Bocconcini spirituali 2012

ARCHIVIO BOCCONCINI 

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– Non permettete che nessuno venga a voi e se ne vada senza essere più felice. BEATA MADRE TERESA
DI CALCUTTA

(1910 † 1997)

 

 

 

 

 

 

 

  25 dicembre 1955 –
Anche se Cristo nascesse mille e diecimila volte a Betlemme,
a nulla ti gioverà se non nasce almeno una volta nel tuo cuore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma come potrà accadere questa nascita interiore?

Eppure questo miracolo nuovo non è impossibile
purché sia desiderato e aspettato.

Il giorno nel quale non sentirai una punta di amarezza e
di gelosia dinanzi alla gioia del nemico o dell'amico,
rallegrati perché è segno che quella nascita è prossima.

Il giorno nel quale non sentirai una segreta onda di piacere
dinanzi alla sventura e alla caduta altrui, consolati perché la nascita è vicina.

Il giorno nel quale sentirai il bisogno di portare un po' di letizia a chi è triste e l'impulso di alleggerire il dolore o la miseria anche di una sola creatura, sii lieto perché l'arrivo di Dio è imminente.

E se un giorno sarai percosso o perseguitato dalla sventura e perderai salute e forza, figli e amici e dovrai sopportare l'ottusità, la malignità e la gelidità dei vicini e dei lontani; ma nonostante tutto non ti abbandonerai a lamenti né a bestemmie e accetterai tutto con animo sereno, esulta e trionfa perché il portento che pareva impossibile è avvenuto e il Salvatore è già nato nel tuo cuore.

Giovanni Papini
(1881 †1956)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

–  In realtà ciascun uomo non può pienamente donarsi agli altri, né gli altri possono pienamente donarsi a lui. Viviamo fra noi una vita che è solo immagine di quella vera. Nel rapporto con le cose e con gli uomini tu ti senti sempre defraudato di qualcosa.
Indipendentemente dalla fame dell'uomo che è fame dell'Infinito, dell'Assoluto, solo nel rapporto con Dio tu vivi pienamente l'amore. Altra comunione è impossibile se non con Lui, Lui solo che ti ha fatto ti conosce, più di quanto tu conosca te stesso. Per questo tu credi di donarti, e ti rimane sempre tanto da fare, perché neppure tu conosci chi sei. Ma Lui ti conosce; per questo Egli solo può riceverti tutto. Soltanto Lui che ti ha creato e ti ha voluto, ora ti pretende. Gli altri non ti vogliono mai pienamente, tant'è vero che possono vivere senza di te; hanno fatto senza di te prima, possono fare senza di te dopo. Ma tu non puoi vivere senza Dio e Dio non può vivere senza di te.
Quest'affermazione è certamente troppo arrischiata, si dirà. No, affatto. A tal punto non può vivere senza di te che, se tu gli manchi, Egli stesso muore d'amore. Il peccato dell'uomo uccide Dio, naturalmente non nella natura divina, ma nella natura umana che Egli ha assunto per tuo amore; tuttavia il fatto che Egli muoia per nostro amore, per l'ingratitudine umana, vuol dire che Egli non può sentire la tua mancanza senza morire. Egli ti vuole, Egli solo ti ha voluto, e ti ha voluto così, così come sei. Com'è meraviglioso tutto Questo! Noi possiamo pensare che certe persone ci amino; ma questo avviene perché non ci conoscono; se ci conoscessero… Per Dio, invece è il contrario: Egli mi ha fatto così proprio perché mi vuole così. Non vuole i peccati, certo, ma quello che rimane del mio fisico, del mio temperamento, è Lui che l'ha voluto, perché me l'ha dato così, dunque mi ama così. E quanto hai ricevuto da Lui, questo devi riportarGli.
Don Divo Barsotti
(1914 † 2006)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La presenza del Cristo
Vita e pensiero, Milano, 28-29.

–  Quando in me provo dell’amarezza, io pongo questa amarezza fra Dio e me, e lo prego fino a quando Egli la trasforma in dolcezza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

– Lo stato d’animo, la posizione ultima del cuore in Avvento è quella di disporsi a sciogliere la propria durezza perché il Signore venga. L’Avvento non è Lui che torna a venire, ma è Lui che torna a venire in me. È in me che deve essere capito, amato, conosciuto, quindi, seguito di più. L’Avvento non è un’altra sua venuta, oggettiva, storica, ma il riaccadere della sua presenza nella profondità del cuore, affinché lo comprendiamo di più, lo amiamo di più.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mons Luigi Negri

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Mistero si fa presenza
Ancora, 10

 

 

Tu, Signore, sei buono e misericordioso; con la tua mano esplorando la profondità della mia morte, hai ripulito dal fondo l’abisso di corruzione del mio cuore. Ciò avvenne quando non volli più ciò che volevo io, ma volli ciò che volevi tu. Dov’era il mio libero arbitrio durante una serie così lunga di anni? da quale profonda e cupa segreta fu estratto all’istante, affinché io sottoponessi il collo al tuo giogo lieve e le spalle al tuo fardello leggero, o Cristo Gesù, mio soccorritore e mio redentore? Come a un tratto divenne dolce per me la privazione delle dolcezze frivole! Prima temevo di rimanerne privo, ora godevo di privarmene. Tu, vera, suprema dolcezza, le espellevi da me, e una volta espulse entravi al loro posto, più soave di ogni voluttà, ma non per la carne e il sangue; più chiaro di ogni luce, ma più riposto di ogni segreto; più elevato di ogni onore, ma non per chi cerca in sé la propria elevazione. Il mio animo era libero ormai dagli assilli mordaci dell’ambizione, del denaro, della sozzura e del prurito rognoso delle passioni, e parlavo, parlavo con te, mia gloria e ricchezza e salute, Signore Dio mio. S. Agostino d'Ippona
(354 †430)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Confessioni, IX, 1,1

CHIESI A DIO…
– Chiesi a Dio di essere forte per eseguire progetti grandiosi: Egli mi rese debole per conservarmi nell'umiltà.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Domandai a Dio che mi desse la salute per realizzare grandi imprese: Egli mi ha dato il dolore per comprenderla meglio.

Gli domandai la ricchezza per possedere tutto: mi ha fatto povero per non essere egoista.

Gli domandai il potere perché gli uomini avessero bisogno di me: Egli mi ha dato l'umiliazione perché io avessi bisogno di loro.
 
Domandai a Dio tutto per godere la vita:mi ha lasciato la vita perché potessi apprezzare tutto.

Signore, non ho ricevuto niente di quello che chiedevo, ma mi hai dato tutto quello di cui avevo bisogno e quasi contro la mia volontà.

Le preghiere che non feci furono esaudite.

Sii lodato, o mio Signore, nessuno possiede quello che ho io.

 [Video]

L'«ANGELO BIONDO»
[Kirk Kilgour]

Il campione di pallavolo che la paralisi bloccò nella pienezza della sua giovenizza e che l'11 febbraio 2000, al Giubileo del Malato, fece piangere il mondo con questa sua preghiera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

– L'uomo è un essere che ha un centro "eccentrico", nel senso che tanto più si trova nel suo centro quanto più si porta verso un altro da sé con la «A» maiuscola, ma senza uscire da sé; quanto più l'io accetta di essere un essere che ha un centro – e il centro è tutto proiettato non verso se stesso, ma verso un Altro, che tuttavia non lo fa uscire da se stesso – tanto più, trovando Lui trova anche sé: questo è il paradosso. L'uomo ha bisogno di ritrovarsi, ma ritrova se stesso ritrovando un Altro, perché è riferito ad un Altro; quanto più rifiuta questo riferimento, ritrova se stesso ma si trova ripiegato su di sé, senza trovare il vero Centro. GIOVANNI MOIOLI,
(1931 † 1984)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Itinerario di comunione. Il "Castello interiore" di
Teresa di Gesù,

Edizioni OCD, 99-100.

– «Beati gli afflitti, perché saranno consolati» (Mt 5,4). […] È lo stesso Gesù che viene a consolare  l’uomo e a permettergli di essere se stesso, di essere gioioso. Dopo la pioggia appare il sole, e appare con una limpidezza e una purezza nuove, come se fosse stato lavato, purificato. «Beati gli afflitti, perché saranno consolati». Perché sia più perfetta, più limpida quanto più questo pianto è stato intenso e quanto più l’amore che ci consola è forte e grande. Non dobbiamo intendere: «Saranno consolati» in modo esteriore. «Saranno consolati» in quanto assaporeranno di più la presenza dell’amico, la cui assenza li fa piangere; saranno consolati perché la presenza sarà più interiore, più profonda. [Cliccare qui per leggere il seguito]
(1912 †2006)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fuoco sulla terra.
Colloqui sulle beatitudini
Città Nuova, 101-103
 
– "Signore nostro Dio, coronali di gloria e di onore!", dice il sacerdote, nella liturgia ordotossa, dopo aver imposto le corone sul capo degli sposi … Ogni famiglia è effettivamente un regno, una piccola chiesa e, dunque un sacramento del regno e una via che riconduce. Da qualche parte, anche se è solo in una piccola stanza, ogni uomo, a un certo momento della sua vita, ha il suo piccolo regno. Può essere l'inferno e un luogo di tradimento, oppure no. Dietro ad ogni finestra c'è un piccolo mondo che vive la sua vita. Come è evidente tutto questo quando si viaggia in treno di notte e si passa davanti a tante finestre illuminate! Dietro a ciascuna di loro, la pienezza della vita è una "possibilità data", una promessa, una visione. Ecco che cosa esprimono le corone nuziali: che questo è l'inizio di un piccolo regno che può essere qualcosa di simile al regno vero. La possibilità andrà perduta, forse anche in una sola notte; ma in questo momento è una possibilità aperta. E tuttavia, anche quando questa possibilità è andata perduta, e riperduta ancora un migliaio di volte, se i due restano insieme, sono in un senso del tutto reale il re e la regina l'uno per l'altra. E dopo quarant'anni e più, Adamo può ancora voltarsi e vedere Eva al suo fianco, in una unità con lui che, almeno in piccolo, proclama l'amore per il regno di Dio. Al cinema e nelle riviste l'"icona" del matrimonio è sempre una coppia giovane. Ma una volta, nella luce e nel tepore di un pomeriggio d'autunno, chi scrive vide sulla panchina di una pubblica piazza, in un povero sobborgo parigino, una coppia vecchia e povera. Sedevano tenendosi per mano, in silenzio, godendo la luce pallida, l'ultimo calore della stagione. In silenzio: tutte le parole erano state dette, tutta la passione esaurita, tutte le tempeste placate. La vita intera era dietro le spalle: eppure tutto di essa era presente in quel silenzio, in quella luce, in quel calore, in quell'unione silenziosa delle mani. Presente, e pronto per l'eternità, maturo per la gioia. Questa è rimasta per me la visione del matrimonio, della sua bellezza celeste. Alexander
Schmemann

(1921 †1983)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per la vita del mondo.
Il mondo come sacramento

 

Lipa, 114-115

Quando nel 1975 sono stato messo in prigione, una domanda angosciosa si è fatta strada in me: «Potrò celebrare ancora l'Eucaristia?». Fu la stessa domanda che, più tardi, mi hanno rivolto i fedeli. Appena mi hanno visto, mi hanno chiesto: «Ma ha potuto celebrare la Santa Messa?» […]  Quando sono stato arrestato, ho dovuto andarmene subito, a mani vuote. L'indomani, mi è stato permesso di scrivere ai miei per chiedere le cose più necessarie: vestiti, dentifricio… Ho scritto: «Per favore, mandatemi un po' di vino, come medicina contro il mal di stomaco». I fedeli hanno subito capito. Mi hanno mandato una piccola bottiglia di vino per la Messa, con l'etichetta: «Medicina contro il mal di stomaco», e delle ostie nascoste in una fiaccola contro l'umidità. La polizia mi ha domandato: – Lei ha mal di stomaco? – Sì. – Ecco, un po' di medicina per lei.
Non potrò mai esprimere la mia grande gioia: ogni giorno, con tre gocce di vino e una goccia d'acqua nel palmo della mano, ho celebrato la Messa. Era questo il mio altare ed era questa la mia cattedrale! […] Ogni volta avevo l'opportunità di stendere le mani e di inchiodarmi sulla croce con Gesù, di bere con lui il calice più amaro. Ogni giorno, recitando le parole della consacrazione, confermavo con tutto il cuore e con tutta l'anima un nuovo patto, un patto eterno fra me e Gesù, mediante il suo sangue mescolato al mio. Erano le più belle Messe della mia vita!
Testimoni della speranza,
Città Nuova 165-168.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

– […] il dimorare del Figlio di Dio nella «casa vivente», nel tempio, che è Maria, ci porta ad un altro pensiero: dove abita Dio, dobbiamo riconoscere che tutti siamo «a casa»; dove abita Cristo, i suoi fratelli e le sue sorelle non sono più stranieri. Maria, che è madre di Cristo è anche nostra madre, ci apre la porta della sua Casa, ci guida ad entrare nella volontà del suo Figlio. È la fede, allora, che ci dà una casa in questo mondo, che ci riunisce in un’unica famiglia e che ci rende tutti fratelli e sorelle. Contemplando Maria, dobbiamo domandarci se anche noi vogliamo essere aperti al Signore, se vogliamo offrire la nostra vita perché sia una dimora per Lui; oppure se abbiamo paura che la presenza del Signore possa essere un limite alla nostra libertà, e se vogliamo riservarci una parte della nostra vita, in modo che possa appartenere solo a noi. Ma è proprio Dio che libera la nostra libertà, la libera dalla chiusura in se stessa, dalla sete di potere, di possesso, di dominio, e la rende capace di aprirsi alla dimensione che la realizza in senso pieno: quella del dono di sé, dell’amore, che si fa servizio e condivisione.

La fede ci fa abitare, dimorare, ma ci fa anche camminare nella via della vita. Anche a questo proposito, la Santa Casa di Loreto conserva un insegnamento importante. Come sappiamo, essa fu collocata sopra una strada. La cosa potrebbe apparire piuttosto strana: dal nostro punto di vista, infatti, la casa e la strada sembrano escludersi. In realtà, proprio in questo particolare aspetto, è custodito un messaggio singolare di questa Casa. Essa non è una casa privata, non appartiene a una persona o a una famiglia, ma è un’abitazione aperta a tutti, che sta, per così dire, sulla strada di tutti noi. Allora, qui a Loreto, troviamo una casa che ci fa rimanere, abitare, e che nello stesso tempo ci fa camminare, ci ricorda che siamo tutti pellegrini, che dobbiamo essere sempre in cammino verso un’altra abitazione, verso la casa definitiva, verso la Città eterna, la dimora di Dio con l’umanità redenta (cfr Ap 21,3).

[Cliccare qui per leggere tutta l’omelia]

Dall'omelia del
Santo Padre
Benedetto XVI
del 4 ottobre 2012 a Loreto

 

11. Maria vive con gli occhi su Cristo e fa tesoro di ogni sua parola: « Serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore » (Lc 2, 19; cfr 2, 51). I ricordi di Gesù, impressi nel suo animo, l'hanno accompagnata in ogni circostanza, portandola a ripercorrere col pensiero i vari momenti della sua vita accanto al Figlio. Sono stati quei ricordi a costituire, in certo senso, il 'rosario' che Ella stessa ha costantemente recitato nei giorni della sua vita terrena.
Ed anche ora, tra i canti di gioia della Gerusalemme celeste, i motivi del suo grazie e della sua lode permangono immutati. Sono essi ad ispirare la sua materna premura verso la Chiesa pellegrinante, nella quale Ella continua a sviluppare la trama del suo 'racconto' di evangelizzatrice. Maria ripropone continuamente ai credenti i 'misteri' del suo Figlio, col desiderio che siano contemplati, affinché possano sprigionare tutta la loro forza salvifica. Quando recita il Rosario, la comunità cristiana si sintonizza col ricordo e con lo sguardo di Maria.
Giovanni Paolo II

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dalla Lettera Apostolica Rosarium Virginis Mariae

[Cliccare qui per leggere tutta la Lettera Apostolica]

La perfezione [dell’amore] non consiste nell'abbondanza delle consolazioni, né diminuisce o viene meno a causa delle desolazione, delle distrazioni e di altri difetti simili, delle tenebre della mente e della tiepidezza di volontà. Il modo della divina Provvidenza nella direzione delle anime suole essere questo: all'inizio attrae alle cose divine, concede fervore, prontezza di volontà, luce e consolazioni per mezzo dei quali vince facilmente i vizi della natura. Ma poi, progredendo, sottrae l'aiuto, perché non ci inebriamo e siamo ingannati dall'amor proprio, affinché ci appoggiamo a Dio solamente e, con le nostre forza, con l'aiuto della grazia, come soldati, ci procuriamo una solida virtù. Se non avverte ciò, l'anima si abitua molto ad appoggiarsi scioccamente alle consolazioni, diventa instabile, con grandissimo pericolo di rovina; si abitua malamente, dirò, ad insuperbirsi troppo nelle consolazioni e ad abbattersi nelle desolazioni, come se allora si trattasse in lei di una malattia: anche questa è una specie di apatia. Achille Gagliardi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Direttorio Spirituale.
San Paolo, 155-156

– La morte presenta in modo drammatico il problema del senso della vita perché in essa si manifesta il paradosso fondamentale dell'esistenza umana: nella vita è implicata la morte, e nella morte lo è la vita. Infatti capire che la vita "ha un senso" significa pensarla sempre in rapporto alla morte. Come chiamare la vita, si chiede Agostino, «una vita mortale o una morte vitale?» (Confessioni, I, 6, 7). Si può presentare il problema da due angolature, quella del senso stesso dell'esistenza, e quella del senso dell'agire umano; tutte e due sono profondamente legate alla copresenza vita/morte. Per quanto riguarda il senso stesso dell'esistenza umana, è chiaro che non includervi la morte significherebbe pensarla come una realtà estranea alla vita, che si aggiunge dall'esterno, la distrugge e la rende assurda. Questa infatti è la posizione di Sartre… Come ha detto Paul Claudel Gesù non è venuto al mondo per spiegare o abolire la sofferenza, ma per assumerla e trasformarla in strumento di salvezza: «Dio non è venuto per spiegare, ma per riempire». Il Cristo non ha abolito la sofferenza e non ci ha voluto neppure interametne svelare il mistero: l'ha presa su di sé, ha caricato la croce per noi, e ciò è sufficiente perché noi ne comprendiamo tutto il prezzo. […] Con la venuta di Cristo, la sofferenza umana è stata ridimensionata: il dolore è stato vincolato all'amore. Da allora in poi, la croce si è trasformata in culla dell'amore, e l'amore in carezza di dolore. Ramon Lucas Lucas

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Orizzonte verticale.
Senso e significato della persona umana.

San Paolo, 93.

 

4. Si è simili a Dio quando si agisce per la sua gloria

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tutti gli uomini siamo ad immagine di Dio; ma l'essere a sua somiglianza è solo di coloro che con grande amore hanno asservito la loro libertà a Dio. Quando infatti non siamo più nostri ma di Dio, allora siamo simili a Colui che ci ha trasformati in Sé per amore. Ma tale meta nessuno raggiungerà, se non indurrà la propria anima a non lasciarsi muovere dalla povera gloria del mondo.

 

[Cliccare qui per leggere altri passi del testo]

S. DIADOCO
DI FOTICE
(400 †474c.)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cento considerazioni sulla fede
Città Nuova, 26

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



La parte del sentimento è il cuore.
Se l’uomo conservasse sempre nella parte razionale il buonsenso e in quella attiva il giudizio, incontrerebbe meno circostanze spiacevoli per il suo cuore, nella vita, e di conseguenza sarebbe più felice. Però, la parte razionale raramente si conserva come dovrebbe, dandosi ai sogni e alla distrazione e quella attiva devia dalla sua normale direzione, trascinata dai desideri incostanti, che hanno come origine le necessità naturali, ma che sono provocate dalle passioni. Per questo il cuore non trova quiete, e non può trovarla finché quelle parti rimangono in tale condizione. Sono le passioni a tiranneggiare più di tutto il cuore. Se non ci fossero le passioni, ci sarebbero certamente cose spiacevoli, ma esse non tormenterebbero il cuore come lo tormentano le passioni. Guardate come l’ira brucia il cuore, come lo dilania l’odio! Come lo corrode l’invidia maligna! Quante ansie e sofferenze porta con sé la vanagloria insoddisfatta o disonorata! Come pesa l’offesa, quando si soffre di alterigia! Se si guarda con attenzione, si comprende che tutte le ansie e i dolori del cuore provengono dalle passioni. Queste cattive passioni, quando sono soddisfatte danno gioia, ma brevemente; se invece non sono soddisfatte o, viceversa, incontrano ostacoli, provocano una pena prolungata e insopportabile. […]  Chi si libera dalle passioni, dia pure la volontà al cuore, ma finché le passioni avranno forza, consegnare la volontà al cuore significa cedere ad ogni passo falso.
[Cliccare qui per leggere l’intero capitolo]
TEOFANE
IL RECLUSO
(1835 †1888)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La vita spirituale. Lettere

Città Nuova, 35-38

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

– È penoso il constatare come nello stesso momento in cui la grazia sensibile ci ha staccati dalla terra, sentiamo in noi, come S. Paolo, il pungolo del male e tutta la debolezza della nostra miseria. Ma per noi è bene che sia così. Con quale facilità potremmo essere vinti dall’orgoglio o dalla pigrizia se noi, sicuri della grazia, non avessimo più niente a temere dalla fragilità della nostra natura! Poiché quale giubilo non deve circondare il nostro cuore se riflettiamo quale razza celeste è mai la nostra!
Se ciò non è che pura verità, è vero altresì che la nostra natura elevata che noi possediamo non appartiene al nostro essere – non essendo noi della casata divina – ma ci è stata donata dalla grazia venutaci da Dio. Lucifero dimenticò questa verità quando riguardò con compiacenza lo splendore della sua celeste bellezza, e la dimenticò pure Eva nel Paradiso, quando si lasciò ingannare da esso.
È appunto perché anche noi la dimentichiamo, che Dio, insieme alla grazia santificante, non ci ha voluto ridonare allo stesso tempo quei doni per i quali i nostri progenitori nel Paradiso potevano vivere nella loro carne in modo così felice e pacifico come se non avessero avuto una natura carnale. Noi sentiamo troppo bene che siamo fatti del fango della terra e così non avremo l’ardire di vantarci di alcuna cosa. Poiché noi per la la grazia siamo elevati come l’Apostolo al terzo cielo, così anche a noi è stato dato quel pungolo della carne che ci deve mantenere più onesti pieni di rossore e di confusione e deve bene stabilirci nella santa umiltà.
Ma questa confusione non deve però toglierci l’alta stima della nostra celeste dignità. Più siamo interamente consapevoli della nostra debolezza, più dobbiamo riconoscere che il buono che agisce in noi non viene da noi, ma bensì da una forza superiore, dalla grazia di Dio. E poiché questa ci ricerca sempre di nuovo nonostante le nostre lotte e le nostre infedeltà, deve essere questo per parte nostra il potente impulso a sperare che essa non ci abbandonerà, ma che anzi, riuscirà infine vittoriosa. Anche noi possiamo dire con lo stesso Apostolo: «Io mi glorio nelle mie infermità, poiché quando io sono debole, sono potente» (2Cor 12,9-10).
MATHIAS
JOSEPH
SCHEEBEN
(1835 †1888)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le meraviglie
della Grazia
divina
Lateran Universiity
Press,
122-123

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

–  La gioia dipende dall’amore. Se avrete un grammo di amore, avrete un grammo di gioia.
Se il vostro amore supera ogni misura, così sarà anche la vostra gioia. 

Un pensiero del card. John B. Wu
(1925 † 2002
)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fu vescovo di Hong Kong
dal 1975 al 2002

 

 

 

 

 

 

 

 

 

– Fratelli, tutti i giorni siamo chiamati alle solite occupazioni: nobili, ma monotone e spesso faticose. Fratel­li, attenti a non lasciarvi vincere dall'abitudine, e vegliate perché i Sacramenti non perdano agli occhi vostri il loro carattere divino; atten­ti che il vostro Maestro non vi di­venti tra le mani «un oggetto indif­ferente»; attenti a non perdere la stima cristiana per gli ammalati e i poveri; attenti a che i fanciulli non vi diventino cagione di noia, og­getto d'avversione i peccatori. Ma che dico? Siate attenti a una cosa sola, a non diventare dei preti me­stieranti.
State bene attenti: sappiate star fer­mi nel proposito di farvi santi come lo siete in quello di salvarvi. Solo così il continuo contatto con i santi Sacramenti sarà per voi una fonte ricchissima di consolazioni e di edi­ficazione.
Fa abitare la sterile nella sua casa
Restate sul sentiero della santità! Allora il vostro Maestro sarà l'ami­co intimo del vostro cuore, allora Egli vi si farà conoscere «nella frazione del panes» (Lc 24,35), e in nessun luogo lo riconoscerete più facilmen­te e lo visiterete più volentieri che nell'Ostia così spesso maneggiata. Continuate a tendere alla perfezio­ne! Allora i vostri malati diventeran­no i vostri più validi collaboratori, e voi avrete per essi le più belle pa­role di consolazione. Allora amere­te i vostri poveri e vedrete in essi i veri fratelli di Cristo, e ben presto vi sentirete nei loro confronti piut­tosto dei debitori che dei creditori. I fanciulli, nonostante i loro difetti, saranno i prediletti del vostro cuo­re e voi i loro: essi diventeranno per voi come una grande famiglia spirituale di cui voi sarete il padre: « Fa abitare la sterile nella sua casa quale madre gioiosa di figli» (Sal. 113,9). [cliccare qui per leggere tutta la lettera].
Dalla Lettera ai sacerdoti
del Beato
Edoardo Poppe

– Quanto spesso sentiamo dire, specialmente quando la ferita ci pare particolarmente grave: «Come posso perdonare ciò che mi è stato fatto?». Eccoci di fronte ad un primo fraintendimento: si tratta di perdonare non già ciò che ci è stato fatto, bensì colui che ha causato la nostra sofferenza. Il perdono è una grande novità che ci viene in dono dal cristianesimo e costituisce la parte che tocca assolutamente a noi nell'opera di redenzione e di liberazione del mondo.
 
Marino Parodi
SCOPRI LA FORZA DELLA GIOIA
CHE È IN TE.
Dieci piccoli passi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

per la felicità.
San Paolo, 79

– L'incarnazione per noi, dopo il peccato, significa la rivelazione di Dio nell'opera della redenzione. Dio si rivela come amante degli uomini, amico dei peccatori, Colui che salva. L'incarnazione è il segno che l'amore di Dio non conosce abissi di separazione, che tutto appartiene a Lui, anche quell'abisso creato dalla volontà dell'uomo che vuol essere lui l'epicentro di tutto, un altro dio. Anche questo abisso è scavato dentro all'amore di Dio, perché per Dio non c'è un fuori. L'incarnazione fa vedere che l'amore di Dio include anche la libertà pervertita, opera del peccato dell'uomo. Nulla è fuori dell'amore. Ma, all'interno dell'amore, l'uomo si può creare un impero di autoaffermazione, proprio perché Dio lo ama, cioè gli dà lo spazio della libertà. L'incarnazione manifesta che la distanza tra Dio e il creato è misurata sull'amore e che nessun peccato può distruggere Colui che è amore. L'amore unisce lasciando liberi, abbraccia creando lo spazio della libertà, ama senza costrizione. In questo senso l'amore è debole, fragile, umile, povero, si nasconde ed è presente alla maniera dell'assente, per non dare fastidio. Proprio così Dio è sceso nel mondo e si è fatto uomo. La contemplazione dell'umiltà del Dio onnipotente, della povertà del Dio assoluto e ricco di tutto e la pazienza del Dio Signore e Giudice dell'universo intero è ciò con cui si comincia [il cammino di una autentica vita spirituale].
IL CAMMINO DELLA VOCAZIONE CRISTIANA
Di risurrezione in risurrezione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

– Purtroppo oggi la mentalità dominante non aiuta la formazione di una buona coscienza. Immersi nel clima del relativismo dilagante, tanti si trovano a non sapere neppure più giudicare se i propri comportamenti sono o non sono buoni. Davanti a tanti comportamenti assai differenti e addiritura contrastanti tra loro, ma tutti tacitamente approvati, accade che facilmente le coscienze diventino confuse e si facciano come impermeabili alla luce della verità, anzi, anche che solo parlare di verità sembri proibito. Ecco il relativismo. Allora non c'è più neppure la possibilità di una verifica, di una sana inquietudine. Fino a quando la coscienza è inquieta, fino a quando si domanda: «Ma è giusto?», significa che è ancora viva, che è sensibile al bene e al male; quando, invece, si arrivasse a pensare e ad agire «come fanno tutti», senza più porsi domande, allora la coscienza sarebbe già sprofondata in un sonno mortale, stordita da altre voci che la guidano «altrove», in mille direzioni. Bisogna lottare con tutte le forze contro questo assopimento dello spirito:
«Tieni la tua mente sempre rivolta a Dio – esorta Simeone Studita – quando dormi, quando sei sveglio, quando mangi, quando parli con qualcuno, quando fai un lavoro manuale e in qualsiasi altra attività, secondo le parole del profeta: Vedevo sempre il Signore davanti a me (Sal 15,8) e ritieni di essere più peccatore di ogni altro uomo. Quando, con il tempo, questo ricordo di Dio si sarà stabilmente radficato in te, allora spontaneamente sorgerà nella tua mente una luce, illuminandoti e insegnandoti a discernere il bene dal male. Però, fratello, devi faticare molto con l'aiuto di Dio, perché questa luce venga ad abitare stabilmente nella tua anima e la illumini come la luna fa con l'oscurità della notte» (SIMEONE STUDITA, Discorso ascetico).
Anna Maria Canopi,
Tu mi hai preso per mano. Educare alla vita in Cristo.

EDB, 75-76.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

– Janet, una handicappata della nostra comunità mi disse: «Henri, mi puoi benedire?» Io risposi alla sua richiesta in maniera automatica tracciando con il pollice il segno della croce sulla sua fronte. Invece di essere grata, lei protestò con veemenza: «No, questa non funziona. Voglio una vera benedizione!» Mi resi subito conto di come avevo risposto in modo formalistico alla sua richiesta e dissi: «Oh, scusami ti darò una vera benedizione quando saremo tutti insieme per la funzione». Lei mi fece un cenno con un sorriso e io compresi che mi si richiedeva qualcosa di speciale. Dopo la funzione, quando circa una trentina di persone erano sedute in cerchio sul pavimento, io dissi: «Janet mi ha chiesto di darle una benedizione speciale. Lei sente di averne bisogno adesso». Mentre stavo dicendo questo, non sapevo cosa Janet volesse veramente. Ma Janet non mi lasciò a lungo nel dubbio. Appena dissi: «Janet mi ha chiesto di darle una benedizione speciale», lei si alzò e venne verso di me. Io indossavo un lungo abito bianco con ampie maniche che coprivano sia le mani che le braccia. Spontaneamente Janet mi cinse tra le sue braccia e pose la testa contro il mio petto. Senza pensare, la coprii con le mie maniche al punto da farla quasi sparire tra le pieghe del mio abito. Mentre ci tenevamo l'un l'altra io dissi: «Janet, voglio che tu sappia che sei l'Amata Figlia di Dio. Sei preziosa agli occhi di Dio. Il tuo bel sorriso, la tua gentilezza verso gli altri della comunità e tutte le cose buone che fai, ci mostrano che bella creatura tu sei. So che in questi giorni ti senti un po' giù e che c'è della tristezza nel tuo cuore, ma voglio ricordarti chi sei: sei una persona speciale, sei profondamente amata da Dio e da tutte le persone che sono qui con te».
Appena dissi queste parole, Janet alzò la testa e mi guardò; il suo largo sorriso mi mostrò che aveva veramente sentito e ricevuto la benedizione. Quando Janet tornò al suo posto, un'altra donna handicappata alzò la mano e disse: «Anch'io voglio una benedizione». Si alzò e, prima che mi rendessi conto, mise il suo viso contro il mio petto. Dopo che io le dissi parole di benedizione, molti altri handicappati vennero, esprimendo lo stesso desiderio di essere benedetti. Ma il momento più toccante si verificò quando uno degli assistenti, un giovane di ventiquattro anni, alzò la mano e disse: «E io?» «Certo», risposi. «Vieni». Lui venne e quando ci trovammo di fronte, lo abbracciai e dissi: «John, è così bello che tu sia qui. Tu sei l'Amato Figlio di Dio. La tua presenza è una gioia per tutti noi. Quando le cose sono difficili e la vita è pesante, ricordati sempre che tu sei Amato di un amore infinito». Pronunciate queste parole, egli mi guardò con le lacrime agli occhi e disse: «Grazie, grazie molte».
Henri J.M. Nouwen, Sentirsi amati, Queriniana, 57-59

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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– Il mondo è la casa della divina Provvidenza: meno io mi occupo di me e più se ne occupa Dio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

– Non esiste né in Francia né altrove, un uomo così depravato, né una donna così perduta che, se conoscesse un solo mistero riguardante la sua salvezza, e non in tutto il suo valore e la sua importanza, ma solo in qualche modo, non si convertirebbe e cambierebbe vita in un quarto d'ora. […] Le verità che Dio ci rivela sono vive e efficaci… […] le verità divine hanno lo stesso potere sui cuori e producono lo stesso effetto nelle anime. Infatti, poiché le verità cristiane sono emanazioni della verità prima e raggi del Verbo eterno, esse partecipano della sua natura. Egli non è soltano il Verbo di Dio, la Parola del Padre e la Verità personificata, ma anche il principio dello Spirito Santo, e quindi la sorgente della bontà e della santità negli uomini. […]Se dunque le verità della nostra religione hanno una forza così potente e meravigliosa da toccare i nostri spiriti e cambiare i nostri cuori, perché non lo fanno, perché non operano in noi? Perché noi non le conosciamo. E perché noi non le conosciamo? Perché non diamo loro importanza, dedicando la nostra attenzione e il nostro studio ad altre cose, di solito, molto superficiali e che non hanno il valore di quelle
JEAN BAPTISTE
SAINT-JURE
SJ

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(1588 †1657)

 

L'uomo Spirituale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Glossa
308-310

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
L'uomo è una creatura piena di astuzia e l'astuzia del suo cuore appare anzitutto nella vita spirituale. Quando comincia a pregare, subito qualche altro pensiero – chiamato dalla sua inquietudine interna – si insinua nella preghirea e pretende di essere ascoltato. Qualsiasi cosa, un lavoro, un giornale, una commissione una ricerca, un libro, un colloquio gli sembrano più importanti e la preghiera un puro perditempo. Ma appena egli l'ha interrotta in seguito a questa riflessione, il tempo che prima gli sembrava così scarso, ora gli avanza ed egli lo sciupa nelle cose più inutili… Raccogliersi significa vincere questo inganno di inquietudine e diventar calmi, liberarsi da tutto ciò che è estraneo alla preghiera e mettersi alla disposizione di Colui che solo, ora, ha importanza, ossia il Signore.
 

DON ROMANO GUARDINI
(1885 † 1968)

guardini
Introduzione
alla Preghiera
Morcelliana

 

 

 

 

 

 

 

 

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«Dio è la terra inesplorata della intimità di noi tutti… Signore, insegnami a scoprire su ogni uomo la terra inesplorata che sei Tu». P. EGIDE VAN BROECKHOVEN SJ,
citato da
TULLO GOFFI,
La spiritualità contemporanea,
EDB, 127
.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

II LA VOCAZIONE PERSONALE
Un tema fondamentale che troviamo scorrendo la Bibbia: l’essere “chiamato per nome”. Non è ora il momento più propizio per enumerare i tanti e ricchissimi testi biblici che confermano questo tema – la conclusione è semplicemente questa: io non sono uno dei tanti nella folla per Dio; non sono per Lui un numero della serie e neppure sono catalogato in un biglietto; sono irripetibilmente unico, perché Dio “mi chiama per nome”
Questa realtà potrebbe certamente essere chiamata la mia “identità personale” oppure il mio orientamento personale nella vita” oppure ancora il mio più profondo e vero “IO”. Secondo la Bibbia, però preferisco chiamarla la mia “vocazione personale”. E’ cosa triste il fatto che abbiamo spesso limitato il termine “vocazione” alla chiamata al sacerdozio o alla vita religiosa, e forse a malincuore parliamo sempre più della “vocazione “ al matrimonio o “vocazione” al laicato. Di fatto, nella Bibbia, la parola di Dio designa ogni chiamata di Dio ad uno specifico orientamento o missione nella vita, come “vocazione”.
Forse potrei illustrare meglio il significato della “vocazione personale” narrando uno dei tanti episodi del genere, nella mia personale esperienza.
Tanti anni fa un gesuita di mezza età, il quale si trova ora in un mondo migliore, venne a trovarmi. Era un mio buon amico, quindi cominciò a parlarmi spontaneamente della sua vita personale. Mi confidò che aveva smesso di pregare da tanti anni: anche se si metteva a pregare – e questo molto di rado – disse che in realtà non pregava; era lì presenta con il corpo, solo materialmente. Mentre mi parlava della sua grande negligenza nella preghiera, ebbi l’impressione che fosse come impigliato in questa “idea fissa” della “negligenza nella preghiera”. Quindi intuii che se volevo essergli di aiuto, dovevo prima di tutto fargli prendere le distanze da questa “negligenza dalla preghiera”, per arrivare a considerarla in prospettiva. E così, con aria indifferente gli dissi: “Tu non hai pregato da tanto, tanto tempo. Dimmi: ti sei mai sentito nel corso della tua vita spontaneamente vicino a Dio – non seguendo un ragionamento, ma così, spontaneamente, hai mai sentito il tuo cuore sollevato e tu stesso in contatto con Dio, in unione con Dio?” Avevo appena formulato la domanda, che mi disse: “Certamente, ogni volta che guardo indietro alla mia vita passata e vedo quanto Dio è stato buono con me, mi sento immediatamente vicino a Dio, in contatto con Dio, unito a Dio”. Dato che mi accorgevo che riprendeva vita, che parlava con sentimenti profondi, con uno sprazzo di luce negli occhi, lo interruppi dicendo: “la bontà di Dio sembra dirti molto, dal come tu ne parli; hai mai pregato sulla bontà di Dio?” “Mai”, rispose, e stupito dalla mia domanda, si mise sulle difensive e borbottò con aggressività: “d’altronde, per quanto tempo pensi che io possa pregare sulla bontà di Dio?” – facendomi capire che se ne sarebbe stancato presto. L’avevo ascoltato attentamente, quindi continuai con calma: “Mi hai appena detto che non hai mai provato; che ne diresti, di provare prima di dare il tuo giudizio dicendo che presto te ne stancherai?” “E va bene!” disse, e con questo lasciò la mia camera.
Circa tre settimane dopo entrò in camera mia come un fulmine, pieno di entusiasmo per la sua grande scoperta. “Sai, Herbie, posso pregare sempre sulla bontà di Dio, pregare sempre sulla bontà di Dio”. Devo fare una confessione sincera: penso di essere stato alquanto arrabbiato tre settimane prima, per il suo atteggiamento aggressivo e sulle difese; così risposi molto cinicamente: “Bè… sono solo tre settimane! Forse se tu provassi un po’ più a lungo, ti stancheresti!” Quel gesuita reagì visibilmente davanti a me: lui che con tanto entusiasmo mi rivela la sua scoperta di poter pregare sempre sulla bontà di Dio, diventò improvvisamente silenzioso e si allontanò dalla mia camera. In un attimo mi resi conto di quanto era successo e dissi a me stesso: “Dio mio, l’ho perso a causa del mio cinismo elegante!” ma se io non sono stato buono quel giorno, Dio è buono.
Contrariamente alle mie aspettative, quel gesuita di mezza età ritornò da me – non tre settimane dopo, ma dopo ben quattro mesi e mezzo. Questa volta non entrò come un fulmine, ma quasi in punta di piedi e disse con enfasi e quasi in un sussurro: “Ma veramente, Herbie, io posso sempre pregare sulla bontà di Dio”: Ecco che ora avevo imparato la lezione, così, lo invitati subito: “Si accomodi, Padre, per favore”. E cominciò a rendermi partecipe con viva commozione di tutto quello che significava per lui la bontà di Dio: non solo il segreto della sua preghiera, ma il segreto pure del suo apostolato, di tutte le sue relazioni in comunità e fuori, del suo tempo di riposo e ricreazione. Al termine di questa sua rivelazione, io mi sentii così profondamente scosso che gli dissi: “Mio caro amico…, ma tu hai scoperto la tua vocazione personale: la bontà di Dio!”.
Questo fatto particolare mi aiuta ora a descrivere meglio a diversi livelli il vero significato della “vocazione personale” – una così ricca ed intensa realtà che non ci è possibile capirla, per così dire, tutta in uno sguardo. Dobbiamo studiarla nelle sue diverse angolature, oppure a livelli diversi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

II.1 Vocazione personale:
segreto di unità e di integrazione al cuore della vita.
Stiamo tutti sospirando di avere unità e integrazione, in particolare noi di apostolato attivo. Francamente, il grido più profondo del cuore che io sento dagli apostoli attivi, nel mio ministero di direzione spirituale, è il grido, il desiderio di unità e di integrazione: “Ho tante cose da fare durante il giorno – questo, quest’altro e ancora altre due cose – che alla fine della giornata sono sfinito, distrutto, dissipato.
Come vorrei poter fare una cosa sola in profondità!” non è vero che più si avanza in perfezione e maturità, più semplici si diventa – una semplicità non di impoverimento, ma di una ricchezza concentrata in profondità?
Potremo, infatti, fare soltanto una cosa in profondità – come quel gesuita di mezza età. Il segreto della sua preghiera era “la bontà di Dio”, perché la preghiera non consiste in una cosa che noi doniamo a Dio (non possiamo dare nulla a Dio!); è piuttosto un aprire il nostro cuore affinché Dio possa dare Se stesso a noi. Ora, dove si apre più il nostro cuore se non in quella profondità del nostro essere dove siamo maggiormente sensibili, dove siamo più veramente noi stessi, dove ognuno di noi è unico nel suo genere? Il segreto dell’apostolato di quel gesuita, delle sue relazioni, del suo svago e ricreazioni era pure “la bontà di Dio” perché in tutte queste cose, come dice egli stesso, non aveva altro da fare che essere “il buon Dio” per gli altri. La “bontà di Dio” aveva talmente riempito il suo cuore e tutto il suo essere da scoprire come scopo unico della sua vita, questo suo divenire come un canale della Bontà di Dio per gli altri, tanto nel suo apostolato quanto nelle sue relazioni e riposo. La sua “vocazione personale”, la bontà di Dio,era diventata per lui, infatti, il segreto di unità e integrazione al centro dell0intera sua vita.
Uno potrebbe domandarsi come “la bontà di Dio” sia cosa irripetibilmente unica. Sembra che sia tanto generale: tanto è vero che se si apre la Bibbia si trova la “bontà di Dio” scritta in ogni pagina. Lasciatemi, prima di tutto, proseguire l’immagine: se io apro la Bibbia e trovo le parole “bontà di Dio”, vedrò certamente in esse due parole importanti, ma due parole importanti fra tante altre parole importanti. Non così per quel gesuita di mezz’età: quando aprendo la bibbia i suoi occhi caddero sulle parole “Bontà di Dio” queste non gli apparvero solo come due parole importanti tra altre parole importanti, no!: queste per lui, s’imposero – rilevanti, luminose, fiammeggianti di significato, perché per lui erano “spirito e vita” (cfr. Gv 6,63).
Vi è inoltre una profonda ragione psicologica che ci aiuta ad afferrare quanto una frase come “la bontà di Dio” possa veramente essere irripetibilmente unica. Se abbiamo cercato talvolta di condividere una profonda esperienza personale con un amico intimo, sappiamo per esperienza che si arriva ad un certo punto in cui non si riesce più a condividere e dobbiamo semplicemente arrenderci dicendo: “Mi dispiace, non arrivo a dirti quello che ho sperimentato: se tu non mi chiedi nulla, io lo so; se me lo chiedi, non lo so” poiché “persona est ineffabilis, persona est incommunicabilis”: ciò che è più personale è ineffabile, ciò che è più personale è incomunicabile. La conoscenza personale, o come la chiama S. Ignazio ripetutamente negli EE in modo così ammirabile: “conoscenza interiore”, non è una conoscenza concettuale; è una conoscenza del cuore. Noi possiamo esprimere con le parole solo ciò che possiamo mettere in concetti. Perciò quando condividiamo una profonda esperienza personale, possiamo tutt’al più approssimativamente esprimerci in povere parole umane. È da stupirsi allora se quando cerchiamo di formulare ciò che abbiamo scoperto come nostra unicità dataci da Dio – cioè la nostra più profonda esperienza personale – la esprimiamo in parole umane inadeguate e che risuonano esteriormente come cosa generica, ma che a noi dicono, nel profondo del nostro essere, il nostro più intimo e vero “IO”, la nostra irripetibile unicita?
La mia esperienza personale nell’aiutare le persone a discernere e vivere la loro “vocazione personale” conferma questo largamente, come avviene nel mio caso particolare. Ecco alcune vere “vocazioni personali” di persone che mi hanno gentilmente permesso di usare questa mia conoscenza quando lo ritenga opportuno: “Io sono con te”, “Amore paziente”; “Amore che perdona”, “accettazione incondizionata”; “rimani nel mio Amore”; “semplicemente dono”; “solo Lui sempre può lì” (la parola chiave in questo caso è: “lì”, che è qualcosa di molto profondamente personale per l’interessato). Veramente non ho il minimo dubbio che la vocazione personale del Dio-fatto-Uomo, Gesù, sia centrata in una sola parola – “Abbà” – che riassunse tutta la sua vita e missione, è un grido che vien fuori dai Vangeli (leggere per esempio, Gv 5-10 per captare l’unico argomento che Gesù ha nella sua controversia con gli scribi e i farisei; come pure in Lc 10,21 per vedere la reazione di Gesù nella sua esperienza di esultante consolazione, e Lc 22,39ss, la sua reazione nella desolazione profonda – è sempre “Abbà”!) Tutte le vocazioni personali citate sopra ci sembrano molto generiche, come pure l’Abbà di Gesù. Anche noi diciamo “Abbà” perché Gesù ha condiviso il suo “Abbà” con noi. Ma ciò che “Abbà” significava per Gesù era qualcosa di molto personale e unico, molto diverso da ciò che quella parola dice a noi; qualcosa di questa irripetibile unicità noi la possiamo intravedere nei Vangeli.
Quindi la formulazione in parole della “vocazione personale” sembra molto generica a coloro che leggono o ne sentono parlare. Tuttavia quel che dice in particolare a colui, cui questa vocazione personale appartiene è irripetibilmente unico.
Non ci stupiremmo quindi di scoprire che diverse persone potrebbero trovare – tutte – la loro Vocazione Personale nelle stesse precise e inadeguate parole, – per esempio: “Io sono con te”. Ma ciò che queste parole significano per ciascuna di queste persone è unico, e irripetibilmente tale. L’esperienza mi ha molto insegnato questo nel mio ministero di direzione spirituale: è lì che tocco con mano questa evidente unicità nel totale reagire della persona a questa sua esperienza portata nella vita.

P. Herbert
Alphonso sj

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La vocazione personale. Trasformazione in profondità per mezzo degli Esercizi spirituali

 

Carissimi Amici & Amiche,

perdonatemi oggi un bocconcino spirituale più sostanzioso del solito in omaggio del carissimo P. Herbert Alphonso sj che il Padre ha chiamato a Sé nella Solennità del S. Cuore del suo Figlio, venerdì scorso, 15 giugno 2012, alle ore 3 di notte. Vi riporto infatti un lungo stralcio del suo testo "capolavoro" sulla vocazione personale. Un giorno mi confidò che aveva compreso che la sua vocazione personale era quella di bere alla sorgente dell'amore che è proprio il Cuore aperto di Gesù e proprio quando la Chiesa celebra questo mistero lo ha chiamato a Sé. Ringrazio coloro che lo hanno accompagnato con la loro preghiera in questi ultimi giorni della sua vita, ma certamente saprà lui, ora, da lassù come sdebitarsi.

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– Il Salvatore ha il desiderio di elevarci, per mezzo del Sacramento dell’Eucaristia, alla più sublime perfezione dell’amore, ma non bisogna immaginare che questa sia opera di un giorno e che ci si arrivi in una sola s. Comunione. Egli agisce nell’ordine della grazia come nell’ordine della natura. I bambini non crescono che a poco a poco, nutrendosi spesso: così le anime avanzano nelle virtù in misura di come si nutrono di questo pane celeste. La vita spirituale ha come la vita naturale, diverse età e il Salvatore proporziona le sue operazioni allo stato in cui trova le persone che Lo ricevono. Egli è latte per i bambini, farmaco per i malati, e nutrimento solido per le anime perfette. Ma in qualunque stato voi siate, ordinariamente, è solo per gradi e per mezzo di frequenti s. Comunioni che Gesù Cristo corregge i nostri errori, e che ci comunica una alta santità.
Luc Vaubert sj
Trattato della s. Comunione, I, 7.1.

 

– Vi sono anime molto pie e anche anime religiose e sacerdotali che ignorano completamente una delle esperienze più dolci della vita interiore: la preghiera messa in relazione col dogma dell'Inabitazione. Senza dubbio il sentire in sé la Trinità, il contemplarla, il perdersi in essa nell'orazione passiva, appartengono a grazie che l'anima riceve se e quando piace a Dio. Ma non vi è dubbio che molte anime sarebbero più disposte a riceverle, se fossero più istruite sull'impostazione da dare alla loro pietà in rapporto al dono che possiedono. Bisogna invitare le anime a uno sforzo attivo di intimità con le tre Persone, perché più facilmente giungano all'età felice in cui il Signore si manifesta nel profondo al loro sguardo rapito.
ITALA MELA
L'ascesi nella luce dell'inabilitazione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

– Se il profumo non avvolge del suo soave odore tutti quelli che si avvicinano, lo chiameremo ancora profumo?
Non dire: mi è impossibile trascinare gli altri; se tu sei cristiano, è impossibile che questo non avvenga,
operare il bene è insito nella natura stessa del cristiano.
S. Giovanni Crisostomo, Omelia 20.
Compagni di volo
Voglio ringraziarti, Signore per il dono della vita; ho letto da qualche parte che gli uomini hanno un’ala soltanto: possono volare solo rimanendo abbracciati.
A volte, nei momenti di confidenza, oso pensare, Signore, che tu abbia un’ala soltanto, l’altra la tieni nascosta, forse per farmi capire che tu non vuoi volare senza di me; per questo mi hai dato la vita: perché io fossi tuo compagno di volo.
Insegnami, allora, a librarmi con Te, perché vivere non è trascinare la vita, non è strapparla, non è rosicchiarla, vivere è abbandonarsi come un gabbiano all’ebbrezza del vento.
Vivere è assaporare l’avventura della libertà. Vivere è stendere l’ala, l’unica ala, con la fiducia di chi sa di avere nel volo un partner grande come Te.
Don Tonino Bello

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

– Maria non sta soltanto in un rapporto singolare con Cristo, il Figlio di Dio che, come uomo, ha voluto diventare figlio suo. Essendo totalmente unita a Cristo, ella appartiene anche totalmente a noi. Sì, possiamo dire che Maria ci è vicina come nessun altro essere umano, perché Cristo è uomo per gli uomini e tutto il suo essere è un "esserci per noi". Cristo, dicono i Padri, come Capo è inseparabile dal suo Corpo che è la Chiesa, formando insieme con essa, per così dire, un unico soggetto vivente. La Madre del Capo è anche la Madre di tutta la Chiesa; lei è, per così dire, totalmente espropriata da se stessa; si è data interamente a Cristo e con Lui viene data in dono a tutti noi. Infatti, più la persona umana si dona, più trova se stessa. Il Concilio intendeva dirci questo: Maria è così intrecciata nel grande mistero della Chiesa che lei e la Chiesa sono inseparabili come sono inseparabili lei e Cristo. Maria rispecchia la Chiesa, la anticipa nella sua persona e, in tutte le turbolenze che affliggono la Chiesa sofferente e faticante, ne rimane sempre la stella della salvezza. È lei il suo vero centro di cui ci fidiamo, anche se tanto spesso la sua periferia ci pesa sull'anima.  Benedetto XVI

Dall'omelia per la Solennità dell'Immacolata,
8 dicembre 2005

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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– … se proprio vuoi una regola, ecco cosa ti posso dire: sii saldo nella fede, e non per timore dei peccati, ma perché è molto piacevole per un uomo intelligente vivere con Dio. Vivere senza Dio è proprio orribile.
Vladimir Solov'ëv
I tre dialoghi e il racconto dell'Anticristo,
V&P, 61
– Cari fratelli e sorelle, è a questo amore che dobbiamo aprire la nostra vita, ed è alla perfezione dell’amore del Padre (cfr Mt5,48) che ci chiama Gesù Cristo ogni giorno! La misura alta della vita cristiana consiste infatti nell’amare “come” Dio; si tratta di un amore che si manifesta nel dono totale di sé fedele e fecondo. Alla priora del monastero di Segovia, in pena per la drammatica situazione di sospensione in cui egli si trovava in quegli anni, San Giovanni della Croce risponde invitandola ad agire secondo Dio: «Non pensi ad altro se non che tutto è disposto da Dio; e dove non c’è amore, metta amore e raccoglierà amore» (Epistolario, 26). – Benedetto XVI

Dal Messaggio per la XLIX Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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La prova
La libertà, ideale di vita, si scopre veramente solo a poco a poco ciò che essa è: una capacità di donazione e di amore. Si sviluppa come un germe e deve, per crescere, adattarsi al tempo e alle prove, al tempo che diviene prova. Cosa è la prova in effetti? È l’avvenimento in cui la libertà si apre all’amore e lascia passare la grazia. L’avvenimento, secondo che sia vissuto nel dono o nella ribellione, manifesta l’intimo di ciascuno. Che sia felice o triste, piccolo o importante, l’uomo rifiuta di chiudersi lì, di rimanere incastrato nella prova. Egli cerca di superarla per trovarvi un senso. Da questo punto di vista, la ricchezza è altrettanto una prova come la povertà. Il giovane del Vangelo o il ricco della parabola fanno dei loro beni un assoluto. In loro la libertà si chiude all’amore. Il senso è perduto. Zaccheo vi trova la sua salvezza: «Io do metà dei miei beni ai poveri», dice, e Matteo, lasciando il suo banchetto, si mette a seguire il Cristo. La libertà in loro si apre all’amore. Il senso è ritrovato. Sicuramente, quando noi parliamo di prova, noi pensiamo a degli avvenimenti dolorosi. Ma tanto in quelli che negli altri, ci si può chiudere. Non se ne cerca più il senso. Perché l’avvenimento diventi prova della libertà, chiede di essere superato per lasciarne emergere il senso. E il senso è l’amore. L’avvenimento, vissuto in una maniera o in un’altra, diventa il test – la «messa alla prova» – che manifesta l’intimo del cuore. 
 
Jean Laplace,
La libertà nello Spirito.
La guida spirituale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PASQUA: la festa dei macigni rotolati.
E' la festa del terremoto. La mattina di Pasqua le donne, giunte nell'orto, videro il macigno rimosso dal sepolcro. Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme messa all'imboccatura dell'anima, che non lascia filtrare l'ossigeno e luce, che opprime in una morsa di gelo; che impedisce la comunicazione con l'altro.
E' il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell'odio, della disperazione, del peccato.
Pasqua, allora, sia per tutti il rotolare del macigno, la fine degli incubi e l'inizio della luce. E se ognuno di noi, uscito dal suo sepolcro, si adopererà per rimuovere il macigno del sepolcro accanto, si ripeterà finalmente il miracolo che contrassegnò la risurrezione di Cristo.
Don Tonino Bello

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

– Nella liturgia rifulge il Mistero Pasquale mediante il quale Cristo stesso ci attrae a sé e ci chiama alla comunione. In Gesù, come soleva dire san Bonaventura, contempliamo la bellezza e il fulgore delle origini. Tale attributo cui facciamo riferimento non è mero estetismo, ma modalità con cui la verità dell'amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina e ci rapisce, facendoci uscire da noi stessi e attraendoci così verso la nostra vera vocazione: l'amore. […] Tuttavia, questa bellezza non è una semplice armonia di forme; « il più bello tra i figli dell’uomo » (Sal 45 [44],3) è anche misteriosamente colui che « non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi » (Is 53,2). Gesù Cristo ci mostra come la verità dell'amore sa trasfigurare anche l'oscuro mistero della morte nella luce irradiante della risurrezione. Qui il fulgore della gloria di Dio supera ogni bellezza intramondana. La vera bellezza è l'amore di Dio che si è definitivamente a noi rivelato nel Mistero Pasquale. Benedetto XVI

Dall'Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Preziosità del Silenzio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il silenzio è mitezza.

Quando non rispondi alle offese,
quando non reclami i tuoi diritti,
quando lasci a Dio la difesa del tuo onore,
il silenzio è mitezza.
 
Il silenzio è misericordia.
Quando non riveli le colpe dei fratelli,
quando perdoni senza indagare nel passato,
quando non condanni ma intercedi nell'Intimo,
il silenzio è misericordia.
 
Il silenzio è pazienza.
Quando soffri senza lamentarti,
quando mori cerchi consolazione dagli uomini,
quando non intervieni,
ma attendi che il seme germogli lentamente
il silenzio è pazienza.
 
Il silenzio è umiltà.
Quando taci per lasciare emergere i fratelli,
quando celi nel riserbo i doni di Dio
quando lasci che il tuo agire sia interpretato male,
quando lasci ad altri la gloria dell'impresa,
il silenzio è umiltà.
 
Il silenzio è fede.
Quando taci perché è Lui che agisce,
quando rinunci ai suoni,
alle voci dei mondo per stare alla Sua presenza,
quando non cerchi comprensione,
perché ti basta essere conosciuto da Lui,
il silenzio è fede.
 
Il silenzio è adorazione.
Quando abbracci la Croce senza chiedere: "Perché",
il silenzio è adorazione.

Anonimo
– Il Papa è il Cristo che parla. L'Eucaristia è il Cristo che tace. S. Francesco di Sales
– Non si dimentichi che la vita cristiana non è un'inarrestabile ascesa verso l'alto, un cammino di perfezione dopo una definitiva vittoria sul peccato, bensì vita di un peccatore perdonato, che ritorna continuamente a mendicare la misericordia di Dio, cadendo e rialzandosi senza fine; essa è l'incessante arte di riprendere la conformità a Cristo, è il costante ricorso al calice del suo sangue che purifica e perdona i nostri peccati.
 
Enzo Bianchi
Resisti al nemico.
La lotta spirituale.
– I sacrifici che il Signore ci chiede non hanno lo scopo di farci soffrire, ma di portarci all'amore. Il "sacrificio" in senso ascetico non consiste soltanto nel fare qualche cosa che costa, ma nel proposito fermo di amare, costi quel che costi.
La Quaresima non mira unicamente a rendere più mortificati, ma più ardenti nell'amore di Dio e del prossimo, malgrado i sacrifici che perciò saranno necessari. In questo senso, la Quaresima deve durare non quaranta giorni, ma tutta la vita. Sempre infatti dobbiamo essere disposti a lasciar cadere ciò che non giova all'eternità, se vogliamo dare la mano a Cristo risorto, per camminare con Lui verso l'eternità.
Antonio Mistrorigo
Guida alfabetica alla Liturgia,
392-293
– Entra nella tua camera, chiudi la tua porta, e prega in segreto, e il Padre tuo che vede nel segreto, ti esaudirà (Mt 5,8) Entrando nella tua camera, entri nel tuo cuore. Beati coloro che si allietano quando entrano nel loro cuore e non vi trovano niente di male: allo stesso modo per cui non amano rientrare nelle loro case coloro che hanno spose isteriche, e, per loro è una gioia uscirsene per i loro affari, ma poi viene l'ora in cui rientreranno nella loro casa e si rattristano – rientrano infatti nelle noie, nei mormorii, nei dispiaceri, nelle scenate, perché non è una vera casa quella nella quale non v'è alcun accordo tra il marito e la moglie, e meglio è per lui andarsene in giro fuori –; se dunque sono ben miseri coloro i quali, rientrando tra le loro pareti, temono di dover subire la mala accoglienza dei familiari, quanto sono più miseri coloro che non vogliono rientrare nella loro coscienza, per non essere travolti dalle violenze dei peccati! Orbene, per poter liberamente rientrare nel tuo cuore, purificalo; beati infatti i puri di cuore, perché vedranno Dio (Mt 6,6) Spazza via dal tuo cuore i sordidi desideri, spazza via la macchia dell'avarizia, la vergogna delle superstizioni, le bestemmie e i cattivi pensieri; getta fuori i risentimenti, non dico che nutri verso l'amico ma anche verso il nemico; togli via tutte queste cose, poi entra nel tuo cuore, e là troverai la gioia. Quando ivi avrai preso ad allietarti, la stessa purezza del tuo cuore ti riuscirà deliziosa e ti spingerà a pregare. S. Agostino d’Ippona, Commento al Salmo 33, II, 8.
È perchè siamo tanto misere che ci affezioniamo al fervore sensibile, a sentire sensibilmente l'Amore di Dio; molte volte preghiamo per cercare le consolazioni di Dio… ma non Dio! S. Teresa di Gesù de los Andes

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CRISTO, MIA DOLCE ROVINA!
Cristo, mia dolce rovina, gioia e tormento insieme Tu sei. Impossibile amarti impu-nemente. Dolce rovina, Cristo, che rovini in me tutto ciò che non è amore, impossibile amarti senza pa¬garne il prezzo in moneta di vita! Impossibile amarti e non cambiare vi¬ta e non gettare dalle braccia il vuoto e non accrescere gli orizzonti che respiriamo.
Fra David Maria Turoldo
Il nostro è un cammino lungo, faticoso e anche doloroso, ma nel percorso che facciamo il Signore ci accarezza, ci abbraccia, ci bacia, perché vuole con tutto il Suo Cuore che ci uniamo a Lui per sempre. Siamo chiamati a divenire liberi nello Spirito, liberi d'amare senza alcuna paura e difesa, e nonostante tutto senza essere dipendenti da alcun affetto. Ed è quello che Gesù ci insegna nel passo del Vangelo di Giovanni: solo attraverso la distanza dall'oggetto amato, dai legami che si sono costruiti, si può vivere realmente l'amore nello Spirito di Dio. Sembra un paradosso ma è così, perché la lontananza enfatizza l'amore stesso rendendolo vero affetto senza possessività, dove si ha la certezza che l'altro ci sarà per sempre, in quanto non è oggetto di appartenenza ma soggetto nello Spirito di Dio che vive nell'eternità. La distanza serve proprio a questo, ad unire gli spiriti rendendoli uno con Dio che è Trinità d'Amore. Quando arriviamo a diventare "liberi", la leggerezza a volte sembra superi la pesantezza del corpo e ci si sente uniti, in qualsiasi situazione, al Tutto di Dio. […] e questo può avvenire nell'incontro con l'altro, oppure fra la folla o in mezzo alla natura, perché in quel momento ci percepiamo nell'Unità di Dio Trinità, nel Tutto di Dio Creatore. Il risultato è che già viviamo una fetta di Paradiso qui sulla terra. Se Gesù fosse rimasto fra noi, ci saremmo attaccati affettivamente alla Sua fisica Presenza, ma per noi sarebbe stato un amore che diveniva "finito" alla Sua corporeità. Invece Lui, il nostro meraviglioso Sposo, nella Sua immensa generosità, ci ha lasciato sia il Suo Spirito Consolatore che il Suo Sacratissimo Corpo, con il quale possiamo sponsalmente unirci tutti i giorni della nostra vita. Questa è la risposta per noi che abbiamo fatto la scelta di crescere nello Spirito, vivere l'amore nella sua dimensione più libera, testimoniando nel mondo l'unità d'amore sussistente in Dio Trinità. Meditazione di una persona amica

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gv 16,7: E' bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò.

L'atto con cui gioco il mio destino e in cui compio il mio essere donandolo a Dio, non può che farmi vibrare in modo infinitamente profondo, e svegliare in me quella potenza di gioia, di canto e di lode che mi è sconosciuta finché non ho incontrato l'infinito. Così mi trovo e mi sento prevenuto, avviluppato, chiamato. La conoscenza e l'accoglimento di questa vocazione si dilatano in un sentimento profondo di adorazione, di ringraziamento, di supplica, di umiltà esaltante – in una vibrazione di tutto l'essere, visitato nel suo intimo da Dio che lo penetra e lo supera infinitamente

Jean Mouroux,

L'esperienza cristiana, Morcelliana,
24-25

 

Da quando so che la vita ha uno scopo, non ho più paura.
 
André Frossard
(1915 † 1995)


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

– Maria è madre e modello della Chiesa, che accoglie nella fede la divina Parola e si offre a Dio come “terra buona” in cui Egli può continuare a compiere il suo mistero di salvezza. Anche la Chiesa partecipa al mistero della divina maternità, mediante la predicazione, che sparge nel mondo il seme del Vangelo, e mediante i Sacramenti, che comunicano agli uomini la grazia e la vita divina. In particolare nel sacramento del Battesimo la Chiesa vive questa maternità, quando genera i figli di Dio dall’acqua e dallo Spirito Santo, il quale in ciascuno di essi grida: “Abbà! Padre!” (Gal 4,6). Come Maria, la Chiesa è mediatrice della benedizione di Dio per il mondo: la riceve accogliendo Gesù e la trasmette portando Gesù. E’ Lui la misericordia e la pace che il mondo da sé non può darsi e di cui ha bisogno sempre, come e più del pane. [Clicca qui per leggere tutta l'omelia].

 
Benedetto XVI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dall'Omelia
del 1° gennaio 2012, Solennità di Maria SS.ma Madre di Dio