, pretendono che questi loro difetti siano delle vie per andare a Gesù Cristo, e credono di usarne così; ma finché si si occupano di guardare ciò che è, come è arrivato e come se ne andrà, elle si ingannano grandemente. Affinché questi effetti siano per loro delle vie per andare a Gesù Cristo, occorre che, non solo quando sono passati, ma nello stesso momento in cui li ricevono, esse vedano soltanto Gesù Cristo, e si occupino soltanto di Gesù Cristo. Sarà così, e non altrimenti che queste cose saranno per loro vie e mezzi di andare a Lui. E' bene ricordare che il Figlio di Dio incarnato è la via, e che solo Lui è degno di portare questo nome; è Lui l'unica via per arrivare a Lui stesso…

La nostra vita deve dunque essere riempita e occupata da Gesù Cristo. Perché quale è la vita del cristiano, e in che consiste, se non nel cercare Dio e nell'usare quei mezzi che conducono a Dio? Gesù Cristo è l'uno e 'altro, Egli è il Dio che noi cerchiamo, di cui Egli stesso dice che la conoscenza è la vita eterna, è la via che vi conduce e il mezzo per arrivarvi. Perché, dunque, occuparci di altre cose, sotto il pretesto di mezzi che conducono a Dio, avendone uno tra le nostre mani che è Dio stesso?

Madalein de Saint-Joseph

1578 †1637

 

da una lettera ad una priora del suo Ordine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il regno del cuore

§ 2. Non c'è che Dio, il quale abbia diritti di sovranità sui cuori. Né i potenti del mondo, né la Chiesa vi estendono il proprio dominio. Tutto quanto succede nei cuori non dipende affatto da loro. Dio solo ne è il re. Qui veramente è il suo regno; qui veramente Egli stabilisce il trono della sua grazia, la sua gloria sta tutta in questo regno interiore.

Per parte nostra, invece, la perfezione e la felicità consistono nella sottomissione del cuore a questo dominio di Dio, e quanto più il nostro cuore sarà soggetto a Lui, tanto più saremo perfetti e felici.

§ 3. Dio si interessa maggiormente della direzione soprannaturale di un cuore, su cui regna, che non del governo naturale dell'intero universo e del governo civile di tutti le potenze terrene. A Lui non preme che il cuore; è contento solo quando lo vede sottomesso al suo potere e quando lo possiede. Come pure non v'è che Dio, il quale possa appagare il nostro cuore, in cui esiste un tale vuoto da non poter essere riempito che da Lui.

§ 4. Il Signore pone le sue delizie nel conversare coi nostri cuori. È qui dove Egli si riposa ed anche per noi Dio solo è il centro dei nostri cuori. Questi non devono cercare la propria quiete che in Lui e non darsi pensiero che per Lui. Benedetta la vita interiore, la quale fa sì che Dio solo viva nei cuori e che i cuori non vivano che per Lui e non gustino che Lui. Felice la vita di quel cuore che è posseduto pienamente dal Signore e sul quale Egli regna!

 

Louis Lallemant

 

 

 

 

 

 

La dottrina spirituale,

I, 2,2ss

 

   

Narreremo qui quello che fece in detto ratto [=rapimento estatico] e alcune parole di quello che disse, perché quello che gustò non è possibile dirne nulla. Ma per li atti esteriori e parole che disse, si può comprendere alquanto di quello che gustava e sentiva interiormente.

Dico adunque che, essendo comunicata, stette circa un' hora inmobile al solito suo. Di poi cominciò a parlare e dire alcune cose sopra l'eccellentia della croce di Jesu. E finalmente si fermò nell'amore che ci mostrò il Verbo humanato sopra di essa, il quale tanto penetrava e gustava che era sforzata a gridare molto forte:

"Amore, Amore! O Amore, che non sei né amato né conosciuto! Amore, datti a tutte le creature, Amore! se non trovi do' ti riposare, vieni tutto in me che ti raccetterò ben io. O anime create d'amore e per amore, perché non amate l'Amore? E chi è l'Amore se non Dio, e Dio è l'amore? Deus charitas est (1Gv 4,16), e questo stesso è il' mio Sposo e il' mio amore. Questo mio Amore non è amato né conosciuto. O Amore, tu mi fai struggere e consumare. Tu mi fai morire e pur vivo. Amore, gran pena mi fai sentire, a tale che il' corpo ne participa ancor lui, faccendomi conoscere quanto poco sei conosciuto".

Questa pena la dimostrava per i gesti e movimenti di esso corpo, però che non si fermava punto. Quando si allargava nelle braccia, quando batteva le mane insieme; hor pigliava la tonaca e mantello che haveva indosso e con gran forza gli tirava, a tale che stracciò un pezzo di mantello e ancora la tonacella, e non restava punto di dire: 'Amore, Amore', e chiamar l'anime che venissino a il suo Amore. Ardeva tanto la fiamma del' divino amore nell'anima sua che trapassava ancor nel corpo, onde fece un viso molto infocato; e per il gran calore non poteva tenere nulla in sul petto, e si sventolava come quando si sente un gran caldo.

Di poi si rizzò a volo e andò correndo tutto l'orto parecchie volte, e quasi per tutto il convento, e diceva che andava cercando d'anime che conoscessino e amassino l'Amore. E sempre chiamava l'Amore o parlava con esso Amore; e tal volta incontrando qualche suora la pigliava e stringendola molto forte gli diceva:"Anima amate voi l'Amore? Come fate a vivere? Non vi sentite consumare e morire per amore?"

E simil parole diceva credendo che ciascuna sentissi quel che lei sentiva dentro di sé. Quando fu andata un pezzo per il' convento, si appiccò poi alle campane, e campanuzzi, e sonava gridando ad alta voce:"Ad amare, anime, venite a amar l'Amore dal cui siate tanto amate! Ad amare…, anime!"E non cessava punto di dire queste parole.

In ultimo se n'andò in choro sopra la chiesa, e scese al basso la croce insieme col Crocifisso che sta sopra le grate, e abbracciandolo molto forte quivi stette assorta sino alle 22 hore, senza gustare punto di cibo corporale dalla sera passata sino all'altra sera del detto dì. Ma ben gustò tanto dall'amoroso costato e sacrate piaghe di Christo crocifisso, suo unico amore, che tenne satio ancora il corpo, però che la vedevamo che stando con la bocca attaccata al costato inghiottiva come quando si bee qualche liquore, dicendo anco qualche parola, per la quale si comprendeva che era da esse piaghe nutrita dolcemente.

Et così stette, come è detto, sino a 22 hore, che poi si risentì dal ratto [rapimento] e andò alli esercitii della religione. Et del tutto sia lodato e ringratiato il Signore.

 

S. Maria Maddalena

de' Pazzi

 

Seconda Probazione 188-189

Fiducia nonostante le imperfezioni

Innumerevoli sono le nostre imperfezioni, i nostri sforzi sterili e fiacchi, le nostre cadute frequenti. E alle volte chi non ha detto: Certamente il divin Cuore ne ha abbastanza di me. Sarà disgustato ed amareggiato alla vista della mia poca generosità… Se facciamo simili pensieri, non Lo conosciamo bene. Egli, Amore infinito, vede con gioia il germogliare e il crescere, sull'arida zolla della nostra anima, fra gli sterpi e le spine, i più piccoli fiorellini d'amore. Giardiniere infinitamente paziente e generoso, coltiva con sollecita cura le nostre anime. S che queste piccole orchidee sono delicate e richiedono cure continue. Innaffia, fertilizza, purifica. Ogni ramo, ogni foglia, ogni boccolo di fiore viene seguito con amore. I minimi segni di vita e di santità fanno esultare il Suo Cuore. Quanta pietà prova Egli verso l'impotenza dei nostri desideri! Come desidera aiutarci, sollevarci al di sopra di noi stessi, «fare ciò che noi non possiamo!». Come lavora instancabilmente a modificare, a riparare ciò che i nostri errori e le nostre infedeltà hanno guastato! Quando la nostra pazienza sembra orami giunta al colmo, la Sua è ancora intatta. Nulla Lo allontana, nulla Gli sembra troppo costoso, poiché, al di là di tutte le nostre debolezze, di tutte le cure e le sollecitudini che la nostra rilassatezza Gli richiedono, Egli vede quei fiori meravigliosi d'amore puro che un giorno, malgrado tutto, coroneranno i Suoi sforzi e Lo faranno gioire.

 

Paul de Jaegher

Fiducia, 145

 

SE UN'ANIMA SI DA' SINCERAMENTE A DIO

Se un'anima si dà sinceramente a Dio, Egli la lavora. E dolore e amore sono le materie prime di questo gioco divino. Dolore per affondare nell'anima voragini. Amore per lenire il dolore e amore ancora che riempie l'anima donandole l'equilibrio della pace.

L'anima avverte d'essere sotto la possente mano di Dio, e sta in silenziosa attesa a guardare, pur tra le lacrime, il lavoro dell'Amato.Ma alle volte Dio lavora l'anima al punto tale che essa è triturata in strazi più dolorosi della morte. Non sente più aiuto o appoggio spirituale da nessuno.Per essa tutta la terra è divenuta uno sterminato deserto.

 

Nasce allora un miracolo nuovo, una fiducia sconfinata, una confidenza disperata in quel Dio che, per prepararla al Cielo, permette i suoi dolori e le sue notti: e s'inizia tra Dio e l'anima un colloquio nuovo che solo Dio e l'anima conoscono. Ella dice: "Signore, Tu vedi come io sia circondata da tenebre di morte. Tu avverti l'incertezza estrema del mio spirito e sai che nessuno sembra possa tranquillizzarlo. Prenditi Tu cura di me. Io mi fido di Te. E nell'attesa di venire alla Vita, lavoro per Te, per gli interessi del Cielo".

E' come la corolla di un fiore apertasi all'amore di Dio e che, staccata dal gambo, sale nel sole, sempre più appresso alla sua luce e al suo calore. Finché nell'ora che Dio ha stabilito si confonderà con esso, non più incerta, non più sola, ma pacifica ormai per sempre nel mare infinito di pace che è Dio.

Chiara Lubich

  dal suo libro Meditazioni.

 

           

Atto umile di abbandono

Mio Dio e mio signore, eccomi di fronte a Te. Povera, piccola, senza niente.

Sono niente, non ho niente, non posseggo niente.

Ma sono qui ai tuoi piedi, da sola, annichilita nel mio niente.

Vorrei, sì, avere qualcosa da offrirti,

ma non sono e non ho se non miseria.

Tu, però, sei il mio tutto, Tu sei la mia unica ricchezza.

Mio Dio, ti ringrazio per avermi dato

il dono di capire che io niente sono di fronte a Te.

Sento che questo mi umilia, ma voglio amare queste umiliazioni.

Mio Dio, sia benedetto quando mi provi;

benedetto quando sembri abbandonarmi;

benedetto perché mi tratti come merito…

sei così buono nel tollerarmi di fronte a Te.

Toglimi tutto, però non togliermi

il desiderio di essere ai tuoi piedi,

di guardarti appena e di adorarti

e di mostrarti le mie miserie.

Trattami come vuoi,

ma non negarmi il tuo amore ed il tuo perdono.

Fammi vivere sempre preparata e pronta

alla tua chiamata. Amen!

Madre Leonia

POEMI

1. L'orazione mentale è un'elevazione dell'anima a Dio, ma lo Spirito Santo, che, secondo la parola divina, prega per noi con gemiti inesprimibili (cf Rm 8,26) non si applica alle anime nello stesso modo: alcune si elevano a Dio con la meditazione, altre con la contemplazione; alcune agiscono con gli aiuti ordinari della grazia, e sono in uno stato attivo, altre invece sono mosse da attrazioni straordinarie e sono in uno stato passivo.

2. Si va a Dio con i ragionamenti che l'intelletto fa sulle virtù della fede: questo si chiama meditazione. Si va a Dio con l'orazione affettuosa, che consiste in una moltitudine di slanci affettuosi che l'amore produce. Talvolta quando l'orazione diviene più semplice, gli slanci non sono frequenti e si rimane in un riposo più grande. Ci sono degli stati nei quali si rimane in uno sguardo d'amore molto semplice, ma del quale si può parlare perché ancora comprensibile. Ve ne sono altri dove si ama senza capire nulla, almeno non si percepisce nulla, ma solo si sente un certo non so che, il quale ci fa rendere conto che stiamo bene e che stiamo amando. Vi sono altri stati dove non si percepisce neanche questo: dove non si sente più niente, dove non si vede più se stessi, dove sembra essersi smarriti.

3. Ci sono orazioni con gusto, con consolazione, ve ne sono altre con pene e con grandi sofferenze. Ve ne sono altre le cui grazie sono così sensibili, così dolci, così attraenti, che e ore, i giorni, e le stesse notti intere sembrano durare un attimo; ve ne sono altre le cui secchezze, distrazioni, o la privazione di ogni sentimento, e talvolta la sofferenza di tentazioni orribili, rendono gli stati così penosi, da essere difficile perseverare senza una grande fedeltà.

4. Ci sono orazioni di luce e di oscurità. Talvolta, i sensi esteriori e quelli interiori rimangono raccolti e pacificati nell'amore di Dio insieme con l'intelletto; talvolta mentre le potenze e i sensi interiori sono raccolti e pacificati nell'amore di Dio, i sensi esteriori rimangono liberi, o almeno non sono interamente raccolti, ma distratti. Infine, ci sono stati che lasciano la mente distratta e così pure i sensi, poiché Dio opera nel fondo dell'anima in modo molto intimo, forte e santo…

5. È bene che le anime sappiano che lo Spirito di Dio conduce attraverso vie di orazione ben diverse, affinché esse si lascino andare alle sue divine attrazioni, senza fermarsi in nessuna via.

 

Enrico Maria Boudon

 

 

Il Regno di Dio nell'orazione mentale

I, 2.

UNA PREMESSA

La santità perfetta non è un punto di partenza, ma di arrivo. La nostra santità, che non è la santità dei santi del paradiso, è una santità in divenire, in cammino. Un cammino che non è esente da momenti di debolezza e di oscurità, ma che è realmente santità se mi trova sempre pronto a superarmi, a rialzarmi, a ricominciare da capo: questa è la nostra santità, questa è la mia santità!

UN CAMMINO DA PERCORRERE.

La vita cristiana è un CAMMINO. Un cammino è composto da un punto di partenza, una meta finale, una strada che unisce questi due punti e delle tappe.Il punto di partenza sono io nella mia concretezza attuale.La meta finale è il mio diventare vero, autentico e perfetto figlio di Dio.La strada da percorrere è Gesù Cristo, "il Figlio prediletto" (Lc 3,22), "Via, Verità e Vita" (Gv 14,6).Le tappe sono giornaliere, settimanali, mensili , annuali.

IL PUNTO DI PARTENZA: Accettarmi così come sono.

Chi si conosce fino in fondo? Solo Dio mi conosce in profondità e in verità!Chiedo allo Spirito Santo che mi introduca nello sguardo del Padre su di me: Lui mi ha pensato prima che esistessi, mi ha costruito nella sua fantasia prima che fossi concepito!

Qual'è allora la mia vera identità? La mia vera identità è racchiusa nel suo desiderio di Padre: che io sia un suo figlio buono e ubbidiente come Gesù!Questa la mia identità vera: sono figlio di Dio! Quanta grazia, quanta ricchezza, quanti talenti, quanta bellezza il Padre ha racchiuso nel mio nome?Chiedo allo Spirito Santo che mi renda consapevole di tutto il bene e il bello di cui sono portatore e ne ringrazio profondamente il Padre.

Ma la realtà della mia vita è anche portatrice di un mistero di tenebra, di negatività, di malizia, di bruttura… di peccato: non mi sono comportato, e – purtroppo – non mi comporto sempre da figlio!Chiedo allo Spirito di saper accettare la parte brutta di me: che io sappia guardarmi con quella compassione con cui mi guarda il Padre, che io possa avere pietà di me come ne ha il Padre. Il Padre che non può giustificare il peccato, ma che perdona il peccatore perché lo ama di amore eterno!

LA STRADA DA PERCORRERE: GESU' CRISTO

Ma cosa devo fare? Verso dove andare?Iniziamo una lettura appassionata del Vangelo di Gesù (magari comincio con il vangelo di Marco e possibilmente mi procuro anche un piccolo commento).

Man mano che leggo con amore il Vangelo non potrò fare a meno di sentire il fascino della persona divina di Gesù, la forza dei suoi gesti, la verità delle sue parole… mi annoto bene ciò che più colpisce il mio cuore: lì il Signore mi chiama a lavorare per trasformare il mio cuore di pietra nel suo cuore di carne!Se sarò fedele alla lettura del Vangelo ben presto comincerà a delinearsi in me quel "Gesù" che mi attira dolcemente: è Lui la mia identità nascosta, è Lui il mio vero "IO" che comincia ad affiorare nella mia psiche, Gesù Cristo è lo "Specchio Divino" in cui leggo il mio "nome nuovo" con cui il Padre mi chiama dall'eternità!

LE TAPPE

Le tappe giornaliere Sono due

Fisso per ogni giorno alcuni momenti (uno o due) in cui, con un movimento del cuore, lancio uno sguardo verso quel "mio Gesù" che mi attira e dico questa preghiera o altra simile: «Spirito Santo rivestimi nell'intimo di Gesù Cristo», e rimango qualche istante raccolto, tutto qui.

Alla sera farò questo esercizio spirituale:Ringrazierò il Padre che oggi ha continuato a donarmi il suo amore entrando ancora una volta nella mia vita.Mi metterò con tanta semplicità davanti alla mia giornata, prendendo consapevolezza di essa, di quello che è trascorso, chiedendo al Santo Spirito che la possa guardare con gli occhi di Gesù, e così io possa: scoprire con gioia quanto bene il Padre ha fatto oggi attraverso di me e ringraziarlo; e accettare le mie miserie e le mie sconfitte e avere compassione di me e gustare così la misericordia del Padre su di me.Chiederò quindi allo Spirito Santo di rivestirmi in profondità di Gesù Cristo riorientando il mio cuore verso quel "Gesù" che mi attrae con forza e soavità.

La tappa settimanale

È l'Eucaristia domenicale in cui mi offrirò al Padre insieme a quel Gesù che diventa sempre meno astratto e sempre più il "mio Gesù", il Signore della mia vita!

La tappa mensile

È la Confessione sacramentale in cui presenterò al Padre le mie sconfitte e il mio desiderio di orientarmi sempre più profondamente al "mio Gesù", il Signore della mia vita! [è chiaro che se durante il mese ho necessità di confessarmi per qualche caduta particolare, non aspetterò di confessarmi]

La tappa annuale

È un ritiro prolungato in cui approfondire l'intimità con il "mio Gesù", il Signore della mia vita!

LA META FINALE: È il giorno che non avrà tramonto nell'abbraccio del Padre: è l'incontro definitivo con il "mio Gesù", il Signore della mia vita!

Anonimo

IL SEGRETO DELLA SANTITÀ

 

   

I motivi che ci portano alla vita interiore

Art. 01: Non si progredisce nella perfezione se non si abbraccia la vita interiore

La vita esteriore dei religiosi che attendono al servizio del prossimo è assai imperfetta e perfin dannosa, se non è accompagnata dalla vita interiore, e quelli che si trovano in questi ministeri di carità e di zelo non faranno alcun notevole progresso nella perfezione se non esercitano la pratica del raccoglimento interno.

In primo luogo, non arriveranno mai alla perfezione della vita purgativa. Potranno averne talora qualche buon sentimento. Faranno alcune cose che il mondo giudicherà grandi. Predicheranno, faticheranno nelle missioni, attraverseranno i mari, si esporranno ai pericoli di morte, alle fatiche dei più lunghi viaggi per la salvezza del prossimo. Ma con tutto ciò non realizzeranno mai grandi progressi nella vita purgativa. Le loro azioni virtuose saranno in parte effetto della grazia ed in parte effetto della natura. Ma non faranno mai azioni puramente soprannaturali, e con speciosi pretesti l'amor proprio li spingerà sempre a seguire le proprie inclinazioni naturali ed a compiere la propria volontà. Vivacchieranno sempre così nei loro difetti e nelle loro imperfezioni solite, ritrovandosi in grande pericolo di dannazione, poiché, siccome si occupano di tutt'altro che di conoscere i traviamenti del proprio cuore, non pensano affatto a purificarlo; e questo va riempiendosi incessantemente di peccati e di miserie che indeboliscono a poco a poco le forze dell'anima, e arrivano infine a soffocare interamente la devozione e lo Spirito del Signore.

In secondo luogo, non arriveranno mai neppure alla perfezione della vita illuminativa, che consiste nel riconoscere in tutto la volontà di Dio, poiché solo gli uomini di vita interiore la potranno riconoscere in tutto. I Superiori, le regole, i doveri del proprio stato possono spingerci alle forme di attività esterna e fissarci la volontà di Dio in un determinato tempo o luogo; ma non riusciranno ad insegnarci il modo con cui Dio vuole che esplichiamo le nostre attività. So che Dio vuole che io, per esempio, preghi, quando, secondo la santa regola, la campana mi chiama all'orazione, ma la regola non dice in qual modo io mi devo comportare allora. Così il Superiore mi indicherà in concreto ciò a cui Dio vuole che io mi applichi, ma non mi dirà come io mi debba applicare a ciò. Per ben adempiere la volontà di Dio non basta sapere, per esempio, che il Signore vuole che io in questo momento scopi la mia cameretta, ma bisogna anche sapere quale pensiero mi deve occupare la mente mentre sto compiendo quest'atto esterno di umiltà impostomi dalla regola; il Signore infatti vuole regolare sia l'interno dei nostri atti, come la loro esteriorità. Io devo compiere la sua santa volontà nel mio modo di agire e nella sostanza dell'atto. Anzi Dio vuole governare anche le minime circostanze e la sua Provvidenza si estende alla direzione di tutte le potenze e dei moti del mio cuore; e se io non mi curo di tutto ciò, vi sarà del vuoto nelle mie azioni in quanto non saranno ripiene della volontà di Dio e non farò ciò ch'Egli vuole da me se non in parte, per metà; vi mancherà la parte migliore, che è l'interiore dell'azione. Così subirò grandi perdite di grazia e di gloria e, per di più, perdite irreparabili, anzi sarò causa che altri, di cui io per missione devo procurare la salvezza e la perfezione, subiranno le medesime perdite.

Dove potrò dunque conoscere la volontà di Dio riguardo al modo di compiere bene le azioni ch'Egli vuole ch'io faccia? È nell'interno e nel fondo del cuore, dove Dio fa risplendere la sua grazia per rischiarare la mia condotta. Se so rientrare in me stesso, prestare attenzione a Dio e conversare familiarmente con Lui, allora camminerò nella sua luce, che mi farà vedere ciò che desidera da me ed i mezzi per compierlo e inoltre la perfezione interna che in ciò mi deve accompagnare.

In terzo luogo, è evidente che costoro non arriveranno mai alla perfezione della vita unitiva, poiché questa consiste esclusivamente nell'unione interiore dell'anima con Dio.

Del resto, chiunque si propone di condurre una vita interiore e di attendere con sodezza alla vita spirituale ed alla preghiera, deve aspettarsi che gli altri abbiano da dire qualche cosa contro di lui, poiché ha raggiunto un certo grado, come pure deve attendersi di avere avversari ed altre difficoltà; ma Dio alla fine gli concederà pace e farà riuscire tutto a suo vantaggio ed al progresso della sua anima.

Louis Lallemant,

 

 

La dottrina spirituale

Quinto principio: Il Raccoglimento

della Vita Interiore

Capitolo 02

 

   

Una volta l'amor suo le disse nella mente: «1) Non dire mai "voglio" o non "non voglio" 2) Non dire mai "mio" ma sempre "nostro" 3) Non scusarti mai, ma sii sempre pronta ad accusarti».

Le disse ancora: «Quando reciterai la preghiera del Padre nostro prendi per suo fondamento le parole Fiat voluntas tua, cioè sia fatta la tua volontà in ogni cosa, nell'anima, nel corpo, nei figli, nei parenti, negli amici, nelle proprietà e in qualunque altra cosa che ti possa accadere, tanto di ben che di male.

Dall'Ave Maria prendi poi la parola Jesus, il quale ti stia sempre fisso nel cuore e ti sia dolce guida e scudo in tutte le necessità di questa vita.

Dal resto della Sacra Scrittura prendi infine per tuo fondamento la parola Amore, con il quale andrai sempre retta, senza macchia di peccato, leggera, sollecita, veloce, illuminata, senza errore e senza guiida né mezzo di altra creatura, perché l'amore non ha bisogno di aiuto, bastando a fare ogni cosa senza paura e senza fatica, a tal punto che il martirio gli pare soave. Vedi, non si può dire una minima scintilla della potenza dell'amore né dei suoi effetti, ma alla fine questo amore ti consumerà tutte le inclinazioni e i sensi dell'anima e del corpo da tutte le cose di questa vita».

S. Caterina da Genova

 

Vita mirabile – Dialogo – Trattato del Purgatorio

Città Nuova, 30

Dell'indifferenza che dobbiamo praticare in ciò che riguarda il nostro progresso nelle virtù

Dio ha comandato di fare tutto ciò che possiamo per acquistare le sante virtù; non dobbiamo dunque tralasciare nulla per il buon esito di questa santa impresa; ma, dopo che avremo piantato e innaffiato, dobbiamo ricordarci che spetta a Dio la crescita (cf 1Cor 3,6) alle piante delle nostre buone intenzioni e abitudini: ecco perché dobbiamo attendere il frutto dei nostri desideri e delle nostre fatiche dalla sua Divina Provvidenza. E se non avvertiamo il progresso del nostro spirito nella vita devota, come vorremmo, non turbiamoci, rimaniamo in pace, e la serenità regni sempre nei nostri cuori. È nostro compito coltivare bene le nostre anime, per cui dobbiamo impegnarci con fedeltà; ma quanto all'abbondanza del risultato e della messe, lasciamone la cura a Nostro Signore. Il contadino non sarà mai messo sotto accusa se non ottiene un buon raccolto, ma lo sarà certamente se non ha ben coltivato e ben seminato i campi.

Non inquietiamoci se ci scopriamo sempre novizi nell'esercizio delle virtù; nel monastero della vita devota ognuno sia contento di essere sempre novizio e tutta la vita sia destinata al probandato(1) ; poiché sentirsi e considerarsi professi(2) è il segno più evidente che non solo siamo novizi, ma meritiamo addirittura di essere espulsi e riprovati. […]

D'accordo, mi dirà qualcuno, ma se io so che è colpa mia se il mio progresso nella virtù è ritardato, come potrei impedirmi di rattristarmi e di inquietarmi. […]. [È vero, ma] bisogna rattristarsi per le colpe commesse, con un pentimento forte, solido, costante, sereno e non violento, né inquieto e scoraggiato. Sai che il ritardo nel cammino della virtù proviene dalla tua colpa? E allora, umiliati davanti a Dio, implora la sua misericordia, prosternati al cospetto della sua bontà e domandagli perdono, confessa la tua colpa anche al tuo confessore per averne l’assoluzione: ma fatto ciò, rimani in pace, e, una volta detestata l’offesa, abbraccia con amore l’abiezione [=la miseria] che c’è in te, per il ritardo nel progresso verso il bene. […]

Aspettiamo dunque con pazienza il nostro progresso e, anziché inquietarci per averne fatto così poco nel passato, procuriamo con diligenza di farne di più in avvenire.

(1) Il probandato è il periodo di tempo che precede l'entrata in noviziato

(2) Il professo è colui che fa la professione dei voti religiosi di povertà, castità e obbedienza al termine del noviziato.

S. Francesco di Sales

 

Trattato dell'amore di Dio o Teotimo

Libro IX, Cap. 7

Lettera a Suor M. Emerenziana Rosselin Londra, 1677

Cara sorella,

225. – … Nella sua prima lettera mi informa che non è affatto contenta di se stessa e che, delle volte, le passa per la mente di attribuire questo suo stato penoso a cause misteriose… Anche se avesse commesso qualche infedeltà, si ricordi che abbiamo a che fare con un Signore buono, e invece di scoraggiarsi, dovrebbe essere per lei motivo di maggior fervore per riparare questa debolezza.

226. – Se questi timori e scrupoli giungessero a turbarla, si guardi bene dal credere che ciò sia una virtù. È necessario servire Dio con tutto il cuore, non trascurare nulla per non offenderLo, ma bisogna far tutto con gioia, con cuore aperto e pieno di confidenza, nonostante le debolezze che avvertiamo e le colpe che commettiamo. Il turbamento nasce sempre da una causa non buona o da scarsa virtù. La vera virtù invece dà vita, coraggio, e spinge sempre sulla via del progresso. Il virtuoso trova magari, e a ragione, che fa poco e niente, ma non per questo perde la pace interiore. Tutte le emozioni che la inquietano e affievoliscono in lei la speranza di conquistare la santità, provengono sempre dallo spirito cattivo.

227. – Temo che, in effetti, lei sia un po' pigra e paurosa. Vuol sapere se lo è? Eccole i segni. È tentata di rimandare ad altra data ciò che deve fare o ha promesso di fare? Si stanca facilmente dopo aver cominciato a fare qualcosa di buono? Cambia spesso il metodo e le pratiche di devozione? Immagina che esistono dei traguardi superiori alle sue forze e riservati alle grandi sante? Omette di far qualcosa per rispetto umano, per paura di importunare le superiore o di condannare e mortificare le altre? Mantiene una coraggiosa sincerità con le persone alle quali deve manifestare il suo interno? È persuasa che deve accontentarsi di un fervore mediocre? È convinta che in fatto di obbedienza esistono cose trascurabili?

Ed eccole i rimedi: non si perdoni nulla; non dia retta a nessuna ripugnanza; cerchi di vincersi in tutte le occasioni; sia più che convinta che per fare o non fare una cosa ci dev'essere sempre un gran motivo; tenga presenti le difficoltà e le inclinazioni, sempre supposto che non si faccia nulla contro l'obbedienza.228. – Se fossi certo che lei si comporta così, non starei troppo in pena per la sua orazione, di cui si lamenta nella seconda lettera. Cara sorella, è un grande inganno, purtroppo comune, immaginarsi di aver poca o molta virtù secondo le poche o molte distrazioni nella preghiera. Ho conosciuto delle religiose, che, giunte ad un alto grado di contemplazione avevano spesso distrazioni dal principio alla fine della loro orazione.

228. La maggior parte delle persone che soffrono tanto per questi smarrimenti di spirito, sono anime tutte piene di amor proprio, che non riescono a sopportare la vergogna che provano davanti a Dio e agli uomini; non sanno soffrire la noia e la fatica che cagionano loro gli esercizi di pietà, e vorrebbero essere ricompensate delle loro mortificazioni con delle consolazioni sensibili. Eppure, cara sorella, anche se lei fosse rapita in estasi ventiquattro volte al giorno e io avessi ventiquattro distrazioni in una sola Ave Maria, se però io fossi umile e mortificato come lei, non vorrei cambiare le mie distrazioni involontarie con le sue estasi senza merito. In una parola, non vedo «devozione» dove non c'è mortificazione.

Si faccia continua violenza, specie del suo mondo interiore; non tolleri mai che la natura diventi sua padrona, che il suo cuore si attacchi a qualsiasi cosa, per qualsiasi motivo, e io la canonizzerò senza domandarle nemmeno come va la sua preghiera.

229. – Sono contentissimo che lei ami molto la sua vocazione; non so quali prove ne abbia; ma un buon segno è questo: quando stima l'esatta osservanza di una regola o di una minima prescrizione quanto i suoi voti.

230. – Della sua pensione o non ne ho mai inteso parlare o me ne sono dimenticato. Io, al suo posto, ne userei come se fosse la pensione di un altro, che non ho mai visto e conosciuto… La beatitudine della povertà quando mio Dio, verrà conosciuta e amata quanto Tu ami coloro che l'amano? A che cosa mi serve l'aver fatto il voto di essere povero, se poi temo che mi venga a mancare qualcosa? Se pretendo che mi si dia sicurezza che non mi mancherà niente come ai ricchi? Le confesso che non riesco a comprendere che razza di povertà sia questa e quale merito si possa avere nel praticarla.

231. – L'amicizia dei parenti è buona, quando però è in Gesù Cristo; ciò vuol dire: quando non genera affanno, turbamento e interesse, quando cioè niente si riceve e niente si regala…

La Colombière

S. Claudio La Colombière

 

Insegnamenti spiritualiI TURBAMENTI E L'ORAZIONE DISTRATTA